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Pubbl. Mer, 27 Giu 2018

Responsabilità professionale dell´avvocato: la particolare fase della mediazione

Barbara Mascitto


Sempre più numerose sono le pronunce giudiziarie che attestano il modificarsi degli orientamenti del passato: oggi il libero professionista è sottoposto ed esposto ad un elevato grado di responsabilità.


Sommario: 1. Introduzione; 2. Rapporto tra avvocato e cliente; 3. Obbligazioni nell’attività stragiudiziale ed ante causam; 4. Obbligazioni nell’attività di mediazione; 5. Fase introduttiva; 6. Mediazione delegata; 7. Conclusioni.

Sommario: 1. Introduzione; 2. Rapporto tra avvocato e cliente; 3. Obbligazioni nell’attività stragiudiziale ed ante causam; 4. Obbligazioni nell’attività di mediazione; 5. Fase introduttiva; 6. Mediazione delegata; 7. Conclusioni.

1. Introduzione

Fino agli anni ’50 possiamo tranquillamente affermare che l’avvocato ha goduto di una sorta di “impunità”, nel senso che la sua responsabilità professionale avrebbe potuto essere affermata solo dove si fosse potuto stabilire con certezza un rapporto tra diligenza ed esito favorevole del giudizio; questo, però, risultava essere impossibile in quanto “ogni sentenza è condizionata da una quantità di fattori tali da indurre a negare la sussistenza di un danno risarcibile, anche in presenza di un’accertata negligenza professionale” (Trib. Roma 3 marzo 1954).

Nello stesso periodo l’errore medico veniva definito, sempre in un contesto di sentenza, come “disgraziato fardello della scienza medica” al cui accertamento si procedeva tenendo conto di cautele, esimenti e scusanti, e ove mai la responsabilità veniva verificata, la stessa godeva di attenuanti.

È dal 2000 che qualcosa in tema di responsabilità civile del professionista comincia a cambiare.

Emerge una tendenza dell’interprete ad enucleare in alcune professioni, rispetto alle quali è particolarmente sentita l’esigenza di protezione del cliente, regole della responsabilità dotate di un elevato grado di autonomia, anche all’interno del sistema codicistico.

È questo il periodo in cui vede la luce il codice del consumo (DL.vo n.206 del 6/09/2005) sulla spinta delle direttive comunitarie e sempre più nell’ottica della realtà cliente/utente-consumatore che si evolve e sviluppa anche il concetto di responsabilità professionale dell’avvocato.

La responsabilità professionale sorge in capo al legale in ragione dello svolgimento del suo mandato professionale.

Art.2 L.n.247 del 31/12/2012 – entrata in vigore il 2 febbraio 2013 – Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense qualifica l’avvocato come il professionista che in libertà, autonomia ed indipendenza assiste, rappresenta e difende le parti processuali dinanzi agli organi giurisdizionali e nelle procedure arbitrali rituali.

All’avvocato compete altresì l’attività professionale di consulenza ed assistenza legale stragiudiziale.

Attività di rappresentanza e difesa giudiziale in forza del contratto di patrocinio contratto d’opera intellettuale con il quale il difensore assume l’incarico di assistere la parte in giudizio.

Attività di assistenza e consulenza svolta in sede stragiudiziale in forza del contratto di mandato a compiere attività sostanziali al di fuori del processo.

(Altra cosa è la procura ad litem ex art. 84 c.p.c. – negozio unilaterale col quale il difensore viene investito del potere di rappresentare la parte in giudizio, ovvero di esercitare i poteri di cui all’art. 84 c.p.c. Ovviamente la procura ad litem presuppone un rapporto di mandato con rappresentanza speciale processuale.)

In entrambe queste situazioni, la professione legale si connota di una forte tecnicità ed intellettualità e per tali caratteristiche al professionista legale è attribuito un elevato livello di discrezionalità nella scelta delle modalità di adempimento della propria obbligazione, più funzionale alla tutela degli interessi del cliente.

Maggiore è il tecnicismo minore sarà la facoltà del cliente di proporre le specificazioni nella definizione ed esecuzione della prestazione professionale.

Abbiamo già accennato al fatto che la normativa comunitaria ha aperto per le libere professioni intellettuali una fase di profonde trasformazioni.

A livello comunitario non si parla di professione, ma si privilegia il concetto di “servizio reso” dal professionista; e su tale solco sembra muoversi anche la legge professionale (art. 2 comma 2) quando definisce l’avvocato come “professionista che ha la funzione di garantire al cittadino l’effettività della tutela dei diritti”.

Il concetto che viene a rafforzarsi è quello di un soggetto “necessariamente” partecipe dell’esercizio diffuso della funzione giurisdizionale poiché nessun processo (salvo limitatissime eccezioni) può essere celebrato in assenza di un avvocato (Cass. civ. S.U. n.9861 19/04/2017 – Giuda dir. 2017, 20, 82).

Ed è proprio questo carattere pubblicistico che impone all’avvocato il rispetto di particolari cautele nell’esercizio della prestazione, regole dettate dalla legge e dalla deontologia che non sono semplici regole interne, bensì vere e proprie regole giuridiche, esplicitazioni dei principi generali, contenuti nella legge professionale forense, aventi la funzione di parametro normativo generale, alla stregua del quale valutare la condotta del professionista anche nell’esecuzione del mandato professionale conferito dal cliente.

2. Rapporto tra avvocato e cliente

Il contratto che regolamenta i rapporto tra cliente ed avvocato è tradizionalmente qualificato dalla giurisprudenza di legittimità come un negozio bilaterale con cui il professionista viene incaricato, secondo lo schema del mandato ex art.1703 c.c., di svolgere la sua opera professionale in favore della parte.

Tuttavia lo schema del mandato non esaurisce le caratteristiche del rapporto poiché lo stesso è altresì riconducibile allo schema negoziale del contratto d’opera intellettuale ex artt.2229 e ss. c.c.

Con la Sentenza delle SS.UU. n.15781 del 28/07/2005 si qualifica l’obbligazione dell’avvocato come un’obbligazione di mezzi, in quanto il professionista assumendo l’incarico, si impegna a porre in essere tutte le condizioni tecnicamente necessarie per consentire al cliente la realizzazione dello scopo perseguito, ma non a conseguirne il risultato.

Quindi, ciò che viene richiesto all’avvocato è una diligenza qualificata, ovvero il dovere di adottare, nell’adempimento del mandato, un modello di condotta volto all’esecuzione della prestazione dovuta, con un adeguato sforzo tecnico e con l’impiego delle energie e dei mezzi normalmente ed obiettivamente necessari ed utili, in relazione all’attività esercitata ed in conformità dello standard professionale della sua categoria (Cass. Sentenza n.2954/2016 – il grado di diligenza è quello medio inerente la natura dell’attività prestata a meno che la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà. In tal caso la responsabilità del professionista è attenuata configurandosi ex art.2236 c.c. solo nel caso di dolo o colpa grave).

Questo vuol dire altresì che maggiore è la specializzazione professionale, più elevato è il grado di responsabilità che viene richiesto e presunto.

Gravano sul professionista, inoltre, gli oneri informativi verso la parte che comportano valenza sempre maggiore ai fini della valutazione della responsabilità.

In particolare l’avvocato, sin dal momento del conferimento dell’incarico, ha il dovere di sollecitare, dissuadere ed informare il cliente ed in tale ottica deve:
- rappresentare tutte le questioni di fatto e di diritto insorgenti o ostative al raggiungimento del risultato;
- rappresentare le questioni che possono produrre rischi e gli effetti dannosi delle stesse;
- richiedere gli elementi necessari o utili all’adempimento del mandato;
- sconsigliare dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole.

3. Obbligazioni nell’attività stragiudiziale ed ante causam

Stipulando il contratto di patrocinio i doveri informativi sono imposti dalla diligenza professionale (art.1176 c.c.) e dalla buona fede in executivis (art.1375 c.c.).

È in questo frangente che il dovere di informazione si articola in due momenti temporali:

  1. Studio del caso – dopo aver esaminato la questione, l’avvocato deve riferire al cliente, consigliandolo sulla linea difensiva più opportuna ed illustrando le probabilità (positive o negative) di esito del processo;
  2. Attuazione dell’iniziativa del cliente – in questa fase l’informazione inerisce tutte le notizie utili alla parte al fine di decidere se proseguire o desistere dall’azione.

È in questa seconda fase che la responsabilità diviene contrattuale.

Sta al professionista provare di aver compiutamente ed esaustivamente informato il cliente.

Di per sé il rilascio della procura (ius postulandi) non è sufficiente a provare la corretta informazione del cliente affinché lo stesso sia messo in grado di prendere una decisione pienamente consapevole sull’opportunità o meno di promuovere o intervenire in una controversia.

Il cliente/consumatore va adeguatamente informato di tutti gli aspetti rilevanti, in fatto ed in diritto e questo presuppone un accurato studio della vicenda prospettata.

Gli obblighi informativi stanno assumendo una crescente importanza; il consenso informato e la tutela della libera autodeterminazione hanno invaso e permeato dapprima la professione medica ed oggi tendono ad espandersi.

Sul piano pratico, però, il cliente non è un soggetto fornito di conoscenze tecniche in materia.

Pertanto, già nella fase precontrattuale l’avvocato è tenuto a consigliare il cliente nel miglior modo possibile, alle volte prescindendo anche dalle sue opinioni.

La giurisprudenza maggioritaria configura la responsabilità precontrattuale quale ipotesi di responsabilità extracontrattuale; contrattualizzando la fase precontrattuale, ci si sposta da una responsabilità extracontrattuale ad una contrattuale.

Cass. civ. 19/04/2016 n.7708 (Guid. Dir. 2016, 30, 73): è onere dell’avvocato dimostrare di aver informato correttamente il proprio assistito sulle possibili conseguenze di una scelta processuale.

Cass. civ. n.14597/04 – deve altresì fornire prova della condotta mantenuta, risultando insufficiente addurre il rilascio delle procure necessarie all’esercizio dello ius postulandi, poiché questo non prova che il clieente ha ottenuto tutti gli strumenti idonei e necessari ad esprimere un consenso pienamente consapevole.

Proprio in questa fase iniziale l’avvocato dovrà adottare un comportamento:

- prudente – valutare l’opportunità o meno di determinate strategie nell’interesse del cliente, prediligendo scelte meno rischiose per il cliente stesso;
- dissuasivo nei confronti del cliente irremovibile sul promuovere un giudizio “infondato”;
- particolarmente cauto su materie che non padroneggia perfettamente – l’incauto esercizio di attività di consulenza è di per sé foriero di danni per lesione della libertà del cliente di determinarsi consapevolmente;
- prestare particolare attenzione al conflitto di interessi.

4. Obbligazioni nell’attività di mediazione

Con l’introduzione nel nostro ordinamento dell’istituto della mediazione nonché quello della negoziazione assistita (D.Lgs.n.28/10 – DL n.69/13) l’aspetto della responsabilità viene ad anticiparsi in una fase antecedente e stragiudiziale e focalizza l’obbligazione di informazione.

5. Fase introduttiva

L’art. 27 del codice deontologico statuisce che: “l’avvocato deve informare chiaramente la parte assistita, all’atto di assunzione dell’incarico, delle caratteristiche e dell’importanza di quest’ultimo e delle attività da espletare, precisando le iniziative e le ipotesi di soluzione…”.

Quindi è in questa fase preliminare di contatto con il cliente che l’avvocato ha l’obbligo (anche deontologico) di prospettare al cliente stesso possibili soluzioni alternative al contenzioso (Mediazione o Negoziazione assistita).

Con la stipula del contratto di patrocinio insorgono responsabilità contrattuali disciplinate sia dalla legge professionale (L.247/2012) che dal decreto istitutivo della mediazione (D.Lgs.n.28/10 – DL n.69/13).

All’art. 4 (D.Lgs. n.28/10 modificato dal DL n.69/2013) si ribadisce e specifica che: “all’atto del conferimento dell’incarico, l’avvocato è tenuto ad informare l’assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione, delle agevolazioni fiscali di cui agli artt.17 e 20, dei casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
L’informazione dev’essere fornita chiaramente e per iscritto.
Nel caso di violazione degli obblighi di informazione il contratto è annullabile”.

La violazione del dovere di informazione costituisce un inadempimento contrattuale che può legittimare il cliente anche ad agire nei confronti del professionista per il risarcimento dei danni eventualmente subiti.

Ovviamente, in tale fase il pregiudizio astrattamente prospettabile è rappresentato dalla perdita dei vantaggi patrimoniali che si sarebbero potuti conseguire, ovvero dal nocumento patrimoniale che si sarebbe potuto evitare.

Il dovere di informazione del professionista non si riduce semplicemente con il rendere edotto il cliente dell’esistenza della procedura di mediazione (facoltativa o obbligatoria che possa essere).

Non sempre si è nella posizione di difendere un attore/ricorrente.

Bisogna anche spiegare quali possono essere gli effetti della mancata partecipazione alla procedura di mediazione.

L’art.8 comma IV-bis del D.Lgs. n.28/10 – dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il Giudice può desumere argomenti di prova ex art. 116 comma 2 c.p.c.

Il Giudice condanna la parte costituita che, nei casi ex art.5 (mediazione obbligatoria), non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento in favore dello Stato di una somma corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.

Infatti, se in Sentenza il Giudice dichiara di aver ricavato dalla mancata partecipazione al procedimento di mediazione un argomento di prova sfavorevole alla parte, condannandola alla sanzione pecuniaria, in questo caso la parte potrà agire contro l’avvocato.

Certo, il giudizio di responsabilità professionale, poi, verterà sulla verifica della circostanza se, in mancanza della valorizzazione da parte del Giudice di quell’argomento di prova, il cliente sarebbe risultato o meno ugualmente soccombente.

Al Giudice della causa risarcitoria dovrà effettuare un giudizio di causalità ipotetica (ricostruzione del nesso di causalità omissivo) tra la condotta omissiva (mancata informazione) ed il danno dedotto (perdita della causa).

Bisognerà verificare, cioè, se la condotta doverosa avrebbe assicurato apprezzabili probabilità di evitare il danno (Cass. civ. n. 21894 del 19/11/2004 – Guida dir., 2005,1,12 – da ultimo Cass. n. 6859/2018; cfr. Cass. Sez. III civile 20 marzo 2018 n. 6862).

In difetto di tale prova non vi sarà danno risarcibile.

Ma il danno potrebbe palesarsi anche con una sentenza positiva, ovvero nella distribuzione delle spese di lite.

In tal caso il cliente potrà pretendere dall’avvocato il ristoro del pregiudizio patrimoniale tra la differenza di quanto versato o non ricevuto, e quanto con certezza o probabilità avrebbe dovuto versare in meno o avrebbe ricevuto in più; nel momento in cui il cliente riesce a dimostrare l’inadempimento dell’obbligo informativo, spetterà anche il ristoro dell’ulteriore danno patrimoniale (danno emergente) subito.

Se il dovere di informazione è un’obbligazione contrattuale e preliminare, all’avvocato è altresì richiesta diligenza (art.1174 c.c.), buona fede (artt.1337 e 1375 c.c.) oltre che deontologia professionale (art.12 cod. deontologico). Questo implica che lo stesso professionista, qualora non adeguatamente competente o per cause di particolare complessità ed impegno, dovrà valutare l’opportunità di rinunciare all’incarico o integrare la difesa con altro collega.

Violare tali obblighi equivarrebbe ad integrare l’ipotesi di incauto esercizio di attività di consulenza stragiudiziale.

È proprio nella fase stragiudiziale e di mediazione che l’assistenza tecnica dev’essere adeguata: l’inquadramento giuridico della fattispecie, l’individuazione delle esatte esigenze del cliente e la ponderata valutazione costi/benefici sono tutte informazioni necessarie che permettono al cliente di effettuare una consapevole valutazione.

Qualora si sottovaluti l’importanza del contenuto delle informazioni fornite in questa fase, il pregiudizio configurabile sarebbe:

  1. Far rifiutare una proposta vantaggiosa rispetto all’alea del processo;
  2. Far accettare una proposta svantaggiosa;
  3. Far subire gli effetti negativi di un processo.

L’errata analisi nella procedura di mediazione dei rischi e delle chance di successo del futuro giudizio potranno essere forieri di perdite patrimoniali a carico del cliente e delle quali l’avvocato (incompetente) sarà chiamato a rispondere in un successivo giudizio di responsabilità.

In un giudizio di responsabilità il cliente dovrà dedurre e dimostrare che l’avvocato non ha adempiuto ai doveri di informazione e se fosse stato adeguatamente informato avrebbe accettato la proposta.

L’avvocato, per andare esente da responsabilità, dovrà dimostrare l’adeguata informazione e che nonostante questo ed il tentativo di dissuasione, il cliente ha deciso di agire diversamente.

6. Mediazione delegata

Se in una fase pre-giudiziale viene richiesto un determinato livello di attenzione, tale livello si innalza nel caso di mediazione delegata (art. 5 comma 2 D.Lgs. n. 28/10).

Bisognerà valutare:

  1. Forza o la debolezza delle difese della controparte;
  2. Eventuali decadenze;
  3. L’esito di un’eventuale CTU espletata;
  4. La sopravvenienza di fatti che possono incidere sulla solvibilità della controparte.

Nelle materie di cui all’art.5 D.Lgs. 28/10 (ovvero condominio, diritti reali, divisioni, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto d’azienda, risarcimento danni per circolazione veicoli e natanti, responsabilità medica e diffamazione a mezzo stampa o altro mezzo pubblicitario, contratti assicurativi, bancari e finanziari) il procedimento di mediazione è obbligatorio e costituisce condizione di procedibilità della domanda medesima.

Nel caso in cui, nonostante sia stato rilevato l’inadempimento (dalla parte o d’ufficio alla prima udienza) e vi sia stata un’ordinanza che delegasse la risoluzione della vicenda in sede di mediazione e nessuna delle parti si sia attivata, all’udienza di verifica il Giudice non potrà che concludere con una sentenza di improcedibilità.

All’attore, ovviamente, l’onere di riattivare, nei termini di prescrizione del diritto, il giusto procedimento.

In tal caso, l’inerzia dell’avvocato sarà foriera di un pregiudizio risarcibile: l’allungamento dei tempi di definizione della controversia (Cass. civ. 18239/2017 – seppure la scelta processuale non è erronea, ma ritardi la realizzazione dell’interesse del cliente).

L’ipotesi che ha fatto più discutere (e che continua ad essere oggetto di una giurisprudenza contrastante) è l’opposizione a decreto ingiuntivo su materie per cui la mediazione è obbligatoria.

La giurisprudenza di merito si è assestata in passato su due orientamenti distinti:

  1. dichiara improcedibile la domanda di opposizione con conseguente passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo;
  2. l’improcedibilità coinvolge anche il decreto ingiuntivo.

La Cassazione (Cass. civ. 3/12/2015 n. 24629 – Guida al dir. 2016, 7, 56) ha aderito al primo orientamento affermando che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l’onere di avviare la mediazione deve gravare su parte opponente (debitore), essendo questa che ha interesse al processo ed ha il potere di iniziarlo; in difetto si consolidano gli effetti del decreto ingiuntivo. La diversa soluzione sarebbe palesemente irrazionale perché premierebbe la passività dell’opponente accrescendo gli oneri di parte creditrice.

In pendenza di una non univoca e conforme interpretazione al difensore spetta l’applicazione di particolare prudenza.

È appena il caso di rammentare che nel procedimento di mediazione l’avvocato è tenuto alla tutela della riservatezza ed al corretto trattamento dei dati personali con particolare riferimento ai dati sensibili.

Infine, è configurabile una responsabilità professionale dell’avvocato nel caso di imperizia nella stesura dell’accordo di mediazione qualora il suo contenuto sia contrario a norme imperative o all’ordine pubblico, con evidente pregiudizio per le parti assistite.

Si pensi ad un accordo in sede di controversia bancaria che attribuisca al creditore il diritto a percepire interessi ad un tasso usuraio.

7. Conclusioni

Il ruolo dell’avvocato è delicato e fondamentale non solo per intraprendere o difendere nei giudizi.

È soprattutto un interprete della legislazione e della giurisprudenza che lo portano a guardare più lontano del presente, ma tutta quest’attività che cammina sull’incertezza, sull’opinabilità, crea forti spazi di responsabilità, soprattutto alla luce delle spinte europee che incidono fortemente nel nostro modo di vedere e sentire il diritto.

Si tende sempre più ad appiattire i rapporti nella dicotomia utente/fornitore ed in tale sede è palese la tutela del primo con la conseguente estensione della responsabilità del secondo.