• . - Liv.
ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Gio, 8 Feb 2018

La natura giuridica, i requisiti e la revoca dell´assegno divorzile

Modifica pagina

Ida Morelli


Commento all´ordinanza n. 30527 del 15.12.2017 della Corte di Cassazione, che si è pronunciata sulla natura assistenziale dell´assegno divorzile e su altre questioni.


Sommario: Introduzione; 1. Natura dell'assegno di mantenimento; 2. Criteri di determinazione dell’assegno di mantenimento: evoluzione giurisprudenziale; 3. Revoca dell’assegno di mantenimento.

Introduzione. 

Attraverso l'ordinanza n. 30257 del 15/12/2017 la Corte di Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi, nuovamente, sui requisiti richiesti al fine della determinazione dell'assegno di mantenimento post divorzio, consolidando così il suo precedente orientamento, secondo il quale "il diritto a ricevere l'assegno di mantenimento divorzile sorge se risulta l'insussistenza dei mezzi adeguati per condurre un tenore di vita dignitoso".

Tuttavia, al fine di pervenire alla totale comprensione e cognizione della pronuncia in questione, nonchè del generale orientamento in materia della Corte di Cassazione, appare necessario, in primis, operare un breve excursus relativo alla natura di detto assegno di mantenimento, per poi passare all'analisi della relativa giurisprudenza.

1. Natura dell'assegno di mantenimento.

Con il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio si verifica l'effetto dello scioglimento del vincolo matrimoniale, sia sul piano dello status personale dei coniugi, i quali devono perciò considerarsi da quel momento in poi "persone singole", sia dei loro rapporti economico-patrimoniali, ed, in particolare del reciproco dovere di assistenza morale e materiale. 

Il perfezionarsi di tale fattispecie estintiva del rapporto matrimoniale dà luogo ad effetti giuridici di natura patrimoniale[1], tra i quali vi rientra la corresponsione dell'assegno di mantenimento a carico del coniuge economicamente più forte a favore dell’altro economicamente più debole, introdotto dall’art 5 co.6 della l. n. 898 del 1970. Ab origine, a tale assegno veniva riconosciuta una natura prevalentemente indennitaria e risarcitoria, in quanto la sua finalità era quella di compensare il coniuge economicamente più debole dallo squilibrio economico al quale veniva sottoposto a seguito della frattura coniugale subita. Infatti, dalla lettura dell’articolo suddetto, si evince come l’an debeatur era da determinarsi in base alle mere condizioni economiche, di base, dei coniugi, ed il quantum era da determinarsi in base ai contributi, personali ed economici, dati da ciascuno dei coniugi durante il cursus della vita matrimoniale. Pertanto, la ratio fondante di detto assegno era quella di ristabilire l’equilibrio patrimoniale tra i due coniugi, deturpato dallo sfascio del nucleo familiare d’origine[2].

 Tuttavia, successivamente, con l’articolo 10 della legge n. 74 del 1987[3], che ha novellato l’articolo 5 della legge del 70, a tale assegno di mantenimento è stata riconosciuta una natura prevalentemente assistenziale, in luogo di quella risarcitoria o indennitaria prima riconosciuta: infatti, la novella legislativa ha previsto che il diritto all’assegno di divorzio sussista solo qualora l’ex coniuge richiedente non abbia mezzi adeguati per vivere, o, comunque, sia nell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive. Dunque, “presupposto dell’an è l’inadeguatezza del quantum”,[4] nel senso che il diritto suddetto viene riconosciuto dal giudice qualora manchi, al coniuge economicamente più debole, un quantum economicamente sufficiente al fine di garantirgli la prosecuzione di una vita, quanto meno, dignitosa. Leggendo la norma, infatti, si evince come i criteri enucleati al fine della dazione di detto assegno siano notevolmente aumentati rispetto alla disciplina precedente, dovendo il Giudice effettuare una valutazione onnicomprensiva, che tenga conto di tutte le componenti economiche della vita matrimoniale, come le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da questi ultimi, et similia. Ergo, la ratio assistenziale del riconoscimento di detto assegno troverebbe fondamento nel dovere inderogabile di solidarietà economica, sancito nell’art. 2 della Costituzione, il cui adempimento sarebbe richiesto agli ex coniugi, quali persone singole, a tutela della persona economicamente più debole, nell’ottica di una solidarietà definita post-coniugale.

2. Criteri di determinazione dell’assegno di mantenimento: evoluzione giurisprudenziale.

A tale riconoscimento normativo del diritto all’assegno di mantenimento ha fatto seguito una copiosa giurisprudenza, la quale ha cercato di definire nel dettaglio la disciplina.

In particolare, l’attenzione degli Ermellini si è spesso concentrata sull’analisi del sintagma normativo “mezzi adeguati”, nonché sull’ interpretazione della disposizione “impossibilità di procurarsi mezzi adeguati per ragioni oggettive”, al fine di definirne la reale portata, ossia indicarne il relativo parametro di riferimento.

In primis, attraverso pronunce risalenti agli anni ’90[5], la Cassazione individuò come parametro di riferimento, al quale rapportare l’adeguatezza o l’inadeguatezza dei mezzi del richiedente, il “tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio”: pertanto, secondo questo primo orientamento, al coniuge economicamente più debole era riconosciuto un assegno di mantenimento qualora egli non fosse stato capace, in via autonoma, di mantenere uno standard di vita qualitativamente pari a quello tenuto durante il periodo matrimoniale. Dunque, nonostante una visione ontologicamente, ormai, assistenziale dell’assegno di mantenimento, il parametro di riferimento al fine del detto riconoscimento restava ancoràto allo stile di vita tenuto durante gli anni matrimonio, affinchè il coniuge potesse mantenerne uguale regime.

Pertanto, volendo ragionare sull’istituto in questione, vi è da fare una riflessione: sebbene il fine ultimo che la legge novellata devolveva all’assegno di mantenimento fosse quello della mera assistenza all’ex coniuge, in giurisprudenza restava pur sempre perseverante, in relazione ai suoi criteri di determinazione, una sua visione semi-indennitaria, anche in linea implicita. Infatti, anche dopo la legge del 1987, furono avanzate in dottrina riflessioni circa la natura parzialmente alimentare di detto assegno di mantenimento, facendo leva proprio sulla solidarietà postconiugale che ne è alla base, da intendere come dovere giuridico di aiutare economicamente l’ex coniuge.

Col passare del tempo, la Corte di Cassazione ha avuto modo di mutare la propria giurisprudenza in materia, disconoscendo come criterio di riferimento il tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio. In particolare, con la sentenza n. 11504 del 10/05/2017, la Corte di Cassazione ha statuito che il parametro di riferimento, al fine di valutare la mancanza dei “mezzi adeguati per vivere” dell’ex coniuge, sia da intravedere non già nel tenore di vita avuto in costanza di matrimonio, ma nell’indipendenza o autosufficienza economica, anche potenziale, del coniuge richiedente. A distanza di 27 anni la Corte di Cassazione ha mutato il proprio orientamento, adeguandosi così ad una nuova visione del rapporto tra i coniugi, nonché in generale del diritto di famiglia. Infatti, la Cassazione ha sottolineato come “il parametro del tenore di vita collide radicalmente con la natura stessa dell’istituto del divorzio e con i suoi effetti giuridici: infatti, con la sentenza di divorzio, il rapporto matrimoniale si estingue sul piano non solo personale, ma anche economico patrimoniale, sicché ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo, sia pure limitatamente alla dimensione economica del tenore di vita matrimoniale ivi condotto, in una indebita prospettiva di ultrattività del vincolo matrimoniale”[6]. Dunque, a detta degli Ermellini, il coniuge poteva essere qualificato come sprovvisto dei mezzi adeguati per vivere solo qualora non avesse una autosufficienza economica valida: pertanto, in presenza di tale autosufficienza, l’assegno non meritava di essere riconosciuto, seppure le sostanze economiche possedute dall’ex coniuge richiedente fossero minori rispetto a quelle matrimoniali. La Cassazione sottolineava, inoltre, nella stessa pronuncia che “in carenza di ragioni di solidarietà economica, l’eventuale riconoscimento del diritto si risolverebbe in una locupletazione illegittima, in quanto fondata esclusivamente sul fatto della mera preesistenza di un rapporto matrimoniale ormai estinto, ed inoltre di durata essenzialmente sine die”[7].

Lo stampo tenuto da detta pronuncia dalla Corte di Cassazione era già emerso nella precedente giurisprudenza. Infatti, emblematica in tal senso è stata anche la pronuncia della Corte di Cassazione n. n.789 del 13/01/2017, la quale si soffermava proprio sull’effettiva capacità lavorativa dell’ex coniuge richiedente, statuendo che “se la donna è in grado di lavorare può dire addio all’assegno di mantenimento da parte dell’ex marito, ma l’attitudine al lavoro non può essere valutata in astratto, bensì in termini di effettiva possibilità di svolgere un’attività retribuita”[8]. La Corte ebbe modo di sottolineare, attraverso tale pronuncia, come la devoluzione dell’assegno di mantenimento fosse da parametrare anche alla effettiva capacità lavorativa dell’ex coniuge, da valutare in concreto e non in astratto. Pertanto, l’assegno di mantenimento era da riconoscere qualora l’ex coniuge, munita di capacità lavorativa, fosse in grado di essere autosufficiente economicamente. Infatti, a detta degli Ermellini, non rilevava ai fini del disconoscimento dell’assegno di mantenimento il semplice e mero fatto che l’ex moglie (nel caso di specie) fosse non occupata in attività lavorative: occorreva, a tal fine, la dimostrazione di una concreta attitudine al lavoro, ossia “dell’effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non già di mere valutazioni astratte ed ipotetiche”.

Di recente, tuttavia, vi è stata una ordinanza della Corte di Cassazione che ha, con grande stupore, rispolverato la nozione passata del “tenore di vita prematrimoniale”, seppur tanto osteggiata nelle recenti sentenze. Infatti, attraverso l’ordinanza n. 30257/2017 del 15/12/2017, la Corte di Cassazione, nel riconoscere in linea preventiva la natura assistenziale dell’assegno di mantenimento, ha, nel caso di specie, rigettato il diritto dell’ex coniuge all’assegno in quanto lo stesso aveva “mezzi adeguati per condurre un tenore di vita dignitoso, anche rapportato a quello goduto in costanza di matrimonio[9]. Pertanto, la corte di Cassazione, ha parametrato la cessione di detto assegno non solo alle capacità economiche e reddituali del soggetto richiedente, ma anche al tenore di vita avuto durante il matrimonio dallo stesso. In tal modo la Corte ha mostrato un atteggiamento ambivalente, in quanto in parte si è uniformata all’indirizzo giurisprudenziale recentemente prevalente in materia, ed in parte è ritornata all’indirizzo giurisprudenziale in auge negli anni 90.

In realtà, però, con spirito critico, occorre fare delle riflessioni attente, partendo proprio dal caso concreto.

Il richiamo effettuato dalla Corte in detta Ordinanza al tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio è giustificato, in realtà, dalla presenza di una precisa doglianza del soggetto ricorrente, il quale, lamentando il mancato riconoscimento di detto assegno da parte dei giudici di I e II grado, criticava l’omessa considerazione, da parte delle Autorità giudicanti, del parametro del tenore di vita mantenuto durante la convivenza matrimoniale. La Corte, nel merito, rigettava tale domanda, in quanto la stessa richiedente non era riuscita a provare sufficientemente la mancanza di mezzi adeguati per il sostentamento, ed anche in considerazione del fatto che la stessa aveva già abbandonato, de facto, il tetto coniugale da più di 14 anni, vivendo senza chieder nulla per il proprio mantenimento. La stessa era riuscita a mantenere, anche prima della domanda di separazione, un valido tenore di vita, godendo di una indipendenza economica “idonea a garantirle il tenore di vita goduto in costanza della convivenza matrimoniale”

Ergo, il richiamo operato dalla Corte di Cassazione in detta Ordinanza al tenore di vita tenuto durante il regime matrimoniale è, nella sostanza, effettuato al sol fine di riconoscere l’esistenza di una valida indipendenza economica del soggetto, nonché della sua originaria capacità lavorativa, nonché di mantenimento. Non è stato effettuato da parte degli Ermellini un richiamo, sic et simpliciter, al tenore di vita matrimoniale come parametro assoluto ed unico di riferimento ai fini del detto riconoscimento dell’assegno, così come si procedeva negli anni 90, ma semplicemente un richiamo necessitato al fine di concretizzare la sussistenza dei mezzi economici da parte del soggetto richiedente.

La scia seguita dalla Cassazione sui criteri di concessione dell’assegno post divortium resta, pertanto, quasi la stessa, essendovi il richiamo al tenore di vita matrimoniale labile e condizionato al caso di specie.

3. Revoca dell’assegno di mantenimento.

Con l’Ordinanza n. 30257/2017, analizzando il controricorso presentato da parte resistente, la Corte di Cassazione ha avuto modo anche di pronunciarsi su un secondo tema, relativo al momento di decorrenza della revoca dell’assegno di mantenimento, qualora non sia più riconosciuto.

Il Supremo organo ha, infatti, statuito che “l’accertamento dell’insussistenza del diritto all’assegno comporta che lo stesso non sia dovuto dal momento giuridicamente rilevante in cui - salva la possibilità della fissazione di un diverso termine, nella specie non risultante - la sua iniziale attribuzione, avente natura costitutiva, decorre; momento coincidente con il passaggio in giudicato della statuizione di risoluzione del vincolo coniugale”.
La Cassazione si è uniformata così ad una pronuncia precedente, ossia all’ordinanza del 15 novembre 2016 n°23263, secondo la quale la revoca dell’assegno di divorzio decorre dal passaggio in giudicato della statuizione di risoluzione del vincolo coniugale, e non dalla data di domanda del divorzio stesso[10].

Pertanto, ancora oggi gli effetti della revoca dell’assegno di mantenimento si fanno partire dal passaggio in giudicato della sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio, e non dal momento di presentazione della domanda di divorzio delle parti.

Note e riferimenti bibliografici
[1]Il matrimonio è sciolto, ma non si cancella la sua incidenza nella vita; si parla di un’ultrattività del matrimonio, sia nel campo dei rapporti patrimoniali, sia nei rapporti con i figli della coppia” A. TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, XLVIII ed., Padova 2017, p.436.
[2] Il concetto di assegno divorzile viene introdotto con la legge n. 898 del 1° dicembre 1970, la quale all’art. 5, 4° co., così dispone: “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale dispone, tenuto conto delle condizioni economiche dei coniugi e delle ragioni della decisione, l’obbligo per uno dei coniugi di somministrare a favore dell’altro periodicamente un assegno in proporzione alle proprie sostanze e ai propri redditi. Nella determinazione di tale assegno il giudice tiene conto del contributo personale ed economico dato da ciascuno dei coniugi alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di entrambi. Su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in un’unica soluzione”
[3] Art. 10 della legge n.74 del 1987 così recita: “1. Il quarto comma dell'art. 5 della legge 1º dicembre 1970, n. 898, è sostituito dai seguenti: ¨Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive. La sentenza deve stabilire anche un criterio di adeguamento automatico dell'assegno, almeno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria. Il tribunale può, in caso di palese iniquità, escludere la previsione con motivata decisione. Su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal tribunale. In tal caso non può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico. I coniugi devono presentare all'udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria.
[4]  A. TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, XLVIII ed., Padova 2017, p.437
[5] Cass. S.U. ,29.09.1990, n. 11490 e n. 11492
[6] Cass., Sez. I, 10/05/2017, n. 11504.
[7] È significativo, a riguardo, anche quanto affermato dalle Sezioni Unite, sempre nella sentenza n. 11490 del 1990, ossia “(…)lo scopo di evitare rendite parassitarie ed ingiustificate proiezioni patrimoniali di un rapporto personale sciolto può essere raggiunto utilizzando, in maniera prudente, in una visione ponderata e globale, tutti i criteri di quantificazione descritti, che sono idonei ad evitare siffatte rendite ingiustificate, nonché a responsabilizzare il coniuge che pretende l’assegno, imponendogli di attivarsi per realizzare la propria personalità, nella nuova autonomia di vita, alla stregua di un criterio di dignità sociale”.
[8] Cass., Sez I, 13/01/2017, n. 789.
[9] Cass., Sez. VI, 15/12/2017, n. 30257.
[10] Cass., sez I, 15/11/2016, n. 23263.