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Pubbl. Lun, 14 Mag 2018

La partecipazione pubblica nell´in house providing

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Elena Dall'olio


Focus on sul requisito della partecipazione pubblica nell´istituto dell´in house providing: excursus storico-giurisprudenziale.


Sommario: 1. La partecipazione pubblica; 2. Art. 16 co. 1 D. L.vo n. 175/2016; 3. Art. 5 co. 1 del codice dei contratti pubblici e la previsione di eventuale capitale privato.

1. La partecipazione pubblica

Codesto elaborato tratterà del solo requisito della partecipazione pubblica nell’in house providing. Si precisa che, ai fini della validità di questo istituto deve esservi la presenza di ulteriori requisiti[1], vale a dire la partecipazione pubblica, il controllo analogo e la dedizione dell’attività prevalente nei confronti dei soci, i quali devono necessariamente sussistere contemporaneamente affinchè l’affidamento diretto posto in essere possa essere considerato pienamente legittimo. In una nota sentenza[2], si è infatti precisato che la legittimità della gestione in house providing sussiste qualora siano configurati i requisiti stilati dal caso Teckal e qualora essi vengano meno, l’affidamento decade immediatamente. 

Oltre ai requisiti poc’anzi enunciati, al fine di un corretto affidamento in house, deve sussistere in capo al soggetto affidatario l’effettiva possibilità, all’interno del proprio contesto organizzativo, di svolgere con le proprie risorse il servizio oggetto dell’affidamento medesimo[3]. In concreto, i requisiti per l’affidamento vengono a mancare qualora l’ente prescelto per lo svolgimento del servizio non possieda un’organizzazione e delle risorse umane adeguate a svolgerlo compiutamente[4].

Questi princìpi in materia di affidamento, ripetutamente ribaditi in sede europea[5], sono stati fatti propri dalla nostra giurisprudenza interna, sia costituzionale[6] che amministrativa[7], e sono rimasti inalterati fino all’entrata in vigore del nuovo codice dei contratti pubblici che, in materia di in house providing, ha recepito l’art. 12, paragrafi 1, 2, 3 e 5, della direttiva 2014/24/UE.

Il primo requisito, analizzato in questa sede, riguarda quello della partecipazione pubblica, che col Testo Unico del 19 agosto 2016 ha subito modifiche rilevanti e pertanto si passerà in rassegna la sua evoluzione, da totalitaria ad un’apertura verso capitali privati.

Fin dal concepimento dell’istituto con la nota sentenza Teckal del 1999, si era sempre puntualizzato che la prima fra le condizioni legittimanti l’affidamento diretto fosse la sussistenza di una partecipazione pubblica totalitaria. In modo peculiare, si è nel tempo ribadito che l’ente locale dovesse possedere totalitariamente le partecipazioni della società de quo, sostenendo che la presenza, seppur minima, di una partecipazione privata ne escludesse la configurabilità: tale principio è stato pertanto positivizzato successivamente dal Legislatore Nazionale al comma 5 lett. c) dell’art. 113 T.U.E.L.

Infatti, l’ingresso di soci privati, avrebbe comportato la finalizzazione dell’attività dell’ente societario alla tutela di interessi esterni e privatistici, in contrasto con gli interessi di natura pubblicistica perseguiti dalla società in house.                                                                                                                                                                      

In tal senso, oltre alla già analizzata sentenza “Stadt Halle”[8],pure l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato e l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato si erano espresse su questo requisito. In modo particolare, l’AGCM nell’Atto di segnalazione n. 894 del 4 agosto 2008 statuì sull’eccezionalità dell’in house providing, affermando che “la presenza di soggetti non pubblici nel capitale sociale della società affidataria, fa dubitare della sussistenza delle condizioni di legittimità dell’affidamento secondo le modalità in house. L’interpretazione restrittiva dei requisiti di legittimità dell’affidamento in house è stata recentemente confermata dall’intervento della Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, il quale ha escluso in via generale la riconducibilità del modello organizzativo della società mista a quello dell’in house providing”.

Era fortemente sostenuto[9] che attraverso la totale partecipazione pubblica, l’ente pubblico, o gli enti pubblici proprietari dell’intero pacchetto azionario (tramite la nomina degli organi ovvero mediante l’approvazione di opportune deliberazioni ) erano in condizioni di esercitare pienamente quelle forme pregnanti di verifica e controllo sull’operato tali da determinare la sostanziale identificazione tra la società affidataria e l’ente pubblico. Nella prospettiva della giurisprudenza[10], era pure avvallata la tesi secondo la quale il possesso dell’intero capitale sociale da parte dell’ente pubblico, ancorché si rivelasse astrattamente idoneo a garantire il controllo analogo a quello esercitato sui servizi interni, perdesse tale qualità se lo statuto della società avesse consentito che una quota di esso, anche minoritaria, potesse essere alienata a terzi.

Degna di nota è la posizione della Corte di Giustizia mantenuta in merito alle clausole statutarie che prevedevano un’astratta possibilità di cessione del capitale sociale a soggetti privati. Si è puntualizzato che mentre “l’apertura del capitale sociale” è un fatto certo che va a svilire e ad escludere l’affidamento diretto, “invece è un evento ipotetico” che potrebbe anche non verificarsi e pertanto non esclude l’affidamento in house. Codesta questione è stata affrontata nella sentenza “Modling”[11] concernente l’affidamento diretto da parte del Comune del servizio di raccolta e smaltimento di rifiuti in capo a una società partecipata al 100% , nel cui statuto era prevista la cessione del capitale  a privati pari al 49% immediatamente dopo l’affidamento. In questa ipotesi la Corte chiarì che, nonostante fosse richiesto di considerare la mera condizione esistente al momento in cui era posto in essere l’affidamento, era però anche necessario considerare gli avvenimenti successivi al fine di escludere un comportamento elusivo dell’amministrazione aggiudicatrice.

Degna di menzione è anche un’altra sentenza della Corte di Giustizia Europea[12] la quale ha precisato che “nel caso in cui il capitale della società aggiudicataria è interamente pubblico e in cui non vi è alcun indizio concreto di una futura apertura del capitale di tale società ad investitori privati, la mera possibilità per i privati di partecipare al capitale di detta società non è sufficiente per concludere che la condizione relativa al controllo dell’autorità pubblica non è soddisfatta. L’apertura del capitale rileva solo se vi è un’effettiva prospettiva di ingresso di soggetti privati nella compagine sociale, altrimenti, il principio di certezza del diritto esige di valutare la legittimità dell’affidamento in house sulla base della situazione vigente al momento della deliberazione dell’ente locale affidante”.

Nel caso di statuto con previsione di eventuale apertura al capitale privato, è pertanto doveroso un controllo periodico successivo all’affidamento del servizio e per tutta la durata del medesimo, posto che è necessario verificare che, immediatamente dopo l’affidamento diretto, non sia posta in essere una cessione di capitali a privati, poiché significherebbe che la previsione statutaria di “ astratta possibilità” era solamente una tecnica volta ad eludere il principio di evidenza pubblica e concorrenza. Anche la Commissione Europea [13]in merito a quanto appena affermato, ha affermato che “l’aggiudicazione interna di un appalto pubblico o di una concessione a un’impresa pubblica è esclusa se l’intenzione è di aprirne il capitale a soggetti privati nel corso dell’esecuzione dell’appalto o della concessione di cui trattasi. Al contrario, la semplice possibilità teorica della partecipazione di un soggetto privato al capitale di una società controllata da un’amministrazione aggiudicatrice non mette in discussione, secondo la Commissione, la relazione interna tra l’Amministrazione aggiudicatrice e la sua controllata”.

La giurisprudenza italiana [14]ha però espresso parere diametralmente opposto, poiché ha sempre escluso in passato la legittimità di un affidamento in house qualora vi fosse la mera possibilità di cessione di partecipazioni a soggetti privati: ciò ha fortemente limitato l’utilizzo di questo istituto nel nostro Paese.

2. L'art. 16, comma 1, D. Lgs. n. 175/2016.

Il decreto legislativo n. 175/2016 recante “Testo Unico in materia di società partecipate dalla pubblica amministrazione” è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 210 dell’8 settembre 2016, e rappresenta la nuova disciplina in materia. Tale decreto è stato predisposto sulla base dei principi e criteri direttivi contenuti sia nell'articolo 16 che nell'articolo 18 della c.d. Legge Madia, oltre che “al fine prioritario di assicurare la chiarezza della disciplina, la semplificazione normativa e la tutela e promozione della concorrenza, con particolare riferimento al superamento dei regimi transitori”, il decreto è altresì adottato “ai fini della razionalizzazione e riduzione delle partecipazioni pubbliche secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità, ridefinizione della disciplina, delle condizioni e dei limiti per la costituzione di società, l'assunzione e il mantenimento di partecipazioni societarie da parte di amministrazioni pubbliche entro il perimetro dei compiti istituzionali o di ambiti strategici per la tutela di interessi pubblici rilevanti, quale la gestione di servizi di interesse economico generale”.

Va evidenziato come il testo, approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri il 10 agosto, ha introdotto modifiche relative al requisito della partecipazione pubblica totalitaria. In modo particolare, l’art. 16 al comma 1, interviene sulla disciplina delle società in house e codesta norma dispone che le società in house possono ricevere affidamenti diretti dalle amministrazioni pubbliche che esercitano su di esse un controllo analogo ovvero da ciascuna delle amministrazioni che esercita un controllo analogo congiunto, solo se non vi è la presenza di privati ovvero, ai sensi della direttiva 2014/24/UE, se quest’ultima è prevista a seguito di prescrizioni di legge e risulta priva di potere di controllo, veto o influenza dominante sulla società (parrebbe quindi limitarsi alla qualità di “finanziatore”). La direttiva 2014/24/UE[15], pur ribadendo la regola generale secondo cui “l’aggiudicazione di un appalto pubblico senza una procedura competitiva offrirebbe all’operatore economico privato che detiene una partecipazione nel capitale della persona giuridica controllata un indebito vantaggio rispetto ai suoi concorrenti”, ammette l’ingresso di privati in via di eccezione ex art. 12, comma 1, lett. c), purchè ciò sia previsto dalla legislazione nazionale ed avvenga in conformità del Trattato e sempre che in capo ai privati non siano conferiti poteri di veto o di controllo.

Il Testo Unico oggetto d’analisi, oltre ad essere coerente con la Direttiva sopracitata, lo è anche rispetto al Codice Appalti, specialmente all’art. 5, comma 1, lett. c), andando invece contro corrente al consolidato orientamento della giurisprudenza tradizionale, che richiedeva tra i requisiti di configurabilità dell’in house, la totalità della partecipazione pubblica, escludendo categoricamente l’ipotesi che una quota del capitale sociale potesse essere alienata a soggetti privati, poiché fonte di un vantaggio ingiusto per costoro.

Si tratta tuttavia di una conclusione espressamente disattesa dal Legislatore, poiché il Testo Unico ammette una partecipazione privata e ciò è desumibile “a contrario” dall’art. 16 comma 1, il quale specifica che essa è legittima solo se non sia di maggioranza, vale a dire di controllo, oppure se di minoranza non abbia poteri di veto, rilevandosi così decisiva.  La dottrina[16] ha osservato che “una tale previsione pare contenere delle indicazioni significative in merito all’individuazione degli interessi rilevanti nell’ambito di tale fattispecie, posto che l’ingresso, anche potenziale, di soggetti privati nella società in house impedisce di identificarla completamente con l’ente pubblico che la controlla e quindi di concepirla come mero strumento nelle sue mani”.

Quanto appena detto è avvalorato anche dal fatto che, come meglio si dirà, l’art. 1, comma 3, T.U. riconosce ai soci privati i medesimi diritti, patrimoniali e amministrativi, ad esse spettanti dal diritto comune.

3. L'art. 5, comma 1, del Codice dei contratti pubblici e la previsione di un eventuale capitale privato.

Il nuovo codice dei contratti pubblici all’art. 5 dello stesso ha finito col positivizzare, in modo quasi pedissequo, i requisiti Teckal così come indicati nelle direttive appalti del 2014.

Il Legislatore in questo nuovo Codice ha anche cercato di uniformarsi agli orientamenti interpretativi forniti dalla giurisprudenza dell’Unione Europea e come sottolineato dalla relazione illustrativa del testo di legge de quo, la normativa è rivoluzionaria rispetto alle previsioni vigenti, nella parte in cui descrive la partecipazione di capitali privati e recepisce, quindi, pienamente la disciplina europea anche in relazione alla giurisprudenza del Consiglio di Stato [17]che aveva considerato, relativamente alla partecipazione di capitali privati, la direttiva europea come self executing e, pertanto, direttamente applicabile all’ordinamento interno.

Ciò che rileva in questa sede è l’art. 5 rubricato sotto la dicitura di “Principi comuni in materia di esclusione per concessioni, appalti pubblici e accordi tra enti e amministrazioni aggiudicatrici nell’ambito del settore pubblico”, al cui comma 1, lett. c), così come modificato dall’art. 6 del Decreto correttivo al codice appalti, recita: “nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati le quali non comportano controllo o potere di veto previste dalla legislazione nazionale, in conformità dei trattati, che non esercitano un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata.”

Il Legislatore Italiano ha in sostanza ammesso la possibilità, in virtù di una puntuale legge e nel rispetto dei Trattati istitutivi, la partecipazione di capitali privati in favore di un soggetto in house, a condizione che questa rappresenti una minima parte del capitale sociale e, comunque, sia tale da non comportare un’influenza determinante sul soggetto controllato. Codesta normativa ha pertanto espressamente riconosciuto questa facoltà ai legislatori nazioni, oltrepassando il contrasto sorto tra le sezioni consultive e giurisdizionale del Consiglio di Stato.

E’ stato però correttamente individuata una discrepanza tra quanto sancito nelle direttive appalti, le quali utilizzano il termine “prescritte” ritenendo così che l’eventualità di una partecipazione privata sia prevista dalla legislazione interna in termini di obbligo (vale a dire che spetterà agli stati membri valutare caso per caso se consentirla o meno), e tra quanto sancito dall’art. 5, comma 1, lett. c) d. lgs. n. 50/2016, il quale utilizza il termine “previste”, da intendere come una mera facoltà di scelta in capo all’amministrazione.

La dottrina[18], sul punto, ha correttamente precisato che “tra la situazione in cui le deroghe debbano essere «previste» dalla legge ex art. 5 del nuovo codice dei contratti e quella in cui debbano essere «prescritte» dalla legge, intercorre una certa differenza, laddove «previste» individua l’esistenza di una facoltà di scelta in capo all’amministrazione, mentre «prescritte» individua un obbligo”.

Il Consiglio di Stato è intervenuto con un parere[19] relativo ai profili di criticità sorti in merito alle locuzioni[20] sopra descritte, chiarendo che “in relazione alla disciplina delle società in house si fa presente la necessità di uniformarla, per alcuni profili, alle regole europee. In particolare, si puntualizza come la possibilità che della compagine societaria facciano parte privati debba essere “prescritta” da specifiche disposizioni di legge, che indichino le ragioni che giustificano tale partecipazione.”

Devono pertanto sussistere specifiche disposizioni di legge a livello nazionale che individuano i casi in cui è lecita la presenza di capitali privati, posto che non si è inteso in alcun modo autorizzare in generale la partecipazione dei privati.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Cons. di Stato, Sez. III, 27.04.2015, n. 2154: si precisa che “la legittimità dell’affidamento in house va valutata con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente al momento dell’adozione del provvedimento”
[2] T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 30 marzo 2005, n. 2784.
[3] T.A.R. Veneto, sez. I, 2 febbraio 2009, n. 236.
[4] Cons. di Stato, sez. V, 28.07.15, n. 3716.
[5] Corte di giustizia 19 giugno 2014, in causa C-574/12, Centro Hospitalar de Setúbal e 11 gennaio 2005, in causa C-26/03, Stadt Halle.
[6] Corte costituzionale 28 maggio 2014, n. 141, ha dichiarato illegittima, per violazione del vincolo di cui all’art. 117, comma 1, Cost., una legge regionale istitutiva di una società finanziaria avente un oggetto sociale non conforme al modello tipo dell’in house providing.
[7] Consiglio di Stato, Ad. plen., 3 marzo 2008, n. 1; Sez. V, 15 marzo 2016, n. 1034 e 30 settembre 2013, n. 4832; Sez. VI, 26 maggio 2015, n. 2660 e 11 febbraio 2013, n. 762.
[8] Si richiama, ancora una volta, CGCE, Stadt Halle, 11 gennaio 2005, in causa C-26/03-17, secondo cui “la partecipazione, anche minoritaria, di un‘impresa privata al capitale di una società alla quale partecipi anche l'amministrazione aggiudicatrice in questione esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare sulla detta società un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi.”
[9] Consiglio di Stato, Sezione V, Sent. n. 7345/05.
[10] Consiglio di Stato, sezione V, 30 agosto 2006 n. 5072/06.
[11] Causa C-29/2004, 10 novembre 2005.
[12] Corte di Giustizia Europea, Sez. III, 10.09.2009, n. C-573/07.
[13] Comunicazione interpretativa della Commissione sull’applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni ai partenariati pubblico-privati istituzionalizzati del 05.02.2008.
[14] Cons. Stato 1.06.2007 sent. n. 2932.
[15] Considerando 32.
[16] E. Codazzi, VIII convegno annuale dell’associazione italiana dei professori universitari di diritto commerciale- “orizzonti del diritto commerciale”, Roma, 17-18 febbraio 2017.
[17] Cons. di Stato, parere Sez. II, n. 298 del 30 gennaio 2015.
[18]   V. N. Durante, L’affidamento in house – Relazione resa al convegno sul tema “sistemi di realizzazione”, organizzato presso il T.A.R. del Lazio il 29 settembre 2016, nell’ambito dei “Workshop sul D.lgs. n. 50/2016”, in www.italiappalti.it, 30 settembre 2016.
[19] Cons. di Stato, parere n. 968 del 21 aprile 2016.
[20] Il medesimo refuso era altresì presente nel d. lgs. 175/2016, modificato a seguito del parere 968 del 2016 del Consiglio di Stato.