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Pubbl. Mar, 27 Feb 2018

Omicidio del consenziente: la vittima deve essere pienamente consapevole

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Sergio Cordasco


Affinché possa configurarsi il reato di omicidio del consenziente è necessario che il consenso della vittima alla propria soppressione costituisca il frutto di una deliberazione pienamente consapevole, non inquinata nella sua formazione da un deficit mentale di natura patologica.


Sommario: 1. Omicidio del consenziente: profili storici; 2. Il consenso come elemento specializzante rispetto all'ipotesi di omicidio volontario ex art. 575 c.p.; 3. L´errore sulla sussistenza del consenso; 4. Cass. Penale n. 3392 del 2018.

1. Omicidio del consenziente: profili storici

Le disposizioni previste nel capo I del Titolo XII del Codice Penale presidiano i beni primari dell’incolumità individuale e della vita, la cui protezione risponde ad un interesse non solo personale ma anche della intera collettività. L’art. 579 c.p. disciplina il c.d. omicidio del consenziente.

La norma punisce chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da sei a quindici anni.
Il comma 3 dell’art 579 c.p. prevede l ‘applicazione delle disposizioni relative all’omicidio se il fatto è commesso: contro una persona degli anni diciotto; contro una persona inferma di mente, o che si trovi in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcoliche o stupefacenti; contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno.

L’introduzione di tale figura autonoma di delitto costituisce un’assoluta novità rispetto al Codice Zanardelli che, al contrario, non prevedeva alcuna differenziazione tra tale figura di reato e l’omicidio comune. Il novum legislativo risponde essenzialmente all’esigenza di riconoscere la minore pericolosità del reo, ferma restando l’indisponibilità del bene della vita, alla quale il Legislatore ricollega una minore cornice edittale (da sei a quindici anni) rispetto a quella prevista per l’omicidio comune. Così come afferma la Relazione ministeriale sul progetto del codice penale, il presupposto che spinse il Legislatore degli anni 30 ad introdurre questa autonoma figura di reato, è individuabile nella “indiscutibile influenza minoratrice del consenso dell’offeso sulla gravità del delitto di omicidio, sotto il profilo dell’elemento psicologico”.

2. Il consenso come elemento specializzante rispetto all’ipotesi di omicidio volontario ex art. 575 c.p.

L’omicidio del consenziente presenta elementi comuni con l’omicidio volontario. Entrambe le fattispecie sono infatti caratterizzate sotto il profilo del soggetto attivo dall’essere espressamente modellati come reati comuni. Sotto il profilo oggettivo invece tali fattispecie si caratterizzano per la natura di reati a condotta libera, irrilevante essendo, a risultato conseguito, il tipo di comportamento assunto dal soggetto attivo.

L’elemento che qualifica l’omicidio del consenziente come speciale rispetto all’omicidio comune è rappresentato dal consenso della vittima. L’elemento del consenso dal punto di vista ontologico non si differenzia dal consenso alla lesione di un diritto disponibile, rilevante ai fini della causa di giustificazione prevista dall’art.50 c.p. Diversi ,invece, sono gli effetti che allo stesso si ricollegano. Infatti il consenso ex art.50 c.p. esclude l’antigiuridicità della condotta tenuta dal soggetto attivo. Al contrario il consenso richiesto ai fini dell’integrazione della fattispecie prevista dall’art 579 c.p. si riferisce al bene della vita, dall’ordinamento ritenuto indisponibile, anche da parte dello stesso titolare. Ne consegue l’inidoneità del consenso ad escludere l’antigiuridicità della condotta e la previsione di un trattamento sanzionatorio mitigato come unica conseguenza della sussistenza del consenso da parte del titolare del bene della vita tutelato dalla norma. Il consenso della vittima richiesto ai sensi dell’art 579 c.p. deve essere personale, non essendo ammessa alcuna forma di sostituzione o di delega, reale, cosciente, libero, serio, manifesto e non equivoco. Indifferente è invece la forma, potendo essere espresso anche tacitamente e con comportamenti concludenti. Il consenso deve altresì essere attuale, perdurando fino al momento consumativo del reato, esprimendo così una volontà di morire la cui prova deve essere univoca, chiara e convincente. Il consenso inoltre può essere sottoposto a termine, condizione e modalità ed è revocabile. Sotto il profilo temporale, qualora la revoca intervenga prima del compimento del fatto, il colpevole risponderà di omicidio doloso ex. Art. 575 c.p. Nella differente ipotesi in cui la revoca intervenga quando l’omicida abbia già avviato in modo irreversibile un processo letale, sarà applicabile il più mite trattamento sanzionatorio previsto dall’art. 579 c.p. Si evince pertanto come il consenso della vittima assuma una duplice veste all’interno della fattispecie di omicidio del consenziente: elemento specializzante rispetto all’ipotesi di omicidio volontario e elemento costitutivo della fattispecie ex art. 579 c.p.

3. L'errore sulla sussistenza del consenso

 Il caratteristico ruolo che il consenso della vittima riveste nell’ipotesi di omicidio del consenziente e che distingue tale forma di consenso dalla diversa ipotesi di consenso scriminante ex art.50 c.p. rileva anche ai sensi della disciplina applicabile in caso di errore da parte dell’omicida circa la sussistenza del consenso da parte della vittima. In tali circostanze, la natura di elemento costitutivo del consenso della vittima, impone l’inoperatività della disciplina sancita dall’art. 59 co. 4 c.p. dettato in materia di scriminante putativa. Il consenso della vittima è invece elemento costitutivo del reato, di tal che, ove il reo incorra in errore sulla sussistenza del consenso, deve trovare applicazione la previsione normativa dell’art. 47 secondo comma c.p., in base alla quale l’errore sul fatto che costituisce un determinato reato non esclude la punibilità per un reato diverso, che nel caso di specie è costituito dal delitto di omicidio volontario ex art. 575 c.p., del quale pertanto deve rispondere l’agente. Il consenso della persona offesa, infatti, incide sulla tipicità del fatto punito dall’art. 579 c.p., e non sulla sua antigiuridicità.

4. Cass. Penale n. 3392/2018

Proprio in tema di omicidio del consenziente affetto da deficienza psichica e realizzato dal reo sull’erroneo presupposto circa la sussistenza del consenso della vittima si è recentemente pronunciata la Corte di Cassazione, Sez. I Penale - sentenza 24 gennaio 2018, n. 3392.

Con sentenza in data 4.02.2016 la Corte d’assise d’appello di Roma, in parziale riforma della sentenza pronunciata il 5.03.2015 dal GIP del Tribunale in sede, all’esito di giudizio abbreviato, ha ridotto ad anni 8 di reclusione la pena inflitta a R.S., confermando nel resto la condanna dell’imputato per i delitti, unificati in continuazione, di omicidio del consenziente e di omicidio volontario, rispettivamente commessi nel medesimo contesto spaziotemporale, in danno della moglie F.M.T. e del figlio disabile R.A., la prima uccisa con un colpo di pistola alla testa e il secondo soffocato nel sonno con un cuscino.

Il GIP aveva escluso l’aggravante della premeditazione e ritenuto, nei confronti del figlio, le aggravanti di cui all’art. 61 n. 5 c.p. e del fatto commesso contro un discendente, giudicate subvalenti rispetto alle attenuanti generiche e all’attenuante del vizio parziale di mente.

I giudici di merito ricostruivano il contesto fattuale in cui si collocava il duplice omicidio, rappresentato da una situazione di grave disagio familiare esasperata dalla condizione di disabilità di R.A., affetto da tetraparesi spastico-distonica dall’età di sei mesi, che gli inibiva la deambulazione e la gestione autonoma delle attività fisiologiche, aggravata da un ritardo cognitivo lieve accompagnato da disturbo psicotico e del comportamento; la condizione di salute del figlio aveva inciso negativamente sullo stato psicologico della madre, affetta da depressione e patologia tiroidea; dopo un tentativo rimasto incompiuto di soppressione della moglie e del figlio, che aveva debilitato ulteriormente quest’ultimo, posto in essere l’anno precedente, il duplice omicidio era stato commesso dall’imputato sulla scorta della volontà manifestata dalla moglie in un appunto scritto che ne disponeva le modalità esecutive; la perizia psichiatrica aveva accertato che l’imputato era affetto da scissione paranoidea, che ne scemava grandemente la capacità di intendere e di volere al momento del fatto. La Corte territoriale escludeva la sussistenza di un consenso del figlio A. alla propria soppressione, contraddetta da una serie di indici che ne dimostravano l’attaccamento alla vita, tra i quali il conseguimento della laurea in scienze dell’educazione, e dalla patologia psichica che escludeva comunque la formazione di un consapevole consenso all’omicidio; riteneva pertanto corretta la qualificazione del fatto in danno del figlio come omicidio volontario e sussistente l’aggravante della minorata difesa della vittima, in relazione alle sue condizioni psicofisiche e alle circostanze di esecuzione del delitto, in ora notturna.

L’imputato ricorre per cassazione lamentando l’omessa derubricazione del reato di cui all’art. 575 in quello di cui all’art. 579 c.p., sotto il profilo dell’errore sul consenso della vittima alla propria soppressione in cui era incorso l’imputato.

Deduce la mancata valutazione degli elementi di fatto dai quali emergeva il convincimento dell’agente di aver agito col consenso del figlio, ricavabili dal riferimento contenuto nella lettera lasciata dalla moglie a una comune volontà della donna e del figlio di porre fine alla propria esistenza, dal rapporto simbiotico esistente tra madre e figlio, dalla soggezione dell’imputato alla volontà della moglie accertata dalla perizia psichiatrica; l’errore sulla sussistenza del consenso era dunque idoneo a escludere il dolo omicidiario, dovendo trovare applicazione - in via analogica - alla fattispecie l’art. 59 terzo comma c.p.

I giudici di legittimità, ribadendo quell’orientamento oramai granitico in materia, hanno puntualmente osservato che il “consenso della vittima” è un elemento costitutivo del reato di cui all’art. 579 c.p. che “incide sulla tipicità del fatto punito dall’art. 579 c.p., e non sulla sua antigiuridicità”. Pertanto, laddove il colpevole “incorra in errore sulla sussistenza del consenso, deve trovare applicazione la previsione normativa dell’art. 47 c.p., comma 2, in base alla quale l’errore sul fatto che costituisce un determinato reato non esclude la punibilità per un reato diverso”.

Dove, per reato diverso, deve necessariamente intendersi la fattispecie di omicidio comune prevista dall’art. 575 c.p. che si presenta, per ciò che concerne la natura, la condotta, il soggetto attivo e il momento consumativo, perfettamente sovrapponibile alla diversa fattispecie di cui all’art. 579 c.p., in cui il solo elemento specializzante risiede nella presenza del consenso della vita alla soppressione del bene della vita e che, nel caso concreto, difetta così come accertato dai giudici di merito.

Lo stesso art. 579 c.p., comma 3, n. 2, “prevede inoltre che debba trovare applicazione la disposizione relativa all’omicidio volontario, ex art. 575 c.p., allorché il fatto sia commesso in danno di una persona che versi in condizioni (patologiche) di deficienza psichica”. Sulla scorta di tale disposizione la stessa Corte d’appello aveva correttamente valorizzato la patologia psichica da cui era affetto il figlio dell’imputato, escludendo, dunque, “la stessa configurabilità di un valido consenso della persona offesa alla propria eliminazione fisica”.

Perché sia configurabile il meno grave reato di cui all’art. 579 c.p., occorre infatti che il consenso della vittima alla propria soppressione costituisca il frutto di una deliberazione pienamente consapevole, non inquinata nella sua formazione da un deficit mentale di natura patologica, dovendo altrimenti riconoscersi - in tutti i casi in cui manchi una prova univoca, chiara e convincente di una libera ed effettiva volontà di morire manifestata dalla vittima - assoluta prevalenza al diritto alla vita, quale diritto personalissimo, riconosciuto come inviolabile dall’art. 2 Cost., che non può attribuire a terzi (anche se si tratti di stretti congiunti) il potere di disporre, in base alla propria percezione della qualità della vita altrui, dell’incolumità e dell’integrità fisica di un’altra persona (Sez. 1 n. 43954 del 17/11/2010, Rv. 249052).

La nozione di deficienza psichica, oramai consolidata in dottrina e giurisprudenza, ricomprende non solo le forme patologiche ma anche quelle forme non morbose o clinicamente definite di abbassamento intellettuale, di menomazione del potere di critica, di affievolimento della funzione volitiva che riducono le capacità di difesa contro l’altrui opera di coazione psichica. Occorre pertanto che le funzioni volitive e intellettive vengano concretamente ridotte non solo da manifestazioni patologiche ma anche da situazioni non morbose che riducano drasticamente le capacità volitive o di critica dell’individuo. Proprio la condizione di deficienza psichica richiesta dall’art 579 co.3 n.2 c.p. era stata puntualmente riconosciuta dai giudici di merito in quanto il figlio dell’imputato, oltre ad essere affetto da tetraparesi spastico-distonica dall’età di sei mesi che gli inibiva la deambulazione e la gestione autonoma delle attività fisiologiche, era affetto da un ritardo cognitivo lieve accompagnato da disturbo psicotico e del comportamento.

La Corte di Cassazione ha così rigettato il ricorso proposto dall’imputato, confermando integralmente la sentenza impugnata affermando la seguente massima:

“Affinché possa configurarsi il reato di omicidio del consenziente è necessario che il consenso della vittima alla propria soppressione costituisca il frutto di una deliberazione pienamente consapevole, non inquinata nella sua formazione da un deficit mentale di natura patologica, ciò in quanto deve sempre prevalere il diritto alla vita riconosciuto come inviolabile dall'art. 2 Cost., che non può attribuire a terzi, anche se stretti congiunti, il potere di disporre, in base alla propria percezione della qualità della vita altrui, dell'incolumità e dell'integrità fisica di un'altra persona. Ne consegue che si configura il più grave reato di omicidio volontario, allorché il fatto sia commesso in danno di una persona che versi in condizioni patologiche di deficienza psichica”.