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Pubbl. Lun, 30 Apr 2018

I ricorsi amministrativi

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Ilaria Valentino
Funzionario della P.A.Università degli Studi di Napoli Federico II


Le fondamenta del processo amministrativo. Tipologie e contenuto dei ricorsi nell´ambito del diritto amministrativo.


Sommario: 1. Prefazione; 2. I ricorsi amministrativi; 3. Il ricorso gerarchico; 3.1. Termini per la proponibilità; 4. Il ricorso gerarchico improprio; 5. Il ricorso in opposizione; 6. Il ricorso straordinario al Capo dello Stato; 6.1. Termini per la proponibilità; 6.2. Il ricorso al Presidente della regione Sicilia; 7. Conclusioni.

1. Prefazione.

L’art.113 della Costituzione afferma che «Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa».

Per distinguere le due giurisdizioni, la tesi accolta con maggior favore dalle SS.UU., consiste nella dicotomia “carenza di potere” (Giudice ordinario) – “cattivo uso del potere” (Giudice amministrativo). In particolare, si afferma che tutti i diritti personalissimi siano sottratti al Giudice amministrativo, in quanto il potere dell’Amministrazione non è in grado di incidere sul diritto stesso e degradarlo ad interesse legittimo[1]; primo fra tutti il diritto alla salute, che è incomprimibile. Quest’orientamento è stato tuttavia superato a seguito dell’introduzione del pacchetto normativo 1998-2000 che ha attribuito al Giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva comprendente anche i diritti personalissimi o costituzionalmente rilevanti, se incisi da un provvedimento amministrativo (si ha ad es. giurisdizione del giudice amministrativo se si lamenta la lesione del diritto alla salute a causa di un impianto di smaltimento rifiuti). Il potere del Giudice ordinario è delimitato dall’art. 5 della L. n. 2248/1865: “le Autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alla legge”. Il Giudice ordinario non può annullare gli atti della pubblica amministrazione (potere, questo, che compete al Giudice amministrativo). Qualora l'atto amministrativo (o il regolamento) sottoposto al suo esame sia illegittimo, egli può disapplicarlo.

Il legislatore post-unitario pretese che il Giudice ordinario sindacasse l’atto amministrativo se lesivo del diritto soggettivo e limitatamente agli effetti dell’atto, posto che solo l’Amministrazione è tenuta ad annullarlo (ad es. nel caso di un provvedimento di esproprio illegittimo e lesivo di un diritto soggettivo di proprietà, il Giudice ordinario avrebbe dovuto disapplicarlo per il caso deciso, ma non avrebbe potuto né annullarlo, né revocarlo).

A seguito del pacchetto normativo 1998-2000 – che ha esteso ulteriormente l’ambito della giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo a danno del Giudice ordinario – e della successiva sentenza della Corte Costituzionale n. 204/2004, il Giudice ordinario può giudicare le controversie relative alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo limitatamente ai comportamenti della P.A. che non trovano fonte o riferimento in un provvedimento amministrativo, ma rappresentano una mera attività[2].

2. I ricorsi amministrativi.

La autodichia, ossia la tutela amministrativa giustiziale, nasce prima ancora dei ricorsi amministrativi giurisdizionali e si caratterizza per il fatto che il soggetto può rivolgersi alla stessa P.A. (e non ad un giudice) per ottenere la rimozione del provvedimento amministrativo illegittimo. Essa si distingue nettamente dalla c.d. autotutela amministrativa ed il suo scopo è, appunto, quello di evitare, in via preventiva, l'intervento giudiziario.

Tali azioni giustiziali sono caratterizzate dalla conclusione in tempi rapidi, limitati tempi di proponibilità, dalla doverosità dell’esame che, diversamente dall’autotutela quale potere dell’amministrazione di rimozione dell’atto illegittimo o inopportuno, richiede la valutazione dell’interesse pubblico del tutto assente da parte dell’autorità tenuta a decidere i ricorsi. Inoltre, sono preferibili rispetto a quelle giurisdizionali per l’assoluta gratuità del mezzo e dalla non necessaria assistenza di un avvocato iscritto agli albi professionali.

I ricorsi amministrativi sono strumenti di tutela di interessi qualificati e, quindi, di interessi legittimi o diritti soggettivi. Ciò comporta innanzi tutto una limitata legittimatio per la presentazione del ricorso: la legittimazione spetta non a qualsiasi cittadino, ma solo a chi faccia valere un interesse legittimo o un diritto soggettivo. In secondo luogo, la “funzionalità” alla tutela del cittadino comporta che l’autorità competente, nel valutare e decidere un ricorso, debba attenersi al ricorso stesso e non possa introdurre d’ufficio motivi diversi da quelli dedotti nel ricorso: vige, insomma, il principio dispositivo (o principio della domanda). Nel nostro ordinamento sono previste varie tipologia di ricorsi amministrativi: la loro disciplina generale è contenuta nel d.P.R. 1199/71[3].

In questo decreto sono contemplate quattro tipologie di ricorsi: il ricorso gerarchico, il ricorso gerarchico improprio, il ricorso in opposizione e il ricorso straordinarioTra i mezzi di impugnazione di tipo ordinario, esperibili cioè avverso provvedimenti non definitivi - sia per fa valere diritti soggettivi che interessi legittimi - rientrano il ricorso gerarchico proprio, il ricorso gerarchico improprio ed il ricorso in opposizione. Unico mezzo di impugnazione, poi, a carattere straordinario, quindi, considerato quale rimedio extra ordinem in regime di alternatività con il ricorso giurisdizionale, è il ricorso straordinario al Capo dello Stato. In conclusione, quindi, i ricorsi amministrativi sono distinti in:

  1. Ricorsi ordinari, che hanno ad oggetto un provvedimento non definitivo, che si risolvono nell’ambito del settore amministrativo cui appartiene l’autorità che ha emanato l’atto impugnato e determinano la pronuncia dell’ultima parola da parte dell’autorità amministrativa (ricorso gerarchico e ricorso in opposizione);
  2. Ricorsi straordinari, che hanno ad oggetto atti amministrativi definitivi, che si risolvono “al di fuori” del settore amministrativo cui appartiene l’autorità che ha emanato l’atto, e, pertanto, realizzano una tutela “esterna”, limitata ai soli vizi di legittimità (ricorso straordinario al Capo dello Stato);
  3. Ricorsi impugnatori, che hanno ad oggetto un atto amministrativo ritenuto lesivo;
  4. Ricorsi non impugnatori, che hanno ad oggetto un mero comportamento della P.A. o la costituzione o modificazione di un rapporto giuridico, in cui è coinvolta in qualche modo la P.A. (es. ricorso alle commissioni di vigilanza per l'edilizia economica e popolare), e che, pertanto, hanno carattere eccezionale ed atipico.

3. Il ricorso gerarchico.

Il ricorso gerarchico è il mezzo con il quale il destinatario del provvedimento si rivolge all’autorità gerarchicamente superiore a quella che ha emanato il provvedimento stesso. È opportuno, innanzitutto, precisare che cosa si intenda, rectius cosa il legislatore abbia voluto definire, con il termine di gerarchia: in astratto, si ha rapporto di gerarchia quando un organo – in questo caso della Pubblica Amministrazione – ha poteri di controllo sull’operato di un altro organo della stessa amministrazione e, se crede, può sostituirsi (o avocare) ad esso nell’esecuzione di un provvedimento. Questa definizione ricalca il concetto di “gerarchia propria”, ed è quella su cui è incentrato l’istituto del ricorso gerarchico.

Tale ricorso è esperibile solo avverso gli atti amministrativi non definitivi, cioè contro quegli atti che sono emanati da organi che hanno un superiore gerarchico (viceversa, sono definitivi gli atti emanati da organi superiorem non recognoscentes [4].  Il d.P.R. 1199 del 1971 prevede che sia rivolto all’organo immediatamente superiore a quello che ha emanato il provvedimento da impugnare, e che sia un mezzo preposto alla tutela sia di diritti soggettivi che di interessi legittimi e con esso si possono far valere tanto vizi di legittimità (violazione di legge, eccesso di potere ed incompetenza), quanto di merito.
Tuttavia, l’erronea individuazione non comporta l’inammissibilità del ricorso.

3.1 Termini per la proponibilità.

Il ricorso va presentato, comunicato o notificato all’autorità che ha emanato l’atto oppure all’autorità chiamata a decidere il ricorso stesso, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla conoscenza legale del provvedimento. Non è necessario - diversamente dal ricorso giurisdizionale - notificare o comunicare il ricorso anche al controinteressato, il quale, venuto a conoscenza del ricorso stesso, può presentare memorie nel termine di venti giorni. L’autorità adita è tenuta ad emettere la decisione (che deve assumere la forma scritta) nel termine perentorio di novanta giorni. Scaduto inutilmente detto termine si forma il silenzio-rigetto[5], che può essere impugnato dinanzi al Giudice amministrativo nel (successivo) termine di sessanta giorni. Detto termine è perentorio nel caso di lesione di interessi legittimi, ma, evidentemente, nel caso in cui l’oggetto della lesione sia un diritto soggettivo, valgono le regole della prescrizione.[6]
Contrariamente al caso del silenzio, la decisione deve assumere la forma scritta.

Il ricorso giurisdizionale avverso la decisione assunta sul ricorso gerarchico non può contenere motivi di legittimità diversi da quelli prospettati in sede gerarchica e le censure di merito non sono reiterabili.

Può accadere che dopo la presentazione del ricorso giurisdizionale avverso il silenzio sia emanata la decisione sul ricorso gerarchico. Qui si aprono diversi scenari:

  1. la decisione respinge il ricorso gerarchico. In tal caso non occorre presentare un nuovo ricorso giurisdizionale avverso detta decisione; tuttavia si ritiene possibile avanzare un altro ricorso giurisdizionale che andrà riunito con il precedente, con il quale il ricorrente dedurrà l’illegittimità della decisione perché emanata dopo il termine di 90 giorni;
  2. la decisione accoglie il ricorso. In questo caso:
  • il ricorso giurisdizionale non ha più ragione di esistere, in quanto è stato annullato l’atto impugnato e se ne dovrà dichiarare l’improcedibilità per cessazione della materia del contendere;
  • in presenza di un controinteressato, costui potrebbe dedurre la non tempestività della decisione e proporre a sua volta impugnazione avverso quest’ultima. Potrebbe accadere (visto che il ricorso gerarchico va proposto entro trenta giorni e quello giurisdizionale in sessanta) che dopo la presentazione del ricorso gerarchico, il ricorrente proponga ricorso al TAR: in questo caso prevale quest’ultimo ed il ricorso gerarchico non sarà deciso. Altresì, potrebbe accadere che dopo la presentazione del ricorso gerarchico, altri controinteressati si rivolgano al TAR: in tale ipotesi l’autorità amministrativa adita dovrà comunicare detta notizia al ricorrente gerarchico, il quale potrà riassumere il ricorso dinanzi al TAR entro il termine perentorio di trenta giorni.

Tuttavia, va precisato che il ricorso gerarchico non è obbligatorio nei confronti del provvedimento amministrativo, essendo proponibile un immediato ricorso al giudice.

4. Il ricorso gerarchico “improprio”.

Nel nostro ordinamento, trova posto un ulteriore concetto di gerarchia, che va espandendosi anche a seguito della riorganizzazione delle Amministrazioni Pubbliche, ed è quello della cosiddetta “gerarchia impropria”, che implica, invece, una relazione tra una autorità interna ed una esterna, nel senso che la prima non può sostituirsi alla seconda, ma riveste in qualche modo un ruolo generico di preminenza o di vigilanza. Si dà luogo ad un altro genere di ricorso gerarchico, che ha carattere eccezionale e particolare, in quanto non può aver luogo, se non nei casi stabiliti dalla legge e dinanzi ad organi indicati dalla legge stessa. Per questo motivo, tale figura di impugnazione viene chiamata ricorso gerarchico improprio o atipico e la parte può far valere sia vizi di legittimità che di merito, così come come prescritto dalla legge.[7]

È l’art. 1 del d.P.R. a prevedere il ricorso gerarchico improprio esperibile avverso “gli atti amministrativi dei Ministri, di enti pubblici o di organi collegiali”[8]; può essere proposto ad un organo individuale avverso atti di organi collegiali, ad un organo collegiale avverso atti di organi individuali, ad organi statali avverso atti di altri enti pubblici o ad organi statali avverso atti di organi di vertice. Con esso, quindi, viene adita un’autorità amministrativa che non si trova in rapporto gerarchico con l’organo che ha emanato il provvedimento lesivo, ma è comunque collocata nell’ambito della sua amministrazione. Più precisamente, esso sembrerebbe essere ammesso solo nell’ambito di una identica Amministrazione o nell’ambito di Amministrazioni riconducibili ad Enti diversi, legati però da rapporti funzionali e non nell’ambito di Amministrazioni diverse, caratterizzate reciprocamente da posizioni di autonomia costituzionalmente garantite (si pensi ai rapporti fra enti locali, Regioni e Stato): altrimenti si verrebbero a configurare forme indebite di controllo.

Questa impostazione, tuttavia, non è accolta dal Consiglio di Stato, che in sostanza tende a considerare con una certa larghezza la possibilità di ricorsi che coinvolgano Amministrazioni diverse.[9]
La decisione del ricorso, secondo questa giurisprudenza, non atterrebbe alla funzione amministrativa coinvolta dall’atto di primo grado, ma atterrebbe a una funzione diversa, “neutra”, di garanzia del cittadino (c.d. funzione giustiziale).

5. Il ricorso in opposizione.

L’opposizione - ex art. 7 del d.P.R. 1199 del 1971 - analoga al ricorso gerarchico quanto a forma e termini, consiste nell’impugnare, per vizi di legittimità e di merito, un provvedimento davanti allo stesso organo che lo ha emesso. Non è un istituto di carattere generale ed è ammesso nelle sole ipotesi tassativamente contemplate dalla Legge (numerus clausus). La ratio della sua eccezionalità è data dal fatto che l’autorità che ha adottato l’atto non è più idonea a sindacare sulla legittimità del proprio operato.

5.1 Termini per la proponibilità.

Essa, pur essendo uno strumento di uso molto sporadico perché l’opponente non confida in una resipiscenza immediata dell’autorità emanante, deve essere proposta entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione o dalla conoscenza del provvedimento. Del ricorso deve esser data comunicazione ai controinteressati ammessi a proporre le proprie osservazioni e a produrre documenti entro il successivo termine di venti giorni. È altresì previsto che l’istruttoria debba concludersi entro il termine di novanta giorni dalla presentazione del ricorso e che, decorso tale termine, il ricorso si intende respinto.

6. Il ricorso straordinario al Capo dello Stato.

Il ricorso straordinario è un mezzo di antica origine, con il quale il suddito si rivolgeva al sovrano per ottenere giustizia. Esso è stato conservato nel nostro ordinamento con garanzie ben maggiori, in quanto il Capo dello Stato sottoscrive solo la decisione che sostanzialmente viene assunta dal Consiglio di Stato. È caratterizzato dal principio dell’alternatività, infatti una volta scelta la strada (giudiziaria o amministrativa) non è possibile avere ripensamenti e rivolgersi ad altro organo.
È un rimedio ammissibile nel nostro ordinamento, proprio perché frutto di una scelta del cittadino, che pur a fronte della garanzia costituzionale della giurisdizione, preferisce rivolgersi all’autorità amministrativa. Se vi è però un conflitto fra le due esigenze, prevale comunque la tutela in sede giurisdizionale. Nei confronti del ricorrente, la proposizione del ricorso giurisdizionale - che impedisce la proposizione del ricorso straordinario - coincide con il perfezionamento della fattispecie costitutiva del rapporto processuale: occorre, cioè, che il ricorso giurisdizionale non sia soltanto stato notificato, ma sia stato anche depositato.
Nonostante ciò, non sempre e comunque si può scegliere la strada del ricorso straordinario sia per le espresse esclusioni di alcune controversie, sia perché è ammesso solo per atti definitivi. Tanto, infatti, dispone l’art. 8 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199. 

Sono impugnabili davanti al Presidente della Repubblica gli atti di tutte le autorità, statali, regionali, locali (eccezion fatta per gli atti della provincia autonoma di Bolzano, ai sensi delle norme di attuazione dello Statuto speciale), delle autorità indipendenti, degli enti istituzionali e del c.d. “parastato”.[10] È proponibile a tutela delle posizioni soggettive sia di interessi legittimi sia di diritti soggettivi ed i motivi proponibili concernono solo vizi di legittimità. Oggi, è proponibile anche nei confronti degli atti dei dirigenti generali dello Stato, poiché è venuta meno la possibilità di ricorso gerarchico al Ministro.[11]

6.1. Termini per la proponibilità.

Il ricorso straordinario deve essere proposto entro il termine di centoventi giorni dalla conoscenza legale del provvedimento impugnato. Per proposto si intende tanto la notifica alle parti, quanto il deposito del ricorso. I controinteressati e l’Amministrazione che ha adottato l’atto impugnato possono chiedere, nel termine di sessanta giorni dalla notifica del ricorso, la trasposizione del ricorso dinanzi al TAR. Anche in tale procedimento è ammessa la domanda di misure cautelari che viene esaminata e decisa dal Ministro competente per l’istruttoria, dietro parere della sezione del Consiglio di Stato tenuta ad esprimerlo.

Si ritiene che sia possibile sollevare questione di legittimità comunitaria con rimessione degli atti alla Corte di Giustizia UE e che per le questioni di legittimità costituzionale, tale possibilità è stata introdotta dall’art. 69 della legge n.69 del 2009.[12]

L’istruttoria va espletata dal Ministro competente per materia ed al quale gli atti vanno trasmessi dall’autorità emanante il provvedimento impugnato (se ciò non avviene, il ricorrente può, trascorsi i centoventi giorni, sostituirsi ad essa ed al Ministro depositando copia del ricorso presso la segreteria del Consiglio di Stato). Una volta espletata l'istruttoria, il ricorso va trasmesso al Consiglio di Stato, che esprimerà il parere in sede consultiva. Detto parere è obbligatorio e vincolante. Prima, invece, il Ministro poteva richiedere che il Consiglio dei Ministri esprimesse un parere di diverso avviso.  

Dopo il parere, il Capo dello Stato emana la decisione, che va sottoposta al visto della Corte dei Conti. La decisione del Presidente della Repubblica deve essere, perciò, conforme a detto parere.

La disciplina tradizionale del ricorso straordinario, da ultimo ripresa nel d.P.R. n. 1999 del 1971, prevedeva che il Ministro competente, se riteneva di non aderire al parere del Consiglio di Stato, poteva proporre al Consiglio dei Ministri una decisione difforme; questa possibilità veniva ammessa per il carattere amministrativo del rimedio ed in considerazione della sua natura extra ordinem. L’effetto della scelta ministeriale era quello di trasporre il ricorso dalla sfera amministrativa alla sfera degli atti di alta amministrazione, rispetto ai quali non è possibile un sindacato in sede giurisdizionale, trattandosi di una scelta di carattere politico. In questo caso, il decreto del Presidente della Repubblica doveva essere conforme alla deliberazione del Consiglio dei Ministri. Si è trattato, però, di una possibilità mai utilizzata (secondo taluno, si ricorda un solo caso di suo esercizio). La legge n. 69 del 2009, all’art. 69, ha peraltro eliminato questa possibilità, imponendo sempre al Ministro competente di proporre al Presidente della Repubblica la decisione del ricorso in conformità del parere del Consiglio di Stato. E ciò al fine di rafforzare la natura giustiziale del rimedio.

Quanto alle impugnazioni, le decisioni del Capo dello Stato tendenzialmente non sono impugnabili, in virtù del principio di alternatività. Tuttavia, sono formalmente atti amministrativi, per cui non si sottraggono al principio costituzionale di impugnabilità. Tuttavia, l'impugnazione dinanzi al TAR è ammessa solo limitatamente ai vizi o agli errores in procedendo, successivi all’espressione del parere da parte del Consiglio di Stato. L’impugnazione è altresì possibile, senza alcuna limitazione, da parte dei soggetti che erano stati pretermessi nel procedimento del ricorso straordinario, perché ad essi il ricorso medesimo non è stato notificato: in questo caso, questi soggetti possono dedurre le censure formali e di merito che riterranno opportune.

Inoltre, è possibile proporre revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c. sempre davanti al Capo dello Stato con la stessa procedura del ricorso introduttivo.

Dopo l’entrata in vigore del c.p.a., vi è da ritenere attuata una vera e propria giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario. Grazie all’autorevolezza dell’organo che decide il ricorso (Consiglio di Stato) e alla forza giuridica del provvedimento, unite alla possibilità di rimettere le questioni di legittimità costituzionale e comunitaria rispettivamente alla Corte Costituzionale ed alla Corte di Giustizia dell’UE, l’equiparazione al processo amministrativo è parsa pressoché totale. Da qui la quasi totale equiparazione di compiti e funzioni del ricorso straordinario, quale rimedio alternativo al ricorso giurisdizionale, che si potrebbe dire perfezionata con il consentire che il procedimento di esecuzione delle sentenze amministrative sia adottabile anche per le decisioni assunte dal Capo dello Stato dietro ricorso straordinario. Difatti sulla scorta dell’art. 112 c.p.a., secondo cui l’azione di ottemperanza può essere proposta per conseguire l’esecuzione delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati per i quali non sia previsto il rimedio dell’ottemperanza, al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della P.A. di conformarsi alla decisione, dovrebbero essere caduti gli ostacoli formali che la giurisprudenza frapponeva all’attuazione giurisdizionale delle decisioni del Capo di Stato.

Ed infatti, per l’esecuzione della decisione del ricorso straordinario può essere esperito un giudizio di ottemperanza da proporre al Consiglio di Stato: in questo senso si sono espresse sia le Sezioni Unite della Corte di Cassazione che del Consiglio di Stato, con un orientamento innovativo fondato sul Codice e sulle nuove caratteristiche del ricorso straordinario citate poc’anzi. Per le stesse ragioni, la giurisprudenza ha ammesso avverso la decisione del ricorso straordinario il ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione per questioni di giurisdizione.[13]

6.2. Il ricorso al Presidente della Regione Sicilia.

Una impugnazione sostanzialmente analoga a quella prevista avanti al Presidente della Repubblica può essere proposta al Presidente della Regione siciliana soltanto nei confronti degli atti amministrativi regionali. Deve trattarsi perciò o di atti emanati direttamente da organi regionali, o di atti emanati da organi dipendenti o controllati dall’amministrazione regionale, nell’esercizio di una potestà amministrativa propria di quella regione. Il ricorso viene deciso dal Presidente della Regione, su proposta dell’Assessore competente, previo parere del Consiglio di Giustizia amministrativa. Anche in questo caso, il Presidente della Regione può discostarsi dal parere del Consiglio di giustizia amministrativa, su richiesta dell’Assessore, ma previa deliberazione della Giunta regionale.[14]

7. Conclusioni

A conclusione della breve disamina poc’anzi affrontata, va riferito che all’attualità, gli istituti di cui sopra risultano quasi del tutto inutilizzati: infatti, il ricorso gerarchico improprio è impiegato in poche limitate ipotesi previste, mentre i ricorsi gerarchico e in opposizione sono in disuso, per la loro scarsa capacità di offrire una tutela adeguata. 

Inoltre, la dottrina, accanto al tradizionale, storico strumento alternativo del ricorso giurisdizionale, negli ultimi tempi ha approfondito – anche sulla scorta dei nuovi istituti provenienti dall’ordinamento europeo – la c.d. ADR, Alternative Dispute Resolution, che dovrebbe favorire una rapida soluzione alle controversie in genere e in particolare a quelle intentate nei confronti delle pubbliche amministrazioni. Parte della dottrina -in ragione della terzietà delle decisioni, ha ritenuto di rinvenire proprio nel ricorso straordinario una ADR per eccellenza, anche se il procedimento in questione risulta privo della speditezza del procedimento e della celerità della decisione finale, caratteristiche, queste, fondamentali degli istituti delle ADR. Altri, invece, reputano necessaria l’introduzione nel nostro ordinamento positivo di nuove fattispecie caratterizzate da semplicità, celerità, speditezza, imparzialità.[15 

Proprio per questo – ma non unico – motivo, forse, una riforma della giustizia amministrativa dal punto di vista giustiziale sarebbe auspicabile e, così come affermato più volte dal Prof. Avv. Mario Pilade Chiti,  “[..] nell’attesa, auspicata, che le riforme amministrative diano esiti significativi, occorre massimizzare le garanzie nel procedimento amministrativo, valorizzando le già ampie opportunità offerta dalla presente disciplina e utilizzando quanto già si intravede dall’attuazione delle leggi sulla semplificazione amministrativa.”[16]

Note e riferimenti bibliografici

- De Roberto, P. M. Tonini, I ricorsi amministrativi, Milano, Giuffrè, 1984.
- Quaranta, Lineamenti di diritto amministrativo, Roma, 1983.
- Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, XII ed., Napoli, 1982.
- Travi, Ricorso giurisdizionale successivo e ricorso gerarchico, in Dir. Reg. 1988.
-  AA. VV., Diritto amministrativo Tomo II, Monduzzi editore, 2000.
-G. Paleologo, La riforma dei ricorsi amministrativi, Milano, 1975.
- G. Pasquini A. Sandulli, Le grandi decisioni del Consiglio di Stato, a cura di Giuffrè, 2001.
- G. Zanobini, “Corso di diritto amministrativo”, vol. II, 1958.
- Inglima Modica, In tema di rapporti fra ricorso gerarchico e ricorso giurisdizionale, in Nuove Auton., 1997.
- L. Hautmann, Del ricorso gerarchico, Firenze, 1911.
- M. S. Giannini, La giustizia amministrativa, Roma, 1959.
- P. Virga, Diritto amministrativo, Tomo II, Giuffrè, Milano, 2000.

[1] Cfr. Sent. Cassazione, Sez. Unite Civili - Sentenza 26 marzo-22 luglio 1999 n. 500/99
[2] Cfr. Sent. 204/2004: “è evidente che il vigente art. 103, primo comma, Cost. non ha conferito al legislatore ordinario una assoluta e incondizionata discrezionalità nell’attribuzione al Giudice amministrativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, ma gli ha conferito il potere di indicare “particolari materie” nelle quali “la tutela nei confronti della P.A.” investe anche diritti soggettivi: un potere del quale può dirsi al negativo, che non è né assoluto né incondizionato, e del quale in positivo va detto che deve considerare la natura delle situazioni soggettive coinvolte e, non fondarsi esclusivamente sul dato oggettivo delle materie [...] tale necessario collegamento delle “materie” assoggettabili alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo […] è espresso dall’art.103, laddove statuisce che quelle materie devono essere “particolari” rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità e cioè devono partecipare della loro medesima natura, che è contrassegnata della circostanza che la P.A. agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo. […] Viceversa, nelle ipotesi in cui i comportamenti causativi di danno ingiusto – e cioè, nella specie, la realizzazione dell’opera – costituiscono esecuzione di atti o provvedimenti amministrativi e sono quindi riconducibili all’esercizio del pubblico potere dell’Amministrazione, la norma si sottrae alla censura di illegittimità costituzionale, costituendo anche tali comportamenti esercizio, ancorché viziato da illegittimità, della funzione pubblica della P.A."
[3] Decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1971, n. 1199 “Semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi”, in G.U. n. 13 del 17 gennaio 1972, n. 13
[4] Massimo Tucci, “L’amministrazione tra pubblico e privato e il principio di legalità dall’antichità ai giorni nostri: aspetti ricostruttivi e prospettive di sviluppo”, Giuffrè Editore, 2008.
[5] Storicamente molto significativa, per approfondimento dogmatico e sforzo ricostruttivo, è anche la decisione dell’Adunanza Plenaria del 10 marzo 1978 (cd. caso O. R. M. A.). In una cornice normativa radicalmente cambiata rispetto al passato, l’Adunanza Plenaria ha affrontato il problema del silenzio nella giustizia amministrativa precisando alcune fondamentali caratteristiche dell’istituto e risolvendo i principali dubbi applicativi dell’epoca.
[6] La definitività di un atto è necessariamente dirimente per stabilire se sia o meno esperibile un ricorso ordinario o straordinario: il provvedimento diventa definitivo dopo la decisione sul ricorso gerarchico o decorsi 90 giorni dalla proposizione del ricorso, nel caso di assenza di decisione (silenzio – rigetto). Altresì, un provvedimento può essere definitivo per legge.
[7] Si può fare riferimento nell’ambito dell’Amministrazione Difesa – ad esempio – al ricorso gerarchico avverso il documento caratteristico esperibile al Direttore della Direzione Generale del Personale Militare, che non corrisponde con l’organo sovraordinato, sempre ai sensi del d.P.R. 1199 del 1971.
[8] d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, art. 16, comma 1: “Contro gli atti amministrativi non definitivi è ammesso ricorso in unica istanza all’organo sovraordinato, per motivi di legittimità e di merito, da parte di chi vi abbia interesse. Contro gli atti amministrativi dei Ministri, di enti pubblici o di organi collegiali è ammesso ricorso da parte di chi vi abbia interesse nei casi, nei limiti e con le modalità previsti dalla legge o dagli ordinamenti dei singoli enti. La comunicazione degli atti soggetti a ricorso ai sensi del presente articolo deve recare l’indicazione del temine e dell’organo cui il ricorso deve essere presentato”.
[9] G. Zanobini, “Corso di diritto amministrativo”, pag. 103 e segg.
[10] Con espresso riferimento all’impugnazione degli atti delle autorità indipendenti, la proponibilità del ricorso straordinario è stata riconosciuta da Cons. Stato, Comm. spec., 29 maggio 1998, n. 988/97, in Cons. Stato, 1998, I, 1483.
[11] Cons. Stato, Sez. II, 30 settembre 1998, n. 1273/98, in Giornale dir. amm., 1999, 67.
[12]Legge 18 giugno 2009, n. 69 "Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 140 del 19 giugno 2009 - Supplemento ordinario n. 95, “Rimedi giustiziali contro la pubblica amministrazione”, all'articolo 13, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1971, n. 1199, dopo il secondo periodo è inserito il seguente: “Se ritiene che il ricorso non possa essere deciso indipendentemente dalla risoluzione di una questione di legittimità costituzionale che non risulti manifestamente infondata, sospende l'espressione del parere e, riferendo i termini e i motivi della questione, ordina alla segreteria l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 23 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87, nonché la notifica del provvedimento ai soggetti ivi indicati”.
[13] La Corte di Cassazione, Sez. Un. civ., 14 maggio 2014, n. 10414 ha però precisato che il ricorso per questioni di giurisdizione può essere proposto soltanto se nel corso del procedimento di ricorso straordinario la questione di giurisdizione è stata sollevata ed affrontata, in analogia a quanto previsto dall’art. 9 del Codice del processo per i giudizi amministrativi.
[14] “Manuale di giustizia amministrativa”, G. Giappichelli Editore
[15] Giovanni Leone, “Elementi di diritto amministrativo”, CEDAM, terza edizione
[16] Mario P. Chiti, “Le riforme amministrative e l’effettività della giustizia amministrativa”.