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Pubbl. Lun, 23 Feb 2015

Riflessioni sul fine vita: chi può decidere del nostro destino?

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Mirko Forti


Lo sviluppo e l´affermarsi di tecnologie mediche sempre più efficaci e capaci di ritardare sempre di più il momento della morte ha portato la società a confrontarsi con problematiche mai affrontate prima. La risposta a tematiche come l´autodeterminazione biologica e il fine vita non è sempre stata uniforme, sia a livello giurisprudenziale che politico. E´ sempre più necessaria una risposta solida e conforme da parte della classe politica italiana ed europea a tali temi.


La medicina sta compiendo passi da gigante, arrivando a risultati che fino a pochi anni fa sarebbero stati considerati fantascientifici. Il quadro normativo italiano ed europeo non è però riuscito a tenere il passo delle evoluzioni mediche: le diverse concezioni e i diversi modi di pensare spesso ostacolano la formazione di un orientamento normativo conforme e stabile.

La Costituzione ricorda come nessuna persona possa essere obbligata a sottoporsi a trattamenti sanitari, a meno che questi non siano previsti dalla legge, sempre però nel rispetto della dignità umana. Una concezione personalista e una pluralista/pubblicista si contrappongono nell´ordinamento italiano: la salute viene vista sia come un bene primario per l´individuo, ma anche un bene pubblico che lo Stato deve proteggere. Ma quando può intervenire lo Stato?

Il Tar della Lombardia nella sentenza 214/09 ha proclamato come il diritto di rifiutare le cure sia un diritto "assoluto, imponibile erga omnes". Simili rilievi sono stati portati avanti dalla Cassazione (sent. 23676/2008) di fronte al caso di un Testimone di Geova che rifiutava trasfusioni di sangue, anche se a rischio della sua vita. In casi di reale rischio di morte, la volontà del paziente di non sottoporsi alle cure deve essere però concretamente espressa con reale cognizione di causa sulle conseguenze che i mancati trattamenti andrebbero a portare.

La Corte di Appello di Milano (Sentenza 25 Giugno 2008) ha ricordato difatti come nel nostro ordinamento non esista un "diritto alla morte", ma un diritto a far sì che la vita segua il suo naturale scorrimento senza interventi artificiali. Il principio secondo il quale il rifiuto alle cure, “per essere valido ed esonerare così il medico dal potere-dovere di intervenire, deve essere espresso, inequivocabile e attuale” è stato ribadito dalla Cassazione (sentenza n. 17801/2014). La Cassazione è andata oltre ricordando come tale rifiuto alle cure deve essere fondato su una “consapevolezza che può ritenersi sussistente solo ove le sue condizioni di salute gli siano state rappresentate per quel che effettivamente sono, quanto meno sotto il profilo della loro gravità”.

Anche il Comi­tato nazio­nale di bio­e­tica (2008) sot­to­li­nea que­sto diritto del paziente. Il medico, rece­pita l’istanza della per­sona, può aste­nersi «da comportamenti rite­nuti con­trari alle pro­prie con­ce­zioni eti­che e pro­fes­sio­nali» ma «il paziente ha in ogni caso il diritto a otte­nere altri­menti la realizzazione della pro­pria richie­sta all’interruzione delle cure». Il medico deve evi­tare ogni forma di acca­ni­mento cli­nico e deve garan­tire sem­pre le cure palliative. Si deve quindi ritenere esente da responsabilità il medico che, dopo aver correttamente informato il paziente sulla gravità della sua situazione medica, non continui i trattamenti di fronte a un rifiuto correttamente formulato da parte di prendere parte a ulteriori trattamenti sanitari.

Si ricorda come l’Italia abbia ratificato con la legge del 28 marzo 2001, n. 145, la Convenzione di Oviedo sui diritti dell’uomo e della biomedicina; l’art. 5 del suddetto testo proclama come “Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato. Questa persona riceve innanzitutto una informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi. La persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso”. 

E’ chiaro come il tessuto normativo italiano sia quindi pronto a recepire tali indirizzi giurisprudenziali e legislativi internazionali. Il dibattito politico sul diritto al rifiuto alle cure, arenatosi per opposte visioni religiose e ideologiche tra i vari membri del Parlamento, deve ripartire dal principio  ormai assodato che spetta al singolo individuo esprimere le sue volontà in merito alla sua salute, senza dover subire condizionamenti esterni, a meno che non sia a rischio la salute di altre persone.

Photo Fickr di epSos.de