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Pubbl. Lun, 2 Mar 2015

La responsabilità civile dei magistrati ora è legge

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Eleonora De Angelis


Il 24 Febbraio 2015, la Camera ha emesso il suo sì definitivo al disegno di legge che va a modificare la disciplina prevista in tema di responsabilità civile dei magistrati, ad oggi disciplinata dalla legge n. 117 del 1988 (cd. "Vassalli").


Il 24 febbraio 2015, con 265 sì, 51 no e 63 astenuti, la Camera ha espresso il suo sì definitivo al disegno di legge che apporta modifiche alla responsabilità civile dei magistrati, ad oggi disciplinata dalla cosiddetta "legge Vassalli" del 1988. In realtà, la nuova legge non si pone in termini di rivoluzione assoluta, dal momento che rimane, come punto fermo, la natura indiretta della responsabilità dei togati. Il cittadino, infatti, non può fare causa direttamente al magistrato interessato ma deve necessariamente esecitare l'azione risarcitoria nei confronti dello Stato.

Ma quali sono i motivi che consentono al cittadino di proporre ricorso? Può fare ricorso il cittadino che ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento o di un provvedimento di un magistrato, esercitato con dolo, colpa grave, ovvero per diniego di giustizia. Quest'ultima ipotesi si configura in caso di caso di rifiuto, omissione o ritardo del magistrato nel compimento di atti del suo ufficio, quando, trascorso il termine di legge per il compimento dell'atto, la parte abbia presentato istanza per ottenere il provvedimento e siano decorsi inutilmente, senza giustificato motivo, trenta giorni dalla data di deposito in cancelleria (art. 3 legge 13 aprile 1988, n. 117).

La nuova previsione normativa, inoltre, va a ridefinire le ipotesi di colpa grave.
Insieme alla "negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento" e alla "affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento" viene introdotta la fattispecie del "travisamento del fatto o delle prove", della "emissione di un provvedimento cautelare personale o reale fuori dei casi previsti dalla legge oppure senza motivazione" e vengono inoltre specificati i presupposti da tenere in considerazione per determinare quando si è in presenza di una "violazione manifesta della legge e del diritto dell'Unione europea" (che, ai sensi del nuovo comma 3, costituisce ulteriore ipotesi di colpa grave del magistrato), ovvero:

  • il grado di chiarezza e precisione delle norme violate;
  • l'inescusabilità e gravità della inosservanza.

Per il caso della sola violazione manifesta del diritto dell'Unione europea, si dovrà tenere conto anche:

  • dell'inosservanza dell'obbligo di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione europea (CGUE);
  • del contrasto interpretativo cioè del contrasto dell'atto o del provvedimento emesso dal giudice con l'interpretazione adottata dalla stessa CGUE. (1)

Altro elemento di novità è l'introduzione dell'obbligo in capo allo Stato (che agisce nella persona del Presidente del Consiglio dei Ministri) di esercitare l'azione di rivalsa nei confronti del magistrato interessato entro due anni dal risarcimento, avvenuto sulla base del titolo giudiziale o stragiudiziale nei riguardi dello Stato (2). In base ad una ridefinizione della soglia economica della rivalsa, il magistrato risponderà fino ad un massimo della metà di uno stipendio annuo, al netto delle trattenute fiscali, percepito dal magistrato nel tempo in cui è proposta l'azione risarcitoria (a differenza della normativa precedente che prevede il limite di un terzo).

In aggiunta a ciò, si annovera la soppressione del "filtro" di ammissibilità della domanda di risarcimento contro lo Stato, vale a dire il controllo a monte circa la l'esistenza dei presupposti e la valutazione di manifesta infondatezza del ricorso (oggi affidata al tribunale dei distretto di Corte d' Appello).

A fronte dei numerosi punti di novità che la nuova legge porta con sè, rimane ferma la cd. "clausola di salvaguardia", vale a dire la previsione per cui, in via generale, il magistrato non è chiamato a rispondere per l'attività di interpretazione della legge e di valutazione del fatto e delle prove. Tuttavia, la legge esclude da tale ambito di irresponsabilità i casi di dolo, di colpa grave (come individuati dalla legge 117) e di violazione manifesta della legge e del diritto della UE (come definita dalla medesima legge). In queste specifiche circostanze, infatti, anche l'attività interpretativa di diritto e valutativa del fatto e delle prove può dare luogo a responsabilità del magistrato (3).

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(1) Art. 2, comma 1 ("All’articolo 2 della legge 13 aprile 1988, n. 117, sono apportate le seguenti modificazioni:"), lett. c) «3-bis. Fermo restando il giudizio di responsabilità contabile di cui al decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639, ai fini della determinazione dei casi in cui sussiste la violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione europea si tiene conto, in particolare, del grado di chiarezza e precisione delle norme violate nonché dell’inescusabilità e della gravità dell’inosservanza. In caso di violazione manifesta del diritto dell’Unione europea si deve tener conto anche della mancata osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267, terzo paragrafo, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, nonché del contrasto dell’atto o del provvedimento con l’interpretazione espressa dalla Corte di giustizia dell’Unione europea».

(2) In caso di mancata rivalsa, l'art. 7. (Modifica all’articolo 13 della legge 13 aprile 1988, n. 117) è chiaro: "1. All’articolo 13 della legge 13 aprile 1988, n. 117, dopo il comma 2 è aggiunto, in fine, il seguente: «2-bis. Il mancato esercizio dell’azione di regresso, di cui al comma 2, comporta responsabilità contabile. [...]»

(3) Art. 2, comma 1 ("All’articolo 2 della legge 13 aprile 1988, n. 117, sono apportate le seguenti modificazioni:"), lett. c) «2. Fatti salvi i commi 3 e 3-bis ed i casi di dolo, nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove»