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Pubbl. Dom, 20 Mag 2018

L´Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato chiarisce la portata dell´art. 67 Codice Antimafia.

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Daniele Scaramuzzino


Nota a Cons. Stato (Ad. Plen.), Sent., (ud. 13-12-2017) 06-04-2018, n. 3. Anche la pretesa risarcitoria derivante da giudicato viene preclusa all’impresa interdetta.


La decisione in commento riguarda il tema, ancora oggi particolarmente dibattuto, della determinazione della esatta latitudine applicativa dell’informativa antimafia interdittiva, istituto normato agli artt. 84 e ss. D.lgs. 159/2011.

Essa rappresenta strumento di indubbio rilievo nel contrasto al processo di espansione delle imprese interessate, in varia misura, dal fenomeno delle infiltrazioni mafiose.

La giurisprudenza ne enfatizza il carattere di misura di tipo cautelare e preventivo, tesa, al contempo, alla salvaguardia dell'ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della Pubblica Amministrazione[1].

In sostanza, trattasi di istituto polivalente, in grado di arginare il fenomeno del riciclaggio di capitali di provenienza illecita tramite lo svolgimento di attività imprenditoriale in favore della P.A. (inibendo ogni forma di rapporto negoziale con la stessa), nonché, più in generale, ad arrestare ogni flusso di danaro pubblico nei riguardi dell’azienda interdetta, con privazione della possibilità di ottenere erogazioni a qualsiesi titolo.

Segnatamente, l’art. 94 D.Lgs 159/2011 (rubricato “Effetti delle informazioni del prefetto”), statuisce, al co. 1, che “Quando emerge la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'articolo 67 o di un tentativo di infiltrazione mafiosa, di cui all'articolo 84, comma 4 ed all'articolo 91, comma 6, nelle società o imprese interessate, i soggetti di cui all'articolo 83, commi 1 e 2 cui sono fornite le informazioni antimafia, non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti, né autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni.”. 

La norma richiama pertanto, a carico del soggetto sottoposto ad interdittiva antimafia, l’impossibilità di essere parte dei rapporti enumerati dall’art. 67, co. 1[2] dello stesso Codice, tra i quali, per quanto di diretto interesse ai fini della presente disamina, quelli previsti dalla lettera g) (ossia l’essere beneficiario di “contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali”.).  

La pronuncia dell’Adunanza Plenaria viene invocata dalla sezione remittente al fine di dirimere i dubbi ermeneutici inerenti la perimetrazione del divieto, nei confronti dell’impresa infiltrata, di ottenere “provvidenze” pubbliche comunque denominate.

Il caso sottoposto al Supremo Consesso amministrativo, dalla cui disamina occorre partire al fine di evidenziare la ratio della pronuncia, può sintetizzarsi nei termini che seguono: una società otteneva a proprio favore, in giudizio instaurato avverso il Comune di Torraca, una pronuncia risarcitoria per l'illegittima mancata aggiudicazione dell'appalto relativo all'esecuzione di lavori di bonifica di un costone roccioso (sentenza n. 644/2014 della V Sezione del Consiglio di Stato); a seguito della decisione l’ente pubblico si attivava per la corresponsione del dovuto, quando la Prefettura di Caserta gli notificava una informativa interdittiva antimafia ai sensi degli artt. 84, co. 3 e 91, co. 6, D.Lgs. 6 settembre 2011 n. 159, relativa alla società creditrice dell’obbligazione risarcitoria; ne seguiva la mancata corresponsione delle somme statuite nel titolo giudiziale e l’esperimento, da parte Comune di Torraca, di ricorso per revocazione dello stesso, motivato essenzialmente in funzione della emissione del provvedimento interdittivo; tale iniziativa veniva in seguito respinta dal Consiglio di Stato, sez. V, con sentenza 16 marzo 2016 n. 1078[3]; ottenuta una decisione favorevole anche in sede revocatoria, l’impresa decideva di attivare giudizio di ottemperanza per l’esecuzione della sentenza n. 644/2014, della V Sezione del Consiglio di Stato; quest’ultimo originava la rimessione del caso all’Adunanza Plenaria.

In particolare, la sezione remittente evidenziava due questioni essenziali che apparivano meritevoli dell’intervento nomofilattico del Supremo Consesso amministrativo. La prima consistente nello stabilirese la previsione di cui al comma 1, lettera g), dell'articolo 67 del ‘Codice delle leggi antimafia’ possa essere intesa anche nel senso di precludere il versamento in favore dell'impresa di somme dovute a titolo risarcitorio in relazione a una vicenda sorta dall'affidamento (o dal mancato affidamento) di un appalto.”.

La seconda riguardante il quesito, collaterale al primo, inerente alla possibilità che possa risultare ostativo, rispetto all’effetto preclusivo sopra ipotizzato, il carattere di cosa giudicata della decisione statuente il diritto al risarcimento dei danni.

In relazione al primo quesito si afferma come l’esegesi del divieto di cui alla lettera g) dell’art. 67 appaia suscettibile di duplice interpretazione, in funzione al criterio esegetico adottato. Ed invero, ricorrendo ad una interpretazione di carattere puramente letterale, potrebbe giungersi ad una esclusione della pretesa risarcitoria dal perimetro tracciato dalla locuzione “contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate”, risultando evidentemente alieno alla categoria delle ‘provvidenze pubbliche’ il credito risultante da una obbligazione di tipo risarcitorio.

Ex adverso, può apparire una via praticabile anche il ricorso ad un criterio esegetico di tipo logico – sistematico che, valorizzando la ratio più profonda della norma, ossia quella di evitare che l’impresa infiltrata possa beneficiare di qualunque tipo di erogazione pubblica, impone una lettura del catalogo di cui alla lettera g) dell’art. 67 e della sua clausola di chiusura (“altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate”) come individuante un elenco aperto, atto a ricomprendere ogni forma di erogazione proveniente, a qualsiesi titolo, da una P.A..

Anche la seconda questione appare di particolare interesse, in quanto atta a definire, ad opinione del remittente, la possibilità che l’estensione dell’effetto interdittivo, con riferimento alla pretesa risarcitoria, possa essere influenzata dal generale carattere di intangibilità del giudicato. Sotto tale profilo si potrebbe opinare sia nel senso dell’assoluta indifferenza dell’obbligazione risarcitoria (e della pronuncia che la statuisce) ad un provvedimento prefettizio che, seppur precedente alla formazione del giudicato, non entrò mai nella dialettica processuale, sia in senso diametralmente opposto, ipotizzandosi che l’informativa interdittiva antimafia dia origine ad una situazione in incapacità legale ex lege in capo all’impresa, con conseguente sospensione temporanea dell'obbligo per l'amministrazione di eseguire quel giudicato.

L’Adunanza Plenaria procede preliminarmente ad una ricostruzione dell’istituto dell’informativa interdittiva, rilevando che la chiave di lettura dello stesso non possa che derivare da una analisi della sua natura di provvedimento amministrativo con funzione cautelare e preventiva, dal quale scaturisce un effetto preclusivo da intendersi in termini di "incapacità" ex lege. Nello specifico, il Supremo Collegio sostiene che “il provvedimento di cd. "interdittiva antimafia" determina una particolare forma di incapacità giuridica, e dunque la insuscettività del soggetto (persona fisica o giuridica) che di esso è destinatario ad essere titolare di quelle situazioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi, interessi legittimi) che determinino (sul proprio cd. lato esterno) rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione (Cons. Stato, sez. IV, 20 luglio 2016 n. 3247).”.

In sostanza si tratterebbe di un’ipotesi del tutto peculiare di incapacità legale di natura parziale e temporanea, in cui il carattere della parzialità viene definito dalla sua esclusiva riferibilità alla sfera della contrattazione con la P.A. ed ai rapporti emarginati dallo stesso art. 67 del Codice Antimafia, mentre quello della temporaneità deriva inevitabilmente dalla sua revocabilità a mezzo di successivo provvedimento prefettizio.

Posto tale assunto, il decisum specifica inoltre come l’art. 67 comma 1 lett. g) assuma in tale prospettiva una funzione propriamente delimitatoria dell'ambito della incapacità ex lege dell’imprenditore nei confronti della Pubblica Amministrazione, ponendo il primo in una posizione soggettiva che lo rende inidoneo a ricevere somme dovutegli dalla Pubblica Amministrazione anche a titolo risarcitorio.

Nell’affermare ciò l’Adunanza Plenaria ribadisce (ed applica estensivamente) la ratio sottesa alla sentenza n. 9 del 2012, con la quale interpretò l'analoga formula usata dal legislatore nell'art. 4 del D.Lgs. n. 490 del 1994 (coincidente con il vigente art. 67 D.Lgs 159/2011), letto in combinato disposto con l’allegato n. 3 al medesimo decreto legislativo, come comprensiva di ogni erogazione pubblica, anche di tipo indennitario, che dovesse essere erogata dalla P.A. nei confronti dell’impressa attinta da informativa antimafia.

In un’ottica eminentemente sanzionatoria, osserva il Collegio, può senza dubbio estendersi il dettato della norma oltre che alle erogazioni che potrebbero arricchire il soggetto interdetto anche e quelle funzionali a compensarlo di una perdita subìta, poiché in ambedue i casi la sostanza dell’operazione rimarrebbe immutata, avvantaggiandosi, di fatto, un’impresa oggetto di un processo di infiltrazione mafiosa. Anche l’attuale art. 67 co. 1 lettera g) del Codice delle leggi antimafia andrà pertanto inteso come riferito, quanto alla sua portata, ad ogni forma di pubblica erogazione di danari.

La sentenza inoltre rigetta l’opposta opzione ermeneutica, fondata su una interpretazione dell’art. 67 alla stregua di un criterio meramente letterale[4]. Detta ricostruzione non solo non viene ritenuta coerente con la ratio del divieto, ma appare concettualmente erronea, poiché, a ben vedere, la categoria generale enucleabile dall’elenco della predetta disposizione e dalla sua clausola di chiusura (“altre erogazioni dello stesso tipo”) non è quella delle ‘provvidenze pubbliche’, bensì quella delle “obbligazioni pecuniarie pubbliche”, ricomprendente anche le obbligazioni di fonte risarcitoria.

Da ultimo il decisum affronta il tema della interferenza dell’opzione ermeneutica prescelta con il principio di intangibilità del giudicato, statuendo la non rilevanza, nella fattispecie, di detto limite e ciò quale precipitato della riconosciuta qualificazione in termini di incapacità ex lege dell’effetto essenziale della interdittiva.

Invero – spiega l’Adunanza Plenaria – posto che nel momento in cui subisce una interdizione antimafia il soggetto attinto è privato della possibilità di esercitare il proprio diritto di credito e di ricevere l’adempimento dell’obbligazione risarcitoria da parte della P.A. per tutto il tempo di efficacia detta misura, tali preclusioni non possono ancorarsi ad una ‘incisione’ del giudicato dovuta all’interdittiva, bensì all’effetto tipico (incapacità ex lege) dalla stessa conseguente.

Le obbligazioni conseguenti dal giudicato (ed il giudicato medesimo) restano del tutto inalterate. Ciò che muta è la sopravvenuta incapacità del titolare del diritto di credito risarcitorio ad esperire l’actio iudicati oppure a ricevere l’adempimento spontaneo della prestazione da parte della P.A., con la conseguenza che, venuto ad esaurirsi l’effetto tipico della interdittiva, id est lo stato di incapacità legale indotto nell’impresa, quel diritto di credito sarà pienamente azionabile  nei confronti della P.A., senza alcuna immutazione rispetto alle originarie previsioni del tiolo giudiziale.  

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Cons. Stato, sez. III, 3 maggio 2016 n. 1743.
[2] Art. 67 - Effetti delle misure di prevenzione:
"1. Le persone alle quali sia stata applicata con provvedimento definitivo una delle misure di prevenzione previste dal libro I, titolo I, capo II non possono ottenere:
a) licenze o autorizzazioni di polizia e di commercio;
b) concessioni di acque pubbliche e diritti ad esse inerenti nonché concessioni di beni demaniali allorché siano richieste per l'esercizio di attività imprenditoriali;
c) concessioni di costruzione e gestione di opere riguardanti la pubblica amministrazione e concessioni di servizi pubblici;
d)  iscrizioni negli elenchi di appaltatori o di fornitori di opere, beni e servizi riguardanti la pubblica amministrazione, nei registri della camera di commercio per l'esercizio del commercio all'ingrosso e nei registri di commissionari astatori presso i mercati annonari all'ingrosso;
e)  attestazioni di qualificazione per eseguire lavori pubblici;
f)  altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio, o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati;
g)  contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali;
h)  licenze per detenzione e porto d'armi, fabbricazione, deposito, vendita e trasporto di materie esplodenti."

[3] Nel testo della motivazione si legge: “"il provvedimento interdittivo antimafia a carico della N.C., il quale nel caso di specie riveste il ruolo di documento sconosciuto al Comune perché non esibito dall'interessata e dunque costituirebbe la ragione della revocazione, è stato emesso il 19 luglio 2013, quindi in data sì antecedente alle sentenze 26 settembre 2013 n. 1956 e 11 febbraio 2014 n. 644, che però sono pronunce di esecuzione, o più sostanzialmente di attuazione di un giudicato risalente al 2011, che dunque deve restare intangibile rispetto ad un provvedimento particolarmente grave e tra l'altro confermato nella sua legittimità dal giudice amministrativo in primo e secondo grado, ma sempre successivo a ciò che in uno Stato di diritto non può essere più messo in discussione, fatte salve le ragioni di revocazione che nel caso di specie non sussistono per evidenti ragioni temporali oppure non sono state evocate nel giudizio.”.
[4] Tesi che, come prima accennato, ritiene che l’espressione adoperata dall’art. 67 co. 1 lett. g) Dlgs 159/2011 “contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate” debba essere riferita, anche nella sua formula di chiusura, alla categoria delle ‘provvidenze pubbliche’, dalle quali esulerebbero, per diversità di natura, le pretese risarcitorie.