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Pubbl. Ven, 15 Giu 2018

La CGUE conferma la soglia stabilita dal legislatore italiano per i reati in materia tributaria

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Nicolò Giordana


La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha sentenziato, nella causa pregiudiziale C-574 del 2015, che la soglia di punibilità prevista dall’art. 10-ter D. Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 di 250.000 euro per i reati in materia di Iva, non contrasta col diritto eurounitario.


La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha sentenziato, nella causa pregiudiziale C-574/15, che la soglia di punibilità prevista dall’art. 10-ter  D. Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, di 250.000 euro per i reati in materia di Iva, non contrasta col diritto eurounitario.

La sentenza prende le mosse dal caso Scialdone che vedeva l’amministratore della Siderlaghi S.r.l., Mauro Scialdone, essere chiamato innanzi al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Varese per non aver versato entro il termine di legge l’Imposta sul valore aggiunto dovuta per l’anno 2012 in relazione alla dichiarazione annuale, ammontare per un totale di circa 175.000 euro. A seguito dell’avvenuta contestazione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, dell’illecito la Società concordava un pagamento rateizzato della somma entro trenta giorni dalla comunicazione dell’Agenzia al fine di decurtare le sanzioni amministrative. Contemporaneamente, il 29 maggio 2015, la Procura varesina esercitava l’azione penale contro lo Scialdone chiedendo al Gip l’emissione di un decreto penale di condanna all’ammenda di 22.500 euro sulla base della vigente normativa penalistica che prevedeva la soglia di non punibilità a 103.291,38 euro così come definito in Corte Costituzionale, sent. 7-8 aprile 2014, n. 80.

A seguito delle modifiche apportate dall’art. 8, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 entrato in vigore il 22 ottobre 2015 la soglia di punibilità è stata innalzata ad euro 250.000 definendo un impianto punitivo di assoluto favor per i procedimenti in corso. La norma quindi amplia da un lato la già esistente causa di non punibilità del “sottosoglia” e dall’altro lato ne introduce una nuova all’art. 13 D.Lgs. 74/2000 sulla base di una mera attenuante prevista dalla normativa precedente.

Non risulta punibile chi, reo inter alios del delitto di cui all’art. 10-ter, ha estinto mediante integrale pagamento degli importi dovuti – anche a seguito di speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie ovvero del ravvedimento operoso – i debiti tributari compresa ogni sanzione amministrativa e relativi interessi prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. Entrambe le cause di non punibilità, in virtù dei principi in materia di successione delle leggi penali nel tempo, trovano piena applicazione nel caso Scialdone in quanto norme più favorevoli.

Il Gip di Varese ha interrogato allora la Corte di Giustizia se la nuova normativa italiana possa contrastare con i Trattati, la Direttiva Iva e la Convenzione Pif nel punto in cui prevede una soglia di 250.000 euro per il reato di omesso versamento dell’Iva e invece di 150.000 euro per l’omesso versamento dell’imposta sui redditi da parte del sostituto d’imposta paventando una possibile violazione del principio di equivalenza.

Sul punto la Grand Chambre ha chiarito che la Direttiva Iva non armonizza le sanzioni applicabili in materia di Imposta sul valore aggiunto che rimane di competenza esclusiva degli Stati membri i quali hanno un obbligo di risultato, ossia il contrasto alle attività illecite che ledono gli interessi finanziari dell’Unione nel rispetto dei principi di effettività – ovverosia adottando misure dissuasive, effettive e proporzionali – e di equivalenza dovendo proteggere gli interessi unionali nella stessa maniera con cui si tutelano quelli nazionali, in altri termini sanzioni analoghe per illeciti analoghi.

Anche per le sanzioni in materia di omesso versamento dell’Iva sono necessarie interventi punitivi che rispondono ai criteri di effettività in quanto, nonostante questa condotta di per sé non costituisca frode (specie nel caso in cui sia preceduto da una corretta dichiarazione) e di conseguenza la sanzione penale comminata per la mera omissione del versamento non sia ritenibile indispensabile, trattasi comunque di un comportamento illecito.

La normativa italiana per l’omesso versamento sottosoglia prevede una sanzione amministrativa pecuniaria pari al 30% dell’imposta dovuta gravata da interessi moratori dovuti all’erario e la possibilità di ridurre la sanzione dovuta dal contribuente nel momento in cui egli regolarizza la propria situazione. La Corte, esaminato l’impianto legislativo, ha atteso essere rispettato il principio di effettività anche nel caso in cui le sanzioni vengano inflitte solo alla società e non anche ai suoi amministratori.

Il principio di effettività non impone quindi un necessario intervento legislativo nel campo del diritto penale essendo ampiamente sufficiente quello di carattere amministrativo, va da sé che la soglia dei 250.000 euro sia del tutto legittima alla luce del diritto eurounitario.

Sul principio di equivalenza la Corte non ha ritenuto assimilabili o comparabili il reato di omesso versamento dell’Iva con quello di versamento delle ritenute da parte del sostituto d’imposta: invero il primo pone a repentaglio gli interessi dell’Unione, mentre il secondo attiene ad una sfera interna legata allo Stato membro (Italia). Il sostituto d’imposta, cui indirettamente è riconosciuta una capacità certificativa, può, infatti, rilasciare al contribuente una certificazione con cui dichiara l’avvenuto pagamento dell’imposta alla fonte per farla valere avanti l’Amministrazione fiscale in modo tale che il contribuente venga liberato dall’obbligo di pagamento dell’imposta.

Mentre il reato in materia di Iva è quindi commesso in via diretta dal contribuente, il reato di omesso versamento delle ritenute non vede il medesimo soggetto attivo in quanto il reo è il sostituto. Ad avviso della CURIA, quindi, il principio di equivalenza non vincola quindi la normativa in esame non trattandosi di situazioni analoghe.