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Pubbl. Lun, 9 Apr 2018
Sottoposto a PEER REVIEW

La responsabilità dell´appaltatore e l´estensione applicativa della nozione di gravi difetti dell´opera

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Annette Capurso


Con la sentenza del 14.12.2017 la Corte d’Appello di Napoli ha considerato “gravi difetti” dell’opera, ai sensi dell’art. 1669 c.c., i vizi di impermeabilizzazione e degli intonaci dell’edificio, in quanto costituiscono alterazioni che, pur riguardando direttamente una parte dell'opera, hanno inciso sulla sua struttura e funzionalità globale, menomando in modo apprezzabile il godimento dell'opera medesima.


Sommario: 1. Premessa; 2. Il contratto di appalto; 3. Obblighi dell’appaltatore; 3. La responsabilità dell’appaltatore per rovina o gravi difetti; 4. Ambito applicativo dell’art. 1669 c.c.: in particolare i “gravi difetti” dell’opera; 5. Estensione della nozione di “gravi difetti” dell’opera; 6. Conclusioni.

1. Premessa

La sentenza del 14 dicembre 2017 della Corte d’Appello di Napoli si inserisce nel percorso interpretativo della nozione di “gravi difetti” dell’opera, da anni intrapreso dalla giurisprudenza di legittimità, al fine di supplire alla vaghezza dell’espressione normativa.

Per tale ragione, al fine di comprendere meglio la decisione della suddetta Corte, è importante ricostruire la nozione di "gravi difetti" dell'opera sulla base delle diverse pronunce giurisprudenziali che si sono susseguite nel tempo e che hanno consentito di pervenire sempre più ad una compiuta definizione dell’ambito applicativo della responsabilità dell’appaltatore di cui all’art. 1669 c.c., facilitando in tal modo il lavoro del giurista.

Tale ricostruzione richiede preliminarmente la delineazione delle caratteristiche del contratto di appalto e l'individuazione degli obblighi dell’appaltatore in modo da poter effettuare una più chiara disamina sulla responsabilità per rovina o difetti di cose immobili e, in particolare, sull’estensione applicativa della nozione di “gravi difetti” ex art 1669 c.c. operata dalla giurisprudenza di legittimità.

2. Il contratto di appalto

Ai sensi dell’art. 1655 c.c. l’appalto è il contratto con il quale l’appaltatore assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, l’obbligazione di compiere per il committente o l’appaltante un’opera o un servizio, verso un corrispettivo in danaro.

Detta definizione consente, in primis, di qualificare l’appalto come un contratto sinallagmatico, atteso che fra le prestazioni a carico delle due parti sussiste un nesso di corrispettività.

Invero, il contratto potrà ritenersi adempiuto solo allorquando l’appaltatore abbia compiuto l’opera o prestato il servizio secondo quanto pattuito e il committente abbia pagato il corrispettivo stabilito.

L’appalto è, dunque, un contratto tipicamente oneroso, oltreché commutativo, in quanto le prestazioni delle parti sono, fin dal momento della conclusione del contratto, determinate o almeno determinabili, in base a criteri prestabiliti, e non dipendono da eventi futuri e incerti[1].

Se poi, a causa di circostanze imprevedibili si siano verificati aumenti o diminuzioni del costo dei materiali o della mano d’opera tali da determinare un aumento o una diminuzione superiore al decimo del prezzo complessivo convenuto, l’art. 1664 c.c. prevede la possibilità per l’appaltatore o per il committente di revisionare il prezzo, in tal modo neutralizzando il rischio di una rilevante sproporzione fra il valore delle due prestazioni, che si verifichi o si manifesti durante l’esecuzione dell’opera[2].

3. Obblighi dell’appaltatore

Così chiarite le caratteristiche principali del contratto di appalto, occorre accennare brevemente alle obbligazioni che, a seguito della conclusione del contratto in questione, derivano a carico dell’appaltatore.

Ai sensi dell’art. 1655 c.c.,quest’ultimo è tenuto a compiere un’opera o a prestare un servizio, come risultato di una determinata attività produttiva.

In particolare, si definisce appalto di opera l’attività dell’appaltatore che, attraverso una modificazione dello stato materiale di cose preesistenti, produce un nuovo bene materiale o apporta sostanziali modifiche ad un bene già esistente.

L’appalto dei servizi, invece, si sostanzia nell’attività dell’appaltatore volta a produrre una utilità o a soddisfare un determinato interesse del committente[3].

Dal contenuto dell’obbligazione dell’appaltatore deriva che su di lui grava il rischio del lavoro, ovvero il rischio che l’attività produttiva non dia il risultato promesso.

Tale rischio può essere dovuto alle difficoltà di realizzazione dell’opera, in relazione al rapporto tra costo e risultato, oppure all’impossibilità del suo stesso compimento, per causa non imputabile ad alcuna delle parti, o anche al perimento o al deterioramento della res, prima che sia accettata dal committente o prima che questi sia in mora a verificarla.

In tali casi, l’appaltatore – salvi i temperamenti previsti dalla legge – non ha diritto al pagamento del compenso pattuito, non essendo stato realizzato il risultato che giustifica l’interesse del committente a stipulare il contratto.

Tuttavia, l’obbligazione principale dell’appaltatore impone, altresì, che questi compia l’opera o presti il servizio secondo le condizioni stabilite nel contratto.

Se l’opera realizzata non è conforme alle prescrizioni contrattuali e alle regole dell’arte, l’appaltatore è tenuto alla garanzia per la difformità e i vizi dell’opus ai sensi dell’art. 1667 c.c., salvo che il committente abbia accettato l’opera e le difformità o i vizi erano da lui conosciuti o erano riconoscibili.

Per difformità deve intendersi una discordanza dell’opera dalle prescrizioni contrattuali, mentre i vizi consistono nella mancanza di modalità o qualità che devono considerarsi inerenti all’opera secondo le regole dell’arte e la normativa delle cose[4].

L’azione di garanzia nei confronti dell’appaltatore può essere esperita, a pena di decadenza, dal committente che denunci le difformità o i vizi dell’opera entro sessanta giorni dalla scoperta ed entro due anni decorrenti dal giorno della consegna dell’opera.

Il contenuto della suddetta garanzia è previsto dall’art. 1668 c.c., il quale considera due ipotesi  a seconda della gravità delle difformità o dei vizi.

Se i vizi o le difformità non rendono l’opera del tutto inadatta all’uso a cui è destinata, l’art. 1668 c.c. prevede che il committente possa chiedere o l’eliminazione delle difformità o dei vizi a spese dell’appaltatore, oppure una proporzionale riduzione del prezzo, salvo il risarcimento dei danni nel caso di colpa dell’appaltatore.

Qualora, invece, le difformità o i vizi dell’opera siano tali da renderla inidonea alla sua destinazione, il committente può chiedere la risoluzione del contratto.

3. La responsabilità dell’appaltatore per rovina o gravi difetti

Una diversa e più grave responsabilità per l’appaltatore rispetto a quella per vizi e difformità di cui agli artt. 1667 - 1668 c.c. è riconosciuta dall’art. 1669 c.c., il quale prevede una garanzia che dura dieci anni dal compimento di edifici o di altre cose immobili e non è eliminata dalla verifica e dal collaudo.

Si tratta, in particolare, di una garanzia che viene invocata allorquando l’appalto ha ad oggetto edifici o altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata. Invero, al fine di adeguare il termine della garanzia alla durata della vita del bene immobile, il legislatore ha prolungato la durata della responsabilità dell’appaltatore, che costituisce il primo elemento di specialità rispetto alla garanzia generale di cui agli artt. 1667 e 1668 c.c.

Inoltre, il perimetro di applicazione dell’art. 1669 c.c. è meno ampio di quello dei predetti articoli, che concernono le ipotesi delle opere costruite in difformità alle prescrizioni contrattuali o senza l’osservanza delle regole tecniche.

Nel caso in esame la responsabilità dell’appaltatore è prevista nelle ipotesi di rovina totale o parziale di un immobile, di pericolo di rovina o di gravi difetti.

Pertanto, per le difformità e i vizi non previsti dall’art. 1669 c.c. e quando si tratti di edifici o di altri immobili non destinati per loro natura a lunga durata trova applicazione la garanzia ordinaria, disciplinata dagli artt. 1667 e 1668 c.c.

Ove, invece, ricorrano i presupposti richiesti dalla suddetta norma speciale, il committente ha l’onere di denunciare la rovina, il pericolo di rovina o i gravi difetti dell’opera entro un anno dalla scoperta, a pena di decadenza, e deve esperire l’azione di garanzia entro un anno dalla denuncia, a pena di prescrizione.

Occorre, altresì, precisare che il termine decennale richiesto dall’art. 1669 c.c. per invocare la garanzia dell’appaltatore è un termine di durata della responsabilità e non un termine di prescrizione. Ciò implica che l’azione di responsabilità può essere proposta anche alla scadenza del decennio, purché l’evento lesivo si sia verificato nel corso dei dieci anni dal compimento dell’opera, la denuncia sia stata tempestiva e si agisca entro un anno dalla denuncia[5].

4. Ambito applicativo dell’art. 1669 c.c.: in particolare i “gravi difetti” dell’opera

Come chiaramente si evince dalla lettura della disposizione normativa in esame, la disciplina della responsabilità per rovina e difetti di cose immobili opera nei casi in cui sia avvenuta una rovina totale o parziale dell’edificio, qualora sia evidente un pericolo di rovina o allorquando si manifestino dei gravi difetti della costruzione che possano ledere l’interesse pubblico dell’incolumità dei cittadini e l’interesse privato al godimento dell’immobile stesso.

Tralasciando momentaneamente l’analisi della nozione di “gravi difetti”, occorre sinteticamente precisare che si ha rovina totale quando l’immobile cessa di esistere perché disintegrato nelle parti che ne formano le strutture necessarie per la sua stabilità, oppure quando la compromissione degli elementi essenziali dell’opera influisca sulla sua durata e stabilità, e rovina parziale qualora rovini solo una parte che abbia però una certa importanza nell’economia complessiva dell’immobile.

Quanto al concetto di pericolo di rovina, si osserva che tale pericolo, per essere rilevante, non deve necessariamente essere evidente per l’uomo medio, potendo anche essere contestabile solo da un tecnico. In particolare, deve trattarsi di un pericolo attuale, con la conseguenza che il committente può agire ai sensi dell’art. 1669 c.c. anche se si prevede che l’evento dannoso della rovina si possa verificare dopo il termine decennale richiesto dalla medesima norma[6].

Infine, la responsabilità di cui all’art. 1669 c.c. ricorre anche allorquando su edifici o altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata si manifestino gravi difetti, la cui definizione ha da tempo occupato dottrina e giurisprudenza.

In particolare, un orientamento giurisprudenziale minoritario ha definito gravi difetti dell’opera i vizi concernenti la solidità e la buona conservazione futura dell’immobile, distinguendoli da quelli attinenti alla stabilità futura della costruzione, che integrerebbero l’ipotesi del pericolo di rovina.

Tale distinzione tra stabilità e solidità, oltre a restringere il novero dei fenomeni che possono essere ricompresi nella categoria dei gravi difetti, porrebbe il pericolo di rovina e i gravi difetti su di una scala di gravità a seconda della natura e della portata delle rispettive conseguenze dannose.

Invero, qualora il vizio abbia già provocato il crollo, si avrebbe rovina; qualora esso stia per determinarlo in un tempo prossimo, si configurerebbe il pericolo di rovina; mentre, nel caso in cui possa provocarlo in un futuro più lontano, ricorrerebbe l’ipotesi del grave difetto[7].

A tale orientamento della giurisprudenza può accostarsi l’opinione di quella parte della dottrina secondo la quale i gravi difetti possono prescindere dall’attualità del pericolo di rovina e dalla certezza di esso di incidere sulla stabilità dell’opera solo in via potenziale e mediata[8].

Diversamente, secondo il prevalente e più recente orientamento giurisprudenziale, i gravi difetti non sono solo quelli che compromettono la stabilità e la conservazione dell’immobile, in quanto, in tal caso, si identificherebbero con la rovina o con il pericolo di rovina, così creando un inutile duplicato delle fattispecie già contemplate nell’art. 1669 c.c.[9].

Nella nozione di gravi difetti devono ricomprendersi tutte le alterazioni dell’immobile rispetto al suo stato normale che siano in grado di pregiudicare gravemente l’utilizzazione del bene[10] e, dunque, tutte le deficienze costruttive incidenti sulla funzionalità dell’opera e comportanti una menomazione del godimento dell’immobile con pericolo per la durata e la conservazione della costruzione[11].

In particolare, i gravi difetti di costruzione che danno luogo alla garanzia prevista dall’art. 1669 c.c. non si identificano necessariamente con vizi influenti sulla staticità, durata e conservazione dell’edificio, ma possono consistere in una qualsiasi alterazione che, pur riguardando direttamente una parte dell’opera, incidono sulla sua struttura e funzionalità globale, menomando in modo apprezzabile il godimento dell’opera medesima[12].

È, dunque, evidente come la giurisprudenza, nel fornire una nozione di gravi difetti dell’opera, abbia dato un rilievo particolare al diritto di godimento della res e, di riflesso, al diritto di proprietà che trova piena consacrazione nell’art. 42 Cost. e nell’art. 832 c.c.

Invero, una qualsiasi alterazione dell’opera può pregiudicare e menomare in modo rilevante il normale godimento dell’opera, la sua funzionalità o abitabilità, ledendo in modo consistente il diritto di proprietà.

A titolo esemplificativo, possono menzionarsi i vizi afferenti l’impianto di depurazione, in quanto, l’inesistenza di un efficiente sistema di trattamento e smaltimento dei reflui impedisce il rilascio del certificato di abitabilità dell’immobile.

5. Estensione della nozione di “gravi difetti” dell’opera

La centralità che ha assunto nella definizione di gravi difetti dell’opera il diritto di godimento della res ha indotto nel tempo la giurisprudenza ad estendere di gran lunga l’ambito applicativo della locuzione in esame.

E' stato così precisato che il difetto può concernere l’intera opera, ma può anche essere localizzato fisicamente e riguardare una parte limitata dell’edificio, purché pregiudichi in modo rilevante la funzionalità della parte stessa e, allo stesso tempo, determini un apprezzabile menomazione del godimento dell’intero immobile.

In questo senso, è stato ritenuto responsabile, ai sensi dell’art. 1669 c.c., l’appaltatore per il crollo o il disfacimento degli intonaci esterni dell’edificio[13] o per i vizi attinenti ad un ascensore panoramico esterno all’immobile[14].

Sulle orme del medesimo orientamento estensivo si pone quella parte di giurisprudenza che ha ormai pacificamente incluso nella nozione di “gravi difetti” dell’edificio non solo quei vizi che incidono in misura sensibile sugli elementi essenziali delle strutture dell’opera, ma anche quelli che riguardano elementi secondari ed accessori dell’immobile, quali sono le impermeabilizzazioni, i rivestimenti, la pavimentazione, gli infissi, gli impianti, purché siano di entità ed intensità tali da compromettere la fruibilità e la funzionalità globale dell’opera stessa ed eliminabili solo con lavori di manutenzione, ancorché ordinaria, e cioè mediante opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici o mediante opere che integrano o mantengono in efficienza gli impianti tecnologici installati[15].

Sicché hanno dato luogo a responsabilità dell’appaltatore ex art. 1669 c.c. i gravi difetti all’intonaco, il quale, staccandosi, andava ad incidere sull’impermeabilizzazione e sull’isolamento termico dell’edificio[16]; i gravi difetti di costruzione dell’impianto centralizzato di riscaldamento[17]; il mal funzionamento dell’impianto idrico, con conseguente allagamento dei locali, causato dal mancato corretto isolamento della tubazioni[18]; il sottodimensionamento dell’intero impianto di smaltimento delle acque bianche dell’immobile[19]; l’inadeguatezza recettiva di una fossa biologica[20] e della rete fognaria[21], che ha causato la fuoriuscita di liquami; l’inidonea realizzazione degli infissi[22]; le infiltrazioni d’acqua e di umidità attraverso le murature condominiali e, in generale, i problemi di impermeabilizzazione[23].

L’operatività della garanzia di cui all’art. 1669 c.c. non è esclusa neppure in ragione del fatto che i difetti riscontrati riguardino parti comuni di un edificio ai sensi dell’art. 1117 c.c., quali, ad esempio i vani scala.

La nozione di grave difetto di costruzione, ricomprendendo ogni deficienza o alterazione che vada ad intaccare in modo significativo sia la funzionalità dell’opera che la sua normale utilizzazione, è riferibile anche alle parti comuni di un edificio condominiale[24].

Conseguentemente, tale estensione della nozione di grave difetto dell’opera anche alle parti comuni di un edificio ha ampliato il novero dei soggetti legittimati a esperire l’azione di responsabilità ex art. 1669 c.c., includendovi anche l’amministratore di condominio che avrebbe, dunque, il potere-dovere di compiere atti conservativi per la salvaguardia dei diritti concernenti l’edificio condominiale.

Sicché rientra nel novero degli atti conservativi di cui all’art. 1130, n. 4 c.c. l’azione di cui all’art. 1669 c.c. intesa a rimuovere i gravi difetti di costruzione, nel caso in cui questi riguardino l’intero edificio condominiale ed i singoli appartamenti, vertendosi in un’ipotesi di causa comune di danno che abilita alternativamente l’amministratore del condominio ed i singoli condomini ad agire per il risarcimento, senza che possa farsi distinzione tra parti comuni e singoli appartamenti o parte di essi soltanto[25].

Lo spazio dei “gravi difetti” è stato da ultimo ampliato dalla nota sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, la quale ha ritenuto sussistente la responsabilità dell’appaltatore ex art. 1669 c.c. anche nei casi in cui gravi difetti incidenti sul godimento e sulla normale utilizzazione del bene si manifestino su immobili preesistenti a causa delle opere di ristrutturazione edilizia e, in genere, degli interventi manutentivi o modificativi di lunga durata sugli stessi[26].

In altri termini, la Suprema Corte attribuisce rilevanza alle opere realizzate successivamente su un edificio pregresso, allorquando le stesse abbiano una incidenza sensibile sugli elementi essenziali delle strutture dell'edificio ovvero su elementi secondari od accessori, tali da compromettere la funzionalità globale dell'immobile stesso.

Ciò in quanto anche le opere aventi ad oggetto mere riparazioni straordinarie, ristrutturazioni, restauri o altri interventi di natura immobiliare, possono rovinare o presentare evidente pericolo di rovina del manufatto, tanto nella porzione riparata o modificata, quanto in quella diversa e preesistente che ne risulti altrimenti coinvolta per ragioni di statica.

Ebbene, nell’economia del ragionamento giuridico sotteso all’evoluzione giurisprudenziale su esposta, che fa leva sulla compromissione del godimento dell’immobile secondo la sua propria destinazione e, di riflesso, sulla limitazione dell’esercizio del diritto di proprietà, è indifferente che i gravi difetti riguardino una costruzione interamente nuova o già preesistente.

Di conseguenza, deve ritenersi che ove l’opera appaltata consista in un intervento di ristrutturazione, sebbene non in una nuova costruzione, l’art. 1669 c.c. sia ugualmente applicabile.

Tale orientamento è, tra l’altro, coerente con l’interpretazione letterale della disposizione in esame, laddove il sostantivo “costruzione” rappresenta un nomen actionis, nel senso di ‘attività costruttiva’, e non potrebbe essere altrimenti, visto che se esso valesse quale specificazione riduttiva del soggetto della proposizione subordinata, si avrebbe una duplicazione di concetti inutile e fuorviante.

Inoltre, se si incentrasse l'interpretazione dell'art. 1669 c.c. sul concetto di "costruzione" quale nuova edificazione, diverrebbe spontaneo il rinvio al concetto normativo di costruzione così come elaborato dalla giurisprudenza della Corte di legittimità in materia di distanze[27]. E, a ben vedere, l’orientamento giurisprudenziale contrario sembra presupporlo lì dove afferma che la norma in commento ricomprende la sopraelevazione, la quale è costruzione nuova ed autonoma rispetto all'edificio sopraelevato[28]. Quella degli artt. 873 e ss. c.c. è, però, una tematica del tutto estranea, il rimando alla quale genererebbe effetti contraddittori e inaccettabili se solo si consideri che ai fini delle distanze è costruzione un balcone[29], ma non la ricostruzione fedele, integrale e senza variazioni plano-volumetriche di un edificio preesistente[30].

È, pertanto, evidente come l’intervento dei giudici di legittimità sia stato fondamentale nel definire l’ambito applicativo di una nozione alquanto vaga quale è quella dei “gravi difetti” dell’opera, sebbene una prima nozione sia contenuta nella Relazione del Guardasigilli (p.704), la quale, nel precisare che “questi difetti devono essere molto gravi, oltre che riconoscibili al momento del collaudo, e devono incidere sempre sulla sostanza e sulla stabilità della costruzione, anche se non minacciano immediatamente il crollo di tutta la costruzione o di una parte di essa o non importano evidente pericolo di rovina”, pone le basi della lunga e continua attività interpretativa della Suprema Corte.

6. Conclusioni

L’analisi sin qui svolta consente, dunque, di porre in rilievo due aspetti di particolare importanza e tra loro connessi.

In primo luogo, deve evidenziarsi che al centro dell’evoluzione giurisprudenziale della nozione di “gravi difetti” vi sia il diritto di godere in modo pieno del bene secondo la sua natura, con la conseguenza che ogni deficienza o alterazione che possa in qualche modo compromettere la funzionalità dell’opera e la sua normale utilizzazione configura la responsabilità dell’appaltatore o di tutti quei soggetti (progettista o direttore dei lavori) che, prestando a vario titolo la loro opera nella realizzazione dell’edificio, abbiano contribuito alla determinazione dell’evento lesivo.

Conseguentemente, la rilevanza attribuita al diritto di godimento ai fini della delimitazione dell’ambito applicativo della categoria dei “gravi difetti” tende a spostare il baricentro dell’art. 1669 c.c. dall’incolumità dei terzi alla compromissione del godimento normale del bene, e dunque da un’ottica pubblicistica ed aquiliana ad una privatistica e contrattuale della responsabilità ex art. 1669 c.c.[31].

Ciò rende meno attuale la teoria della natura extracontrattuale della responsabilità per rovina o difetti di cose immobili destinate a lunga durata, che era riconducibile ad una violazione di norme di ordine pubblico, volte a tutelare l'interesse generale alla conservazione e alla funzionalità degli edifici per preservare l'incolumità delle persone. 

A seguito degli ultimi approdi giurisprudenziali, invece, l’interesse sotteso alla norma in esame ha natura prevalentemente privatistica, essendo volto a garantire la funzionalità dell’intero edificio al fine di consentirne il pieno godimento.

Così intendendo la nozione di gravi difetti e, conseguentemente, definendo la natura della responsabilità come contrattuale, si tende a tutelare maggiormente l’interesse del privato il quale, non solo può esperire l'azione di cui all'art. 1669 c.c. per un numero maggiore eventi lesivi, ma è anche esente dal dover provare la responsabilità dell’appaltatore che, ai sensi dell’art. 1218 c.c., sarebbe presunta.

Ponendosi, invece, dalla parte del soggetto responsabile, non può non evidenziarsi come una simile evoluzione giurisprudenziale stia di gran lunga ampliando i casi che danno luogo alla responsabilità dell’appaltatore che potrebbe essere così esposto a innumerevoli azioni giudiziari.

Si potrebbe, dunque, parlare di un percorso che sta conducendo ad una “infinita responsabilità dell’appaltatore”?

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] F. Caringella, L. Buffoni, Manuale di diritto civile, ed. 2016, p. 1242.
[2] M. Fratini, Il sistema del diritto civile 5, I singoli contratti, p. 117.
[3] M. Fratini, Il sistema del diritto civile 5, I singoli contratti, p. 119.
[4] F. Caringella, L. Buffoni, Manuale di diritto civile, ed. 2016, p. 1245.
[5] M. Fratini, Il sistema del diritto civile 5 – I singoli contratti, p. 129.
[6] R. Panetta, Il contratto di appalto.
[7] R. Panetta, Il contratto di appalto.
[8] F. Voltaggio Lucchesi, Responsabilità decennale dell’appaltatore, vizi del progetto fornito dal committente e “gravi difetti” ex art. 1669 c.c., in Giust. Civ. 1959, p. 1778.
[9] R. Panetta, Il contratto di appalto.
[10] Trib. Siena, 2.4.2015.
[11] Cass. civ., Sez. II, 7.12.2006, n. 26224.
[12] Cass. civ., Sez. II, 3.1.2013 n. 84; Sez. II, 4.11.2005, n. 21351; Sez. II, 8.1.2000, n. 117.
[13] Cass. civ., n. 6585 del 1986; n. 4369 del 1982.
[14] Cass. civ., n. 20307 del 2011.
[15] Cass. civ., Sez. II, 4.11.2015, n. 22553; 11.06.2014, n. 13223; 1.2.1995, n. 1164.
[16] Cass. civ., 9.12.2013, n. 27433.
[17] Cass. civ., 30.1.1995, n, 1081.
[18] Cass. civ., n. 3752 del 2007; 1.8.2003 n. 11740; 19.1.1999 n. 456.
[19] Cass. civ., , 13.11.2014, n. 24188.
[20] Cass. civ., 27.12.1995, n. 13106.
[21] Cass. civ., 28.3.1997, n. 2775.
[22] Cass. civ., 1.8.2003, n. 11740.
[23] Cass. civ., n. 84 del 2013; n. 21351 del 2005; n, 117 del 2000; n. 4692 del 1999; n. 2260 del 1998; n. 2775 del 1997; n. 3301 del 1996.
[24] Cass. civ., Sez. II, 3.1.2013, n, 84; Sez. II, 29.11.1994, n. 10218; Sez.II, 15.11.2006, n. 24301.
[25] Cass., Sez. II, n. 25216 del 2017; 8.11.2010, n. 22656; 8.6.1996, n. 5613; 23.3.1995, n. 3366.
[26] Cass., SS. UU., 27.3.2017 n. 7756.
[27] Cass., SS. UU., 27.3.2017 n. 7756.
[28] Cass. civ., 20.11.2007, n. 24143.
[29] Cass. civ., 19.7.2916, n. 18282.
[30] Cass., ord. 19.10.2011, n. 21578.
[31] Cass., SS. UU., 27.3.2017, n. 7756.