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Pubbl. Ven, 29 Giu 2018
Sottoposto a PEER REVIEW

Azione revocatoria fallimentare avverso altro fallimento

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Antonio Nasti


Profili sostanziali di ammissibilità dell´azione revocatoria fallimentare nei confronti di un altro fallimento: portata innovatrice dell´Ordinanza interlocutoria n. 1894 del 25.01.2018 in attesa della pronunzia della cassazione a Sezioni Unite


Sommario: 1. Introduzione;  2. Diversi orientamenti giurisprudenziali; 3. Vecchie problematiche e nuovi orizzonti applicativi; 4. Riflessioni conclusive.

1. Introduzione

Per anni la questione riguardante l’ammissibilità dell’azione revocatoria esercitata in sede fallimentare, disciplinata  agli artt. 66 e SS. Del Regio Decreto n. 267 del 16 Marzo 1942 meglio conosciuto come “Legge Fallimentare”, nei riguardi di un altro fallimento, è risultata assai complessa ed accompagnata da un ondivago orientamento giurisprudenziale.

Oggi essa riemerge prepotentemente a seguito dell’ordinanza interlocutoria della prima sezione civile della corte di cassazione n. 1894 del 25.01.2018 con la quale il collegio rimette la questione al primo presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite. La scintilla che riaccende l’interesse per l’argomento è rappresentata da un caso controverso concernente una procedura fallimentare che si era azionata nei confronti di un’altra procedura concorsuale, per sentir dichiarare revocata una compravendita di azienda conclusa a prezzo assunto come vile. Al riguardo, il giudice di prime cure aveva accolto la domanda; al contrario, in sede di gravame, la decisione veniva ribaltata, contro quest’ultima veniva proposto ricorso e pertanto, la questione passava al vaglio degli ermellini. D’altronde, che la disciplina dell’azione revocatoria rappresenti un punto critico della legge fallimentare, è cosa ben nota, basti ricordare quanto affermato dal Guardasigilli Grandi, nella Relazione alla Legge del ’42, laddove testualmente la qualificava come “il problema centrale del fallimento[1]”.

Gli elementi che storicamente hanno costituito la base logico-giuridica sulla quale la maggioranza dei tribunali ha fondato l’inammissibilità dell’azione de quo nei confronti di un altro soggetto sottoposto a procedura concorsuale sono essenzialmente due: In primis il cd. principio di cristallizzazione della massa passiva, ex artt. 51 e 52 L.F., a mente del quale, una volta dichiarato il fallimento, nessuna azione individuale esecutiva o cautelare può essere iniziata o proseguita dai creditori sui beni del fallito (art.51) e per ottenere il soddisfacimento su tali beni, ogni credito deve essere previamente accertato secondo le norme stabilite dalla legge fallimentare per la formazione dello stato passivo (art.52). In sostanza avviene un congelamento del patrimonio fallimentare, posto a garanzia della par condicio creditorum, che lo rende insensibile a pretese nascenti da titoli formatisi in epoca posteriore  e per effetto di ciò risulterebbe ostativo alla proponibilità della citata azione.

Il secondo aspetto attiene invece al carattere costitutivo dell’azione, posto che l'effetto giuridico favorevole all'attore in revocatoria si produce solo a seguito della sentenza di accoglimento, tale effetto non può essere invocato nei confronti della massa dei creditori ove l'azione sia stata esperita dopo l'apertura della procedura concorsuale stessa.

La Corte, da par suo,  principiando proprio dalla confutazione dei suindicati elementi, evidenzia come per molto tempo si sia troppo sommariamente optato per una soluzione preclusiva, discostandosi inspiegabilmente dalle decisioni di una parte di giurisprudenza, non minoritaria ne tantomeno superata ma risalente nel tempo, che pur si era espressa  favorevolmente all’ammissibilità; da qui, stante il  confuso contesto giurisprudenziale di fondo, la necessità della rimessione, ex art. 374 c.p.c., alle sezioni unite, affinché, queste pronunciandosi, assolvano alla funzione nomofilattica e di conseguenza sgombrino definitivamente il campo da ogni sorta di dubbio interpretativo ed incertezza applicativa. Si percepisce ictu oculi che la questione, per portata e rilevanza sostanziale, rappresenta, non solo una imperdibile occasione di fattivo dibattito circa la spinosa tematica, ma soprattutto di sensibilizzazione rispetto agli enormi risvolti pratici intrinseci, specie e soprattutto in vista della pronuncia delle sezioni unite. Appare dunque, tanto doverosa quanto opportuna, una dettagliata e dinamica analisi della questione, funzionalizzata ad una migliore comprensione dello strumento, delle ragioni della sua esperibilità e delle considerevoli  ripercussioni  pratiche.   

2. Diversi orientamenti giurisprudenziali

In giurisprudenza così come in dottrina, in merito a legittimazione, presupposti, effetti e regime  abbondantemente è stato detto e scritto, tanto da non far registrare particolari difficoltà nella qualificazione e nella comprensione dei riferiti aspetti; pertanto, l’elaborato si prefigge il precipuo obiettivo di sostenere i ragionamenti contenuti nella summenzionata ordinanza interlocutoria, cercando di avvalorare, attraverso una folta argomentazione, la tesi favorevole all’ammissibilità dell’azione revocatoria fallimentare avverso un soggetto già dichiarato fallito. Una trattazione esaustiva, quindi, non può che aver inizio dall’individuazione dei diversi orientamenti e del loro differente modo di intendere gli aspetti, come ad esempio il principio di cristallizzazione della massa fallimentare, che, come accennato in premessa, oltre a rappresentare la ragione primaria dell’inammissibilità, al contempo costituisce il punto di maggiore criticità per studiosi ed operatori del settore.

Possiamo senza dubbio operare all’uopo una summa divisio all’interno del panorama giurisprudenziale, individuando sostanzialmente due orientamenti. Il primo, che ad oggi è quello maggioritario e contrario all’ammissibilità[2], al quale si contrappone l’altro, meno recente e favorevole all’ammissibilità. In particolare, a parere dei sostenitori della tesi negativa, il meccanismo di blocco, generato dalla sentenza dichiarativa di fallimento, rappresenta una “fotografia” del patrimonio che è resa possibile dal divieto delle azioni individuali esecutive e cautelari, ed ha durata limitata alla procedura fallimentare, pertanto e per effetto di ciò, la proponibilità dell’azione in esame risulta incompatibile. Questa tesi è stata corroborata, soprattutto negli ultimi anni, da numerose pronunce giurisdizionali[3] [4], le quali, facendo leva proprio sul divieto di inizio o prosecuzione di azioni individuali esecutive o cautelari, contemplato all’art. 51 L.F., e tenendo presente la caratteristica insensibilità della massa fallimentare, si sono sempre determinate per l’inammissibilità.

In secondo luogo, e sempre a detta di costoro, parimenti il carattere costitutivo dell’azione rappresenta elemento ostativo alla proponibilità, poiché, una eventuale sentenza di revoca produrrebbe la modifica di una situazione giuridica preesistente, con efficacia ex nunc, di fatto confliggendo con i principi ai quali il sistema è informato, in quanto rappresenterebbe un titolo formatosi in epoca posteriore alla dichiarazione di fallimento.

Di differente avviso sono gli esponenti del contrapposto orientamento, invero, questi sembrano attestarsi su una posizione che potremmo definire “intermedia”, poiché prediligono la soluzione della “prosecuzione”; in buona sostanza, si ritiene che l’azione revocatoria previamente esperita, possa essere proseguita ove, nelle more di quel giudizio, sopravvenga il fallimento del soggetto convenuto in revocatoria. Quest’ultimo orientamento, folto e più tradizionale, ha fatto proprie le argomentazioni delle sezioni unite[5] secondo le quali, è pacifica la possibilità per il curatore di proseguire il giudizio intrapreso prima del fallimento dal singolo creditore, subentrando naturalmente nella posizione processuale di quest’ultimo.

Il collegio rimettente sembra condividere maggiormente quest’ultimo orientamento, anzi, considerando la portata della menzionata ordinanza e a voler esser puntuali, si proietta addirittura oltre, giacché, in virtù del tenore letterale dello stesso art. 51 L.F. il quale de facto sembra parificare, riguardo ad azioni individuali di natura esecutiva e cautelare, il proseguimento dell’azione alla sua proposizione, reputa preferibile e ancor più convincente optare per l’esperibilità in ogni caso.

3. Vecchie problematiche e nuovi orizzonti applicativi

Appare dunque opportuno procedere ad una minuziosa rassegna di quelle questioni che rappresentano i fondamenti e rectius i motivi dell’inammissibilità. Preliminarmente si chiarisce che tale esposizione, lungi dall’essere una mera e sterile elencazione, al contrario si prefigge di analizzare dinamicamente la compatibilità degli stessi elementi con l’azione in esame, cercando di veicolare l’attenzione del lettore verso una prospettiva nuova dalla quale inquadrare il tema.

Prima di iniziare l’analisi in chiave critica, per lapalissiane ragioni, si rendono necessarie alcune considerazioni preliminari concernenti l’eventuale conflitto di competenza che verrebbe ad  esistere tra l’art. 24 L.F. (per il quale il tribunale che ha dichiarato il fallimento è competente a conoscere delle azioni che da esso derivano), e l’articolo 52 della medesima legge (in virtù del quale, aperto il fallimento, ogni credito deve esser accertato secondo le norme previste per l’insinuazione e la verificazione dello stato passivo). Orbene, in realtà, il combinato disposto degli articoli in esame non sembra costituire un ostacolo all’esperibilità della revocatoria nei termini auspicati, per meglio comprendere il senso della considerazione, si richiama un’autorevole e risalente giurisprudenza della cassazione[6], irrobustita da altrettanto insigne dottrina[7], la quale, nell’enunciare la distinzione tra la domanda di accertamento/costitutiva e domanda restitutoria[8], ha concluso che: la prima segue la regola enunciata all’art. 24, e pertanto necessita della proposizione dinanzi al tribunale che ha dichiarato il fallimento in quanto ”derivata” dal fallimento, mentre la seconda deve seguire la regola di cui all’articolo 52 perché deve essere proposta innanzi al tribunale che ha dichiarato il fallimento del convenuto e quindi con le regole proprie dell’accertamento del passivo, aggiungendo infine, che l’improponibilità, improcedibilità, come anche l’improseguibilità del giudizio riguarda le azioni di condanna, ma non quelle di accertamento.

Chiusa questa opportuna parentesi, possiamo procedere all’analisi del principio di cristallizzazione della massa passiva. Si deve in primo luogo focalizzare l’attenzione sull’effetto che discende dalla pronuncia revocatoria, sembra utile all’analisi  menzionare la condivisibile posizione della giurisprudenza della suprema corte[9], la quale, in numerose pronunce, ha rimarcato che la natura di suddetto effetto è da considerarsi come retroattiva, l’atto dispositivo dunque seppur dotato astrattamente di validità viene a mancare ab origine di efficacia nei confronti del fallimento proponente, prospettando di fatto una situazione di “originaria inesistenza”. È chiaro che se la tematica viene inquadrata dalla suddetta angolatura e la si valuta muovendo dalla spiegata prospettazione, la lesione della cristallizzazione risulta scongiurata e allo stesso modo non sembra venire intaccata nemmeno la par condicio creditorum. Ancora, non si considera pleonastico rammentare che, come autorevolmente enucleato da esponenti della dottrina,  il divieto di azioni esecutive individuali è volto, contrariamente a quanto di sovente si sostiene, non tanto alla parità di trattamento sostanziale dei creditori della massa, ma a consentire agli organi della procedura di stabilire congruamente tempi e modi della liquidazione del patrimonio del debitore[10].

Inoltre, in una prospettiva integrativa delle considerazioni che precedono, si segnala che, come eminentemente sancito dalle sezioni unite[11], l’obbligazione restitutoria pecuniaria del soggetto che si vede revocato un atto, è da ritenersi di valore e, di conseguenza sarà comprensiva rispettivamente, di rivalutazione monetaria, dal momento del fatto a quello del pagamento, e degli interessi, ferma restando poi la  possibilità che questi stessi interessi possano cominciare a decorrere anche da un momento anteriore alla domanda giudiziale, laddove vi sia stata rituale messa in mora[12].

Per quanto concerne poi la dibattuta questione relativa alla natura della sentenza di revoca, è importante, in via preliminare, ribadire che l’orientamento giurisprudenziale prevalente propende per il riconoscimento del carattere costitutivo e quindi dell’efficacia ex nunc, ma detto questo, risulta parimenti importante ricordare che il summenzionato orientamento solo nell’ultimo ventennio si è attestato sulle citate posizioni. Proprio a tal proposito si auspica un “ritorno alle origini” traendo spunto dall’illustre pensiero di una parte di dottrina, la quale, nocte temporis, ha postulato che l’azione revocatoria in esame si rivela non tanto come costitutiva, quanto come “accertamento con effetti costitutivi” di fatto manifestando una natura più simile a quella dichiarativa[13], la pretesa del soggetto che esperisce tale azione, riguarda non un diritto reale o un diritto di credito, ma una pronuncia dell’autorità giurisdizionale, che sia ripristinatoria della garanzia patrimoniale del debitore[14].

Inoltre, un ulteriore aspetto necessita di esser messo sotto la lente d’ingrandimento, quello della strumentalità dell’azione in esame con le azioni esecutive. L’orientamento giurisprudenziale corrente, muovendo dal presupposto che l’esercizio vittorioso della revocatoria conduca automaticamente e conseguenzialmente all’esperimento dell’azione esecutiva sul bene revocato, ed in ragione del divieto di dette azioni ex articolo 51 L.F., ha frettolosamente qualificato questo rapporto in termini di “stretta strumentalità” ritenendolo contrastante con l’effetto della cristallizzazione e perciò lesivo della “par condicio creditorum”. Al contrario non bisogna restare ancorati ad un improduttivo dogmatismo, ma serve un cambiamento di tendenza che si diriga verso una concezione nuova e maggiormente concreta, in quest’ottica, la stella polare deve essere necessariamente rappresentata dai ragionamenti della suprema corte, che in ordine a ciò si è preoccupata di specificare che, entrambe le azioni, de qua vivono di vita propria, stante la sostanziale diversità di struttura e scopo che le differenzia, aggiungendo altresì che è da ritenersi errato considerare l’una prodromica all’altra[15].

A questo punto della trattazione non sembra affatto inutile specificare che, in presenza di una pronuncia revocatoria, resteranno comunque precluse ed improponibili le azioni esecutive sul bene, proprio in ragione del divieto postulato dall’art. 51 L.F. Infatti, in tale ipotesi, per il convenuto che si è visto revocare l’atto a seguito della statuizione, si profila nient’altro che la logica possibilità dell’insinuazione nel passivo fallimentare per il credito equivalente al valore del bene revocato, tra l’altro in armonia con il fisiologico svolgimento della procedura concorsuale.

In limine, per completezza di informazione, può giovare, soprattutto in funzione sistematica,  porre l’accento sull’esempio della revocatoria detta “aggravata” ex art. 91 Dlgs. N 270/1999 nell’ambito della diversa procedura concorsuale della amministrazione straordinaria, esperibile avverso società facenti parte dello stesso gruppo e soggette all’unitaria direzione della società cosiddetta “madre”. Questa particolare revocatoria[16] è dettata al fine di colpire eventuali operazioni di “svuotamento” effettuate con il solo scopo di danneggiare altre società del gruppo, indipendentemente dal fatto che queste ultime siano in bonis od anch’esse siano assoggettate a procedura concorsuale. È importante sottolineare il riflesso pratico di una simile previsione, poiché l’esperimento dell’azione nel caso di specie dell’amministrazione straordinaria, consente il potenziale recupero di risorse da destinare alla soddisfazione della generalità dei creditori.

4. Riflessioni conclusive

In conclusione, da un’attenta analisi dell’ordinanza interlocutoria del 25.01.2018  n. 1894 della prima sezione civile corte di cassazione, che  in uno costituisce punto di partenza e di arrivo dell’elaborato, emergono vari spunti di riflessione; in primo luogo si evince un confuso scenario giurisprudenziale che si è visto mutato radicalmente nell’ultimo ventennio, passando da una più morbida posizione di proseguibilità ad una più stringente di inammissibilità, tutto questo in una realtà economico-sociale in continuo cambiamento che presenta dinamiche sempre più variegate e meritevoli di una tutela più appropriata; in secondo luogo, la necessità della rimessione al presidente per la eventuale assegnazione alle sezioni unite, dettata dall’urgenza, il collegio rimettente ha ritenuto la questione “di massima particolare importanza” e pertanto bisognevole della massima pronuncia, sintomo questo di una forte sensibilizzazione rispetto alle conseguenze dell’eventuale cambiamento giurisprudenziale.

Sono proprio queste considerazioni che inducono ad auspicare l’inversione di tendenza. I risvolti pratici sono tutt’altro che irrilevanti, con particolare riferimento alle imprese di grandi dimensioni, o ancora alle società controllate, come lo stesso collegio ha avuto cura di sottolineare, la pratica odierna propone frequenti operazioni di spostamento patrimoniale, eufemisticamente sospette, effettuate da società facenti parte di un medesimo gruppo, ed in avanzato stato di decozione, con l’unico scopo di creare ingiusto vantaggio ad una massa creditoria piuttosto che ad un’altra. Dunque, l’ammissione dell’esperibilità in quest’ottica rappresenterebbe lo strumento maggiormente idoneo ad evitare fattispecie simili, che sì sarebbero lesive dei fondamentali principi regolatori della materia, come la funzione antindennitaria della procedura e l’eguale trattamento di tutti i creditori concorsuali.

In questo scenario la pronuncia delle sezioni unite, nei termini auspicati, si preannuncia come epocale, poiché rappresenterebbe un vero e proprio momento di svolta.

  

Note e riferimenti bibliografici

  • A. Jorio, Fallimento e concordato fallimentare, Introduzione, Utet Giuridica, Torino 2016;
  • U. Macrì, Fallimento e concordato fallimentare, il tribunale fallimentare, Utet Giuridica, Torino 2016;
  • L. Guglielmucci, Diritto fallimentare, Giappichelli, Torino 2017;
  • Ferrara-Borgioli, Il fallimento, Giuffrè, Milano 1995;
  • Satta, Diritto fallimentare, Cedam, Padova 1996:
  • R. Marraffa, Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi e tutela dei creditori, Giappichelli, Torino, 2012.

Giurisprudenza
Cass. Sentenza 12 Maggio 2011 n. 10486
Corte di Appello, Napoli 25 Maggio 2014
Ord. Cass. 8 Marzo 2012 n. 3672
Cass. S. U. n. 29421/2008
Cass. Sentenza n. 7583/1994
Cass. 14 Ottobre 1963 n. 2746
Cass. 24 Aprile 2012 n6270
Cass. SS. UU. 28 Aprile 1973 n1169
Cass. 25 Giugno 2009 n. 14896
Cass. n. 21810/2015
Cass. 2 Dicembre 2011 n. 25850

Note
[1] A. JORIO, Fallimento e concordato fallimentare-introduzione, Torino 2016,  pag. 55
[2] Cass. Sentenza 12 Maggio 2011 n. 10486
[3] Corte di Appello, Napoli 25 Maggio 2014
[4] Ord. Cass. 8 Marzo 2012 n. 3672
[5] Cass. S. U. n. 29421/2008
[6] Cass. Sentenza n. 7583/1994
[7] U. MACRÌ, Fallimento e concordato fallimentare, il tribunale fallimentare, Torino 2016, p. 842
[8] Cass. 14 Ottobre 1963 n. 2746
[9] Cass. 24 Aprile 2012 n6270
[10] L. Guglielmucci, Diritto fallimentare, VIII ed., Torino, 2017, p. 192
[11] Cass. SS. UU. 28 Aprile 1973 n. 1169
[12] Cass. 25 Giugno 2009 n14896
[13]FERRARA-BORGIOLI, il Fallimento, Milano1995, p.423; SATTA, Diritto fallimentare, Padova 1996, p. 261
[14] Cass. n. 21810/2015.
[15] Cass. 2 Dicembre 2011 n. 25850.
[16] R.M ARRAFFA, Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi e tutela dei creditori, Torino 2012, p. 172.