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Pubbl. Gio, 2 Apr 2015

La difesa per chi non ha voce: i diritti degli animali

Federica Greco


Da un’indagine Eurispes più della metà degli italiani è contro circhi, caccia, pellicce eppure ancora poche sono le leggi a vietarne (o, quantomeno, vigilarne) la pratica ed ancora troppo diffusi sono i casi di maltrattamento e abbandono.


Quando si dà inizio ad un’indagine sui diritti dell’uomo si suole far partire “le ricerche” dal passato, per porre un raffronto, descrivere i mutamenti, dimostrarne i miglioramenti. Sarà, quindi, utile, anche in questa circostanza, fare un passo indietro nel tempo, un breve excursus storico, che non potrà che agevolare il nostro compito: a partire da quale momento gli animali sono stati destinatari di diritti? Quali forme di tutela erano loro riconosciute?   Già nel 1859 il codice penale sardo (art. 685 comma 7) rinveniva “contravvenzioni di ordine pubblico” nei casi di maltrattamento e sevizie di animali domestici effettuati in modo gratuito e in luogo pubblico. Successivamente, per volontà di Giuseppe Garibaldi, si diede vita alla “Regia società torinese protettrice degli animali". Si dovrà attendere il 1889 con il Codice Zanardelli per porre un esplicito divieto di atti crudeli e maltrattamenti ad ogni specie animale. La sensibilità pubblica nei confronti degli animali crebbe al punto di incoraggiare la nascita di numerosi società zoofile e si rese necessaria, dunque, una loro regolamentazione. Primo provvedimento in materia fu la legge Luttazzi (L. n. 611 del 12 giugno 1913), sulla "Regolamentazione delle società zoofile per la protezione degli animali", ancora oggi in vigore, che previde la possibilità di concedere a queste società il riconoscimento della personalità giuridica e alle guardie zoofile di essere inquadrate quali agenti di pubblica sicurezza.   Il Fascismo diede un enorme impulso alle attività di protezione degli animali istituendo nel 1938 l'Ente Nazionale per la Protezione degli Animali (E.N.P.A.), che sciolse tutte le società preesistenti, ricostituibili solo come sezioni provinciali e comunali di questo nuovo ente. Obiettivo dell’E.N.P.A era la protezione degli animali e la difesa del patrimonio zootecnico; oltre ad assumere la funzione di propaganda per una “sana zoofilia e di pratica zootecnica”. Dopo circa venticinque anni di intensa attività, il D.P.R. 31 marzo 1979 ne decretò la perdita della personalità giuridica di diritto pubblico (conferita all'Ente con L. 19.05.1954, n. 303), pur lasciandolo in vita "come persona giuridica di diritto privato"  e trasferì ai Comuni (singoli o associati ed alle comunità montane) le funzioni di vigilanza sull'osservanza delle leggi e dei regolamenti generali e locali relativi alla protezione degli animali ed alla difesa del patrimonio zootecnico" e alle Regioni le rispettive funzioni pubbliche, concernenti gli interventi per la protezione della natura.   Ecco che ci avviciniamo sempre più ai giorni nostri dove la tutela giuridica degli animali non sembra aver goduto di miglioramenti significativi, basti pensare alle situazioni che li pongono come “oggetto” di pratiche sportive, come “soggetti” di intrattenimento del pubblico o, ancora, come utili e caldi abbigliamenti da fare invidia all’uomo di Neanderthal! Una recente indagine Eurispes attesta che la gran parte degli italiani pone un severo “No!” a caccia, pellicce e circhi con animali; ben all’85,5% si attestano gli oppositori delle pellicce, al 74,3% quelli alla caccia e il 65% al ricorso di animali negli spettacoli circensi.   Grazie all’introduzione della legge 20 luglio 2004, n.189, recante "Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate", che ha profondamente modificato l'assetto normativo in tema di animali, dopo il titolo IX del libro II del Codice penale, è stato inserito il titolo IX-bis, "dei delitti contro il sentimento degli animali". ll maltrattamento di animali, la loro uccisione, l'abbandono e la detenzione incompatibile con le loro caratteristiche etologiche sono comportamenti vietati e puniti dal nostro Codice penale (precisamente agli articoli  544 bis e ss e negli articoli 727 e 727 bis). Esistono, inoltre, altre disposizioni per la tutela degli animali collegate alla riforma del Codice penale:  il Decreto Ministero della Salute 2 novembre 2006 Individuazione delle associazioni e degli enti affidatari di animali oggetto di provvedimento di sequestro o di confisca, nonché determinazione dei criteri di riparto delle entrate derivanti dall'applicazione di sanzioni pecuniarie. (GU n. 19 del 24-1-2007) il Decreto Ministero dell’Interno 23 Marzo 2007 Individuazione delle modalità di coordinamento delle attività delle Forze di polizia e dei Corpi di polizia municipale e provinciale, allo scopo di prevenire e contrastare gli illeciti penali commessi nei confronti di animali (GU n. 104 del 7-5-2007). Leggi che sembrerebbero porre un primo ostacolo allo sviluppo di pratiche definitive “sportive” che vedono coinvolte gli animali. A proposito della caccia, appunto, è stata emanata una legge, risalente al 1992, la n. 157, recante “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” al cui art 1, intitolato “Fauna selvatica”, si rinviene: La fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell'interesse della comunità nazionale ed internazionale. L'esercizio dell'attività venatoria è consentito purché non contrasti con l'esigenza di conservazione della fauna selvatica e non arrechi danno effettivo alle produzioni agricole. Si parla, dunque, di “esigenza di conservazione della fauna selvatica” e il primo necessario riferimento è, quindi, alle specie in via di estinzione. Sarebbe quindi utile, se non bandire la pratica, istituire dei veri e propri corsi che permettano al cacciatore di riconoscere la specie protetta (sia in volo che in terra) e intensificare i controlli, rendendoli più rigidi e severi nei luoghi ove è fatto divieto di caccia.    L’ordinamento, riguardo ai divieti di esercizio della caccia, si è limitato a sancire “Le regole principali della caccia” che riportiamo di seguito: Distanze dalle case. La caccia è vietata per una distanza di 100 metri da case, fabbriche, edifici adibiti a posto di lavoro. E' vietato sparare in direzione degli stessi da distanza inferiore di 150 metri. Distanze da strade e ferrovie. La caccia è vietata per una distanza di 50 metri dalle strade (comprese quelle comunali non asfaltate) e dalle ferrovie. E' vietato sparare in direzione di esse da distanza inferiore a 150 metri. Distanze da mezzi agricoli. La caccia è vietata a una distanza inferiore di 100 metri da macchine agricole in funzione. Distanze da animali domestici. La caccia nei fondi con presenza di bestiame è consentita solo ad una distanza superiore a metri 100 dalla mandria, dal gregge o dal branco. Mezzi vietati di caccia. Reti, trappole, tagliole, vischio, esche e bocconi avvelenati, lacci, archetti, balestre, gabbie trappola. Giorni vietati. Martedì e venerdì sono giorni di assoluto silenzio venatorio anche se festivi. Violazione di domicilio. L'articolo 614 del codice penale "Violazione di domicilio" punisce chi si introduce nei giardini e nelle pertinenze delle abitazioni civili. Disturbo delle persone. L'articolo 659 del codice penale "Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone" punisce chi con rumori molesti disturba le occupazioni o il riposo delle persone. Spari nei pressi delle abitazioni. L'art. 703 del codice penale "Accensioni ed esplosioni pericolose" punisce penalmente chi in un luogo abitato o nelle sue adiacenze o lungo una pubblica via o in direzione di essa spara con armi da fuoco. Ma passiamo al capitolo circo. Sono ordinari i casi di malnutrizione e condizioni di mantenimento pessime per animali che non nascono in cattività e né hanno consuetudine a vivere con l’uomo. L’attività circense è regolamentata in Italia dalla legge 337/68, seguita da una circolare esplicativa del 1989 (4804/TB30) e da innumerevoli Decreti Ministeriali, i quali più che altro confermano i criteri sulle autorizzazioni annuali. Nella legge non è contenuta alcuna norma a tutela degli animali. I circhi dovrebbero inoltre rispettare quanto stabilito dalla “Convenzione Internazionale di Washington sul commercio di specie in via di estinzione” ed i cui reati sono in Italia previsti dalla Legge 150/92. La stessa legge, modificata dalla n. 426 del 9.12.98, consente ai circhi di detenere animali pericolosi solo se “dichiarati idonei dalle autorità competenti in materia di salute e incolumità pubblica, sulla base dei criteri fissati previamente dalla Commissione Scientifica [...]”. I circhi devono inoltre rispettare quanto previsto del D.P.R. 8 febbraio 1954 n. 320 sull’obbligo di vigilanza veterinaria in quanto impianti adibiti al concentramento di animali che possono costituire pericolo per la diffusione di malattie infettive e diffusive. Fin qui l’attenzione è rivolta, com’è giusto, all’uomo, ma ancora niente a favore degli animali. L’invito potrebbe rivolgersi agli stessi Comuni che per primi potrebbero rifiutarsi di accoglierli nel proprio territorio. Anche se i Comuni non potrebbero vietare in assoluto l’attendamento dei circhi, non potendosi vietare localmente ciò che a livello nazionale è del tutto legale.   Per quanto riguarda il  tema "pelliccia" nonostante l’alta percentuale di contrari la pratica è ancora tuttora in uso. Il dibattito intorno all'uso della pelliccia ha il più delle volte diviso l’opinione pubblica creando veri e propri sbarramenti. Da un lato esponenti di associazioni animaliste che ribadiscono le condizioni e i maltrattamenti a cui sono sottoposti gli animali per produrre un capo d’abbigliamento producibile anche con altri materiali e dall’altra esponenti dei produttori che riportano esperienze di animali in allevamenti controllati e nel pieno rispetto delle normative in materia. In tema di norme, nel 2001 è stato ottenuto il divieto di importazione e vendita delle pellicce di cane e gatto. Nel 2004 il divieto è inserito nella legge 189. Nel 2006 un decreto interministeriale vieta in Italia l’importazione e il commercio di pelli e altri prodotti di foca.   Oltre alla succitata Convenzione di Washington, degna di menzione è, senz’altro, la Dichiarazione universale dei diritti dell'animale. Proclamata a Parigi nel 1978 e redatta dalla L.I.D.A. (Lega Italiana dei Diritti dell'Animale) ed altre associazioni nazionali in materia di protezione degli animali, la dichiarazione si propone di rivendicare l'etica del rispetto verso l'ambiente e tutti gli esseri viventi. Nella Premessa, che riportiamo di seguito, si ha un quadro ben chiaro degli intenti della Dichiarazione e dei suoi presupposti:   “Considerato che ogni animale ha dei diritti; considerato che il disconoscimento e il disprezzo di questi diritti hanno portato e continuano a portare l' uomo a commettere crimini contro la natura e contro gli animali; considerato che il riconoscimento da parte della specie umana del diritto all'esistenza delle altre specie animali costituisce il fondamento della coesistenza delle specie nel mondo; considerato che genocidi sono perpetrati dall' uomo e altri ancora se ne minacciano; considerato che il rispetto degli animali da parte degli uomini è legato al rispetto degli uomini tra loro; considerato che l'educazione deve insegnare sin dall'infanzia a osservare, comprendere, rispettare e amare gli animali.”   La maggior critica mossa a questo importante atto fa riferimento all’art. 1 che sancisce l’uguaglianza di tutte le specie animali. In realtà, però, non si possono negare le evidenti differenze di forme e di capacità esistenti tra gli animali. Sottoposto ad ampi dibattiti è anche l'articolo 8 che si riferisce alla sperimentazione animale dichiarandola incompatibile ai principi sanciti nella Dichiarazione laddove implichi una sofferenza fisica o psichica; ma, in questo caso, non viene posto all'uomo un esplicito obbligo di non uccidere, come contro altare al diritto alla vita di ogni essere vivente. Si ammette la possibilità che l'animale "allevato per l'alimentazione dell'uomo sia [...] ucciso" (art. 9), purché da ciò non ne risulti ansietà e dolore. In definitiva la Dichiarazione si pone come un invito alla specie umana a modificare il suo modo di interagire con gli altri esseri viventi, ridimensionando la gestione dell'economia biologica. Essenziale alla nostra indagine, a questo punto, è la qualificazione giuridica "soggetto" del nostro esame: come si configura l’animale nel nostro ordinamento?  L'impianto giuridico di tradizione continentale vede la qualificazione giuridica dell'animale come res, posizione di chiara matrice romanistica. Tale assetto dogmatico è, però, andato in crisi quando è stato giuridicamente sancito, all' articolo 13 del Trattato di Lisbona, il carattere senziente degli animali. Ciò non implica un riconoscimento pieno di soggettività giuridica dell'animale ma fa in modo che un tale passo sia auspicabile o, per lo meno, prevedibile. Basta volgere lo sguardo oltralpe per scorgere all'art 90 del BGB una chiara e semplice presa di posizione: "Tiere sind keine Sachen" ovvero "gli animali non sono cose". Si può, quindi , iniziare a parlare di un graduale abbandono dell'accezione prettamente "oggettiva" dell'animale rivolta ad un suo mero riferimento estrinseco, marginale e indiretto e tentare di aprire le porte ad una accezione "soggettiva" che veda l'animale titolare e destinatario di diritti o, quantomeno, nel tentativo di mediazione in questo sdoppiamento dogmatico, farne "la proprietà più protetta che ci sia". E’ un auspicio unanime adottare una soluzione più moderna nel definire lo status giuridico degli animali, tutelarne le condizioni e i suoi rapporti con l’uomo, dopotutto, come lo stesso Mahatma Gandhi sosteneva, “la civiltà di un popolo si misura dal modo in cui tratta gli animali”.     Bibliografia e fonti
Quando si dà inizio ad un’indagine sui diritti dell’uomo si suole far partire “le ricerche” dal passato, per porre un raffronto, descrivere i mutamenti, dimostrarne i miglioramenti. Sarà, quindi, utile, anche in questa circostanza, fare un passo indietro nel tempo, un breve excursus storico, che non potrà che agevolare il nostro compito: a partire da quale momento gli animali sono stati destinatari di diritti? Quali forme di tutela erano loro riconosciute?
 
Già nel 1859 il codice penale sardo (art. 685 comma 7) rinveniva “contravvenzioni di ordine pubblico” nei casi di maltrattamento e sevizie di animali domestici effettuati in modo gratuito e in luogo pubblico. Successivamente, per volontà di Giuseppe Garibaldi, si diede vita alla “Regia società torinese protettrice degli animali". Si dovrà attendere il 1889 con il Codice Zanardelli per porre un esplicito divieto di atti crudeli e maltrattamenti ad ogni specie animale.
La sensibilità pubblica nei confronti degli animali crebbe al punto di incoraggiare la nascita di numerosi società zoofile e si rese necessaria, dunque, una loro regolamentazione. Primo provvedimento in materia fu la legge Luttazzi (L. n. 611 del 12 giugno 1913), sulla "Regolamentazione delle società zoofile per la protezione degli animali", ancora oggi in vigore, che previde la possibilità di concedere a queste società il riconoscimento della personalità giuridica e alle guardie zoofile di essere inquadrate quali agenti di pubblica sicurezza.
 
Il Fascismo diede un enorme impulso alle attività di protezione degli animali istituendo nel 1938 l'Ente Nazionale per la Protezione degli Animali (E.N.P.A.), che sciolse tutte le società preesistenti, ricostituibili solo come sezioni provinciali e comunali di questo nuovo ente. Obiettivo dell’E.N.P.A era la protezione degli animali e la difesa del patrimonio zootecnico; oltre ad assumere la funzione di propaganda per una “sana zoofilia e di pratica zootecnica”.
Dopo circa venticinque anni di intensa attività, il D.P.R. 31 marzo 1979 ne decretò la perdita della personalità giuridica di diritto pubblico (conferita all'Ente con L. 19.05.1954, n. 303), pur lasciandolo in vita "come persona giuridica di diritto privato"  e trasferì ai Comuni (singoli o associati ed alle comunità montane) le funzioni di vigilanza sull'osservanza delle leggi e dei regolamenti generali e locali relativi alla protezione degli animali ed alla difesa del patrimonio zootecnico" e alle Regioni le rispettive funzioni pubbliche, concernenti gli interventi per la protezione della natura.
 
Ecco che ci avviciniamo sempre più ai giorni nostri dove la tutela giuridica degli animali non sembra aver goduto di miglioramenti significativi, basti pensare alle situazioni che li pongono come “oggetto” di pratiche sportive, come “soggetti” di intrattenimento del pubblico o, ancora, come utili e caldi abbigliamenti da fare invidia all’uomo di Neanderthal!
Una recente indagine Eurispes attesta che la gran parte degli italiani pone un severo “No!” a caccia, pellicce e circhi con animali; ben all’85,5% si attestano gli oppositori delle pellicce, al 74,3% quelli alla caccia e il 65% al ricorso di animali negli spettacoli circensi.
 
Grazie all’introduzione della legge 20 luglio 2004, n.189, recante "Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate", che ha profondamente modificato l'assetto normativo in tema di animali, dopo il titolo IX del libro II del Codice penale, è stato inserito il titolo IX-bis, "dei delitti contro il sentimento degli animali".
ll maltrattamento di animali, la loro uccisione, l'abbandono e la detenzione incompatibile con le loro caratteristiche etologiche sono comportamenti vietati e puniti dal nostro Codice penale (precisamente agli articoli  544 bis e ss e negli articoli 727 e 727 bis).

Esistono, inoltre, altre disposizioni per la tutela degli animali collegate alla riforma del Codice penale: 
  1. il Decreto Ministero della Salute 2 novembre 2006 Individuazione delle associazioni e degli enti affidatari di animali oggetto di provvedimento di sequestro o di confisca, nonché determinazione dei criteri di riparto delle entrate derivanti dall'applicazione di sanzioni pecuniarie. (GU n. 19 del 24-1-2007)
  2. il Decreto Ministero dell’Interno 23 Marzo 2007 Individuazione delle modalità di coordinamento delle attività delle Forze di polizia e dei Corpi di polizia municipale e provinciale, allo scopo di prevenire e contrastare gli illeciti penali commessi nei confronti di animali (GU n. 104 del 7-5-2007).
Leggi che sembrerebbero porre un primo ostacolo allo sviluppo di pratiche definitive “sportive” che vedono coinvolte gli animali. A proposito della caccia, appunto, è stata emanata una legge, risalente al 1992, la n. 157, recante “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” al cui art 1, intitolato “Fauna selvatica”, si rinviene:
  1. La fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell'interesse della comunità nazionale ed internazionale.
  2. L'esercizio dell'attività venatoria è consentito purché non contrasti con l'esigenza di conservazione della fauna selvatica e non arrechi danno effettivo alle produzioni agricole.
Si parla, dunque, di “esigenza di conservazione della fauna selvatica” e il primo necessario riferimento è, quindi, alle specie in via di estinzione. Sarebbe quindi utile, se non bandire la pratica, istituire dei veri e propri corsi che permettano al cacciatore di riconoscere la specie protetta (sia in volo che in terra) e intensificare i controlli, rendendoli più rigidi e severi nei luoghi ove è fatto divieto di caccia. 
 
L’ordinamento, riguardo ai divieti di esercizio della caccia, si è limitato a sancire “Le regole principali della caccia” che riportiamo di seguito:
  • Distanze dalle case. La caccia è vietata per una distanza di 100 metri da case, fabbriche, edifici adibiti a posto di lavoro. E' vietato sparare in direzione degli stessi da distanza inferiore di 150 metri.
  • Distanze da strade e ferrovie. La caccia è vietata per una distanza di 50 metri dalle strade (comprese quelle comunali non asfaltate) e dalle ferrovie. E' vietato sparare in direzione di esse da distanza inferiore a 150 metri.
  • Distanze da mezzi agricoli. La caccia è vietata a una distanza inferiore di 100 metri da macchine agricole in funzione.
  • Distanze da animali domestici. La caccia nei fondi con presenza di bestiame è consentita solo ad una distanza superiore a metri 100 dalla mandria, dal gregge o dal branco.
  • Mezzi vietati di caccia. Reti, trappole, tagliole, vischio, esche e bocconi avvelenati, lacci, archetti, balestre, gabbie trappola.
  • Giorni vietati. Martedì e venerdì sono giorni di assoluto silenzio venatorio anche se festivi.
  • Violazione di domicilio. L'articolo 614 del codice penale "Violazione di domicilio" punisce chi si introduce nei giardini e nelle pertinenze delle abitazioni civili.
  • Disturbo delle persone. L'articolo 659 del codice penale "Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone" punisce chi con rumori molesti disturba le occupazioni o il riposo delle persone.
  • Spari nei pressi delle abitazioni. L'art. 703 del codice penale "Accensioni ed esplosioni pericolose" punisce penalmente chi in un luogo abitato o nelle sue adiacenze o lungo una pubblica via o in direzione di essa spara con armi da fuoco.
Ma passiamo al capitolo circo. Sono ordinari i casi di malnutrizione e condizioni di mantenimento pessime per animali che non nascono in cattività e né hanno consuetudine a vivere con l’uomo. L’attività circense è regolamentata in Italia dalla legge 337/68, seguita da una circolare esplicativa del 1989 (4804/TB30) e da innumerevoli Decreti Ministeriali, i quali più che altro confermano i criteri sulle autorizzazioni annuali.
Nella legge non è contenuta alcuna norma a tutela degli animali. I circhi dovrebbero inoltre rispettare quanto stabilito dalla “Convenzione Internazionale di Washington sul commercio di specie in via di estinzione” ed i cui reati sono in Italia previsti dalla Legge 150/92. La stessa legge, modificata dalla n. 426 del 9.12.98, consente ai circhi di detenere animali pericolosi solo se “dichiarati idonei dalle autorità competenti in materia di salute e incolumità pubblica, sulla base dei criteri fissati previamente dalla Commissione Scientifica [...]”. I circhi devono inoltre rispettare quanto previsto del D.P.R. 8 febbraio 1954 n. 320 sull’obbligo di vigilanza veterinaria in quanto impianti adibiti al concentramento di animali che possono costituire pericolo per la diffusione di malattie infettive e diffusive.
Fin qui l’attenzione è rivolta, com’è giusto, all’uomo, ma ancora niente a favore degli animali.
L’invito potrebbe rivolgersi agli stessi Comuni che per primi potrebbero rifiutarsi di accoglierli nel proprio territorio. Anche se i Comuni non potrebbero vietare in assoluto l’attendamento dei circhi, non potendosi vietare localmente ciò che a livello nazionale è del tutto legale.
 
Per quanto riguarda il  tema "pelliccia" nonostante l’alta percentuale di contrari la pratica è ancora tuttora in uso. Il dibattito intorno all'uso della pelliccia ha il più delle volte diviso l’opinione pubblica creando veri e propri sbarramenti. Da un lato esponenti di associazioni animaliste che ribadiscono le condizioni e i maltrattamenti a cui sono sottoposti gli animali per produrre un capo d’abbigliamento producibile anche con altri materiali e dall’altra esponenti dei produttori che riportano esperienze di animali in allevamenti controllati e nel pieno rispetto delle normative in materia. In tema di norme, nel 2001 è stato ottenuto il divieto di importazione e vendita delle pellicce di cane e gatto. Nel 2004 il divieto è inserito nella legge 189. Nel 2006 un decreto interministeriale vieta in Italia l’importazione e il commercio di pelli e altri prodotti di foca.
 
Oltre alla succitata Convenzione di Washington, degna di menzione è, senz’altro, la Dichiarazione universale dei diritti dell'animale. Proclamata a Parigi nel 1978 e redatta dalla L.I.D.A. (Lega Italiana dei Diritti dell'Animale) ed altre associazioni nazionali in materia di protezione degli animali, la dichiarazione si propone di rivendicare l'etica del rispetto verso l'ambiente e tutti gli esseri viventi. Nella Premessa, che riportiamo di seguito, si ha un quadro ben chiaro degli intenti della Dichiarazione e dei suoi presupposti:
 
Considerato che ogni animale ha dei diritti;
considerato che il disconoscimento e il disprezzo di questi diritti hanno portato e continuano a portare l' uomo a commettere crimini contro la natura e contro gli animali;
considerato che il riconoscimento da parte della specie umana del diritto all'esistenza delle altre specie animali costituisce il fondamento della coesistenza delle specie nel mondo;
considerato che genocidi sono perpetrati dall' uomo e altri ancora se ne minacciano;
considerato che il rispetto degli animali da parte degli uomini è legato al rispetto degli uomini tra loro;
considerato che l'educazione deve insegnare sin dall'infanzia a osservare, comprendere, rispettare e amare gli animali.
 
La maggior critica mossa a questo importante atto fa riferimento all’art. 1 che sancisce l’uguaglianza di tutte le specie animali. In realtà, però, non si possono negare le evidenti differenze di forme e di capacità esistenti tra gli animali.
Sottoposto ad ampi dibattiti è anche l'articolo 8 che si riferisce alla sperimentazione animale dichiarandola incompatibile ai principi sanciti nella Dichiarazione laddove implichi una sofferenza fisica o psichica; ma, in questo caso, non viene posto all'uomo un esplicito obbligo di non uccidere, come contro altare al diritto alla vita di ogni essere vivente. Si ammette la possibilità che l'animale "allevato per l'alimentazione dell'uomo sia [...] ucciso" (art. 9), purché da ciò non ne risulti ansietà e dolore.
In definitiva la Dichiarazione si pone come un invito alla specie umana a modificare il suo modo di interagire con gli altri esseri viventi, ridimensionando la gestione dell'economia biologica.
Essenziale alla nostra indagine, a questo punto, è la qualificazione giuridica "soggetto" del nostro esame: come si configura l’animale nel nostro ordinamento? 
L'impianto giuridico di tradizione continentale vede la qualificazione giuridica dell'animale come res, posizione di chiara matrice romanistica. Tale assetto dogmatico è, però, andato in crisi quando è stato giuridicamente sancito, all' articolo 13 del Trattato di Lisbona, il carattere senziente degli animali. Ciò non implica un riconoscimento pieno di soggettività giuridica dell'animale ma fa in modo che un tale passo sia auspicabile o, per lo meno, prevedibile.
Basta volgere lo sguardo oltralpe per scorgere all'art 90 del BGB una chiara e semplice presa di posizione: "Tiere sind keine Sachen" ovvero "gli animali non sono cose". Si può, quindi , iniziare a parlare di un graduale abbandono dell'accezione prettamente "oggettiva" dell'animale rivolta ad un suo mero riferimento estrinseco, marginale e indiretto e tentare di aprire le porte ad una accezione "soggettiva" che veda l'animale titolare e destinatario di diritti o, quantomeno, nel tentativo di mediazione in questo sdoppiamento dogmatico, farne "la proprietà più protetta che ci sia".
E’ un auspicio unanime adottare una soluzione più moderna nel definire lo status giuridico degli animali, tutelarne le condizioni e i suoi rapporti con l’uomo, dopotutto, come lo stesso Mahatma Gandhi sosteneva, “la civiltà di un popolo si misura dal modo in cui tratta gli animali”.
 
 

Bibliografia e fonti

  • Articolo 3, decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1979, pubblicato in G. U. del 2 giugno 1979, n. 150.
  • Dossier Nemesi Animale “Il circo con gli animali - Luogo di privazioni e scuola di violenza”
  • Centro di Documentazione "L'altro diritto", Dipartimento di Teoria e storia del diritto dell'Università di Firenze.
  • Art 13 Trattato di Lisbona "Nella formulazione e nell’attuazione delle politiche dell'Unione nei settori dell’agricoltura, della pesca, dei trasporti, del mercato interno, della ricerca e sviluppo tecnologico e dello spazio, l'Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti, rispettando nel contempo le disposizioni legislative o amministrative e le consuetudini degli Stati membri per quanto riguarda, in particolare, i riti religiosi, le tradizioni culturali e il patrimonio regionale"
  • Orro "State Animal Protection Laws - The Next Generation" cit.