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Pubbl. Gio, 12 Apr 2018

Basta una telefonata per configurare il reato di molestie?

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Alessandro Brogioni


Con la sentenza in commento (Cass., Sez. I Pen., n. 6064 del 2018), la Suprema Corte conferma la natura eventualmente abituale del reato di cui all´art. 660 c.p.: ai fini dell´integrazione è sufficiente una sola azione purché particolarmente sintomatica dei requisiti della fattispecie tipizzata.


Il fatto

Con sentenza del 4 luglio 2016, il Tribunale di Treviso aveva condannato l’imputato per il reato di cui all’art. 660 c.p. per avere, con petulanza o biasimevole motivo, effettuato chiamate telefoniche mute o caratterizzate da riferimenti a persone conosciute dal denunciante e avere inviato sms diretti all'utenza intestata alla parte offesa.

L’imputato, a mezzo del difensore, proponeva appello (poi riqualificato come ricorso), deducendo, tra gli altri motivi, mancanza di motivazione in ordine al giudizio di responsabilità. In particolare, la difesa sosteneva che il reato di molestie non era stato integrato dall’imputato sotto un profilo oggettivo, in quanto avrebbe fatto difetto il requisito della petulanza e/o del biasimevole motivo[1]. L’imputato, infatti, avrebbe effettuato solo due telefonate mute, circostanza tale da non poter essere considerata espressione di petulanza, dovendosi intendere per tale elemento un atteggiamento di insistenza eccessiva e perciò fastidiosa, di arrogante invadenza e di intromissione continua e inopportuna nell’altrui sfera. Sarebbe mancato, inoltre, il requisito dell’elemento soggettivo, avendo l’imputato agito, perché preoccupato per la situazione in cui era coinvolta la propria amica, moglie del denunciante, autore di violenze commesse in danno della stessa, come accertato da sentenza di condanna emessa nei confronti del denunciante medesimo.

Motivi della decisione

Gli Ermellini sottolineano come, in realtà, le condotte moleste non erano consistite nei soli tre contatti telefonici tra l’imputato e la persona offesa, ma anche in sms provenienti dall’utenza in uso allo stesso imputato, il cui contenuto alludeva ad una relazione sentimentale della ex moglie del denunciante con lo stesso imputato o con altri uomini, argomento utilizzato al solo fine di infastidire e dileggiare il destinatario.

I giudici di legittimità ritengono, pertanto, sussistenti i tratti propri della petulanza per l’insistente intromissione da parte dell’imputato nella sfera privata del denunciante, a nulla rilevando le pretese preoccupazioni per la situazione della moglie dello stesso, esposta ad imprecisate violenze, che non avrebbero potuto essere impedite o rimediate tramite i comportamenti intrusivi e molesti oggetto di imputazione.

La sentenza, a questo punto, si sofferma sulla natura del reato di molestie o disturbo alle persone, sottolineando che non sia necessariamente abituale, potendo essere realizzato anche con una sola azione od omissione, purché particolarmente sintomatica dei requisiti della fattispecie tipizzata[2]. L’atto, a giudizio della Corte, per essere molesto, deve non soltanto risultare sgradito a chi lo riceve, ma deve essere anche ispirato da biasimevole, ossia riprovevole, motivo o rivestire il carattere della petulanza, che consiste in un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire sgradevolmente nella sfera privata di altri.

Nel caso di specie, tuttavia, il reato veniva integrato da una pluralità di condotte, consistenti nelle tre telefonate e nei vari sms inviati al denunciante, tali da integrare il carattere tipico dell’abitualità (con la conseguenza che non era configurabile l’ipotesi del reato continuato[3] così come affermato dalla sentenza impugnata, la quale veniva pertanto annullata senza rinvio, eliminando l’aumento di pena stabilito a tale titolo e pari ad € 100,00 di ammenda).

 

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Cfr. Commento all’art. 660, in Codice penale commentato, diretto da E. Dolcini e G. L. Gatta, Milano, 2015, 1453 e seg.: "Secondo la prevalente dottrina e giurisprudenza per petulanza si intende un atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione continua e inopportuna nell’altrui sfera di libertà, un modo di agire insistente, pressante, ostinato, indiscreto, mantenuto dall’agente anche dopo essersi reso conto che la propria condotta non è gradita e per biasimevole motivo, invece, ogni altro movente che sia riprovevole in se stesso o in relazione alla qualità della persona molestata e che abbia praticamente su quest’ultima gli stessi effetti della petulanza. Discusso è anche il ruolo che i due elementi hanno nell’economia della fattispecie: secondo alcuni Autori, petulanza e biasimevole motivo atterrebbero all’elemento soggettivo, qualificando, perciò, la contravvenzione di cui all’art. 660 c.p. in termini di dolo specifico; secondo altri Autori e una parte della giurisprudenza più recente, petulanza e biasimevole motivo atterrebbero al piano della condotta, costituendo il parametro della rilevanza penale della molestia e del disturbo, con la conseguenza che andrebbero ad integrare gli estremi del reato di cui all’art. 660 c.p. soltanto quelle condotte attuate, appunto, con petulanza o connotate da biasimevole motivo. Quest’ultimo orientamento è forse da preferire, in quanto verrebbe rispettata la natura contravvenzionale del reato (che ex art. 42, co. 4 c.p., può essere imputato, indifferentemente a titolo di dolo o colpa, anche se difficilmente la fattispecie de qua è compatibile con un atteggiamento meramente colposo), senza che, ai fini dell’accertamento del reato, un ruolo fondamentale sia svolto dal semplice atteggiamento interiore del soggetto agente."
[2] Cfr. Cass., Sez. I, n. 29933 del 2010, Rv. 257960
[3] Cfr. Cass., Sez. I., n. 17787 del 2008, Rv. 239848, secondo cui “Il reato di molestie o disturbo alle persone, pur non essendo per sua natura necessariamente abituale, in quanto può essere realizzato anche con una sola azione di disturbo o di molestia, può però assumere tale forma, incompatibile con la continuazione allorché non sia stata tanto la modalità delle condotte poste in essere, quanto la loro reiterazione assillante (nella specie numerose telefonate di tono offensivo) a determinare l'effetto pregiudizievole dell'interesse tutelato”.