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Pubbl. Mer, 10 Gen 2018

La confisca per equivalente

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Renata Maddaluna


La confisca per equivalente è una particolare forma di confisca prevista non solo dal codice penale, ma anche dalla legislazione speciale. Nel presente contributo si esaminerà la sua natura giuridica, strettamente connessa alla sua applicabilità al concorso di persone di reato, per poi analizzare la confisca per equivalente nei reati tributari.


Sommario: 1. La confisca: natura giuridica e profili generali; 2. La confisca per equivalente (o di valore); 3. Confisca per equivalente e concorso di persone nel reato; 4. La confisca per equivalente nei reati tributari; 5. La Cassazione sul sequestro e la confisca del profitto in caso di impegno a pagare il debito tributario

 

1. La confisca: natura giuridica e profili generali

La confisca consiste nell'espropriazione, da parte dello Stato, delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato o delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto o il profitto (art. 240 c.p.)[1-2].

Disciplinata dal codice Rocco tra le misure di sicurezza patrimoniali, rappresenta un istituto di antica data, addirittura già presente nel diritto romano[3].

Nel nostro ordinamento la confisca è una misura di sicurezza di carattere reale[4] e di natura ablatoria perché consiste nella appropriazione, da parte dello Stato, dei cosiddetti  "strumentalia delicti".                                                                        

Con le altre misure di sicurezza condivide lo scopo di prevenzione del reato ma, a differenza delle altre, fondate sulla pericolosità del soggetto, la confisca è giustificata dalla pericolosità della cosa la quale poi viene trasfusa nella pericolosità del soggetto.Tale misura, dunque, assolve alla precipua funzione di sottrarre al reo la materiale disponibilità di quelle cose che, in quanto legate al reato, ne mantengono viva l'idea e l'attrattiva[5]. In tal senso, questa misura ablatoria trova la sua ratio giustificativa nell'intrinseca pericolosità della res criminosa, intesa come probabilità che la stessa, se lasciata nella disponibilità del reo, lo incentivi nella realizzazione di ulteriori illeciti e questo dato ne legittima la durata, tendenzialmente perpetua.

La finalità di preventiva neutralizzazione di ulteriori condotte criminose, cui risponde pregevolmente l'istituto della confisca, ne spiega in parte il suo inarrestabile moltiplicarsi, specie negli ultimi decenni, non solo nell'ambito dello stesso codice penale, ma anche e soprattutto nella legislazione complementare, nonché nel sistema degli illeciti amministrativi.

Le diverse ipotesi di confisca previste in ciascuno di questi ambiti, per certi versi derogatorie rispetto alla disciplina generale di cui all'art. 240 c.p., sono intervenute a soddisfare specifiche e peculiari esigenze sorte nella prassi, contribuendo, però, a complicare il dibattito, per la verità mai sopito, sulla natura giuridica della confisca.       

Tale misura è, infatti, disciplinata nel codice penale nell'ambito delle misure di sicurezza patrimoniali, insieme alla cauzione di buona condotta. Tuttavia, il concreto atteggiarsi della confisca, in più di qualche caso, ha fatto dubitare della qualificazione che di essa offre il legislatore, la quale, come è noto, non è, peraltro, vincolante per l'interprete. Da parte di alcuni si è, invero, messo in dubbio che la confisca sia una misura di sicurezza patrimoniale e si è parlato di pena accessoria o comunque sanzione sui generis.                                                                 

Di conseguenza, l'individuazione della precisa natura giuridica delle singole ipotesi di confisca previste dal codice e dalla legislazione complementare è condizione prima e imprescindibile per stabilirne la concreta disciplina applicativa.                       

Anche la giurisprudenza ormai ha preso atto che, a fronte di identico effetto ablatorio sostanziale, diversa può essere la fisionomia dell'istituto della confisca in rapporto alla specifica disciplina di diritto positivo, donde il suo "polimorfismo"[6].

Questa conclusione sembra, in effetti, confortata proprio dal dato positivo poiché non mancano casi in cui la confisca assume un aspetto sanzionatorio e repressivo per il reo, atteggiandosi concretamente alla stregua di pena più che di misura di sicurezza.

2. La confisca per equivalente (o di valore)

Quanto detto è particolarmente evidente nel caso della confisca per equivalente o di valore che, in origine introdotta per il delitto di usura all'art. 644, ultimo comma c.p. dalla legge 108/1996, è stata con il tempo estesa ad una vastissima ipotesi di altri delitti. Si pensi, per esempio, all'art. 322 ter c.p., all'art. 452 undecies c.p. recentemente introdotto dal legislatore nel microsistema dei delitti contro l'ambiente, nonché all'art. 19 d.lgs. 231/2001 contro gli enti.

La confisca per equivalente è così definita perché presuppone l'impossibilità, per qualsiasi ragione, di espropriare gli specifici beni che costituiscono il prodotto o il profitto del reato, con la conseguenza che viene, allora, incamerata dallo Stato una res di valore corrispondente. Nella confisca per equivalente viene meno, pertanto, quel rapporto di pertinenza tra la res e il reato che caratterizza, invece, l'ipotesi generale di cui all'art. 240 c.p[8].

Per tale motivo, la giurisprudenza non sembra ormai più dubitare del carattere di pena della confisca per equivalente[9]. Anche in ambito convenzionale europeo le forme di confisca sono state qualificate come “pena” ai sensi dell’autonoma nozione ricavata dalla Corte europea dei diritti umani dall’interpretazione dell’art. 7 CEDU[10]. Proprio  muovendo  da  tale presupposto,  anche  la  Corte  costituzionale ha attribuito alla confisca per equivalente (segnatamente quella prevista in tema di reati tributari)[11] natura di vera e propria sanzione penale, tanto da vietarne l’applicazione retroattiva ai sensi dell’art. 25, comma 2, Cost.[12]

3. Confisca per equivalente e concorso di persone nel reato

Pacifico il carattere sanzionatorio della confisca per equivalente e, dunque, la sua natura giuridica di vera e propria pena, ad essa dovrà applicarsi il principio di legalità (art. 1 c.p., art. 25, 2 comma Cost. e art. 7 CEDU). Ne discende l'impossibilità di estenderla in via retroattiva nonché importanti conseguenze in ordine alla sua applicazione in caso di concorso di persone nel reato.    

In particolare, con riguardo a quest'ultimo caso, si è posto in giurisprudenza il problema della applicazione della confisca per equivalente per intero a ciascun concorrente ovvero pro quota, qualora il reato sia stato commesso da più persone.

Secondo un primo orientamento, la confisca per equivalente può essere disposta nei confronti di uno qualsiasi dei concorrenti, trattandosi di misura sanzionatoria[13]. Quest'impostazione è giustificata peraltro dalla concezione unitaria del reato concorsuale, come noto accolta dal nostro codice penale all'art. 110 che, infatti, diversamente dal codice Zanardelli, non distingue i concorrenti in base al diverso grado di responsabilità.  

Viceversa, coloro i quali ammettono la diversificazione del titolo di responsabilità in relazione al differente atteggiamento psicologico di ciascun concorrente, argomentando dagli artt. 111 c.p. e 112 c.p.[14], concludono che detta forma di confisca debba essere limitata al valore corrispondente al prodotto o al profitto di reato effettivamente conseguito da ciascun concorrente[15].   

Un orientamento mediano, infine, fa leva sul sequestro preventivo quale misura prodromica alla confisca, distinguendola da quest'ultima. Sulla base di ciò, mentre il sequestro preventivo potrà essere disposto nei confronti di uno qualsiasi dei concorrenti ed anche per l'intera quota, in ragione dell'imprevedibilità del giudizio, la confisca per equivalente andrà invece disposta pro quota e cioè sulla base del titolo di responsabilità che risulti all'esito dell'accertamento giudiziale[16].                                                                    

4. La confisca per equivalente nei reati tributari

Tra le varie ipotesi di confisca per equivalente previste dalla legislazione speciale assume particolare rilievo quella in materia di reati tributari[17]

Con specifico riferimento ai reati tributari, infatti, l’art. 10, comma 1, d.lgs. 158/2015 ha inserito nel corpo del d.lgs. 74/2000 l’art. 12-bis[18], secondo cui “nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444, c.p.p. per uno dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto”.                

Al primo comma, dunque, la norma conferma l'applicabilità ai reati fiscali di una forma di confisca obbligatoria, anche per equivalente.                                                                                                                                                                                 

Il secondo comma della norma in esame aggiunge altresì che "la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta".                                                                                                                                                                               

Secondo alcuni, il dettato normativo è giustificato dalla volontà del legislatore di far prevalere le pretese dell’erario su quelle ablatorie statuali, in modo non differente da quanto previsto dall'art. 19 d.lgs. 231/2000, che esclude la confisca dell'ente per la parte che può essere restituita al danneggiato e coerentemente, peraltro, con la causa di non punibilità per estinzione del debito tributario prevista dall'art. 13 d.lgs. 74/2000.

Secondo la giurisprudenza, tale forma di confisca ha, senz'altro, natura sanzionatoria, perché volta a privare l’autore del reato di un qualunque beneficio economico derivante dall’attività criminosa[19].

5. La Cassazione sul sequestro e la confisca del profitto in caso di impegno a pagare il debito tributario

Proprio sul secondo comma dell'art. 12-bis d.lgs. 74/2000 la giurisprudenza è stata chiamata a pronunciarsi in relazione alla natura dell’impegno al versamento in favore dell’erario da parte del contribuente[20]. In proposito, la Corte rammenta che, secondo un pressoché pacifico orientamento giurisprudenziale, la sanatoria della posizione debitoria con l'amministrazione finanziaria fa venir meno lo scopo principale della confisca (e con essa del relativo sequestro), dato che il profitto suscettibile di ablazione corrisponde sostanzialmente all'ammontare dell'imposta evasa. Da ciò discende la necessità di restituire i beni sequestrati per un ammontare corrispondente a quanto versato. Tuttavia, precisa la Corte, solamente l'effettivo pagamento del debito tributario rende illegittimo disporre, per la parte versata, la confisca e, correlativamente, il sequestro ad essa prodromico, essendo invece insufficiente la mera adesione ad un piano rateale. Un accordo di rateizzazione con il Fisco, come quello prodotto dall'imputato nel caso in esame, è senza dubbio, come riconosce la stessa Corte, un valido impegno a pagare come richiede il novellato art. 12-bis d.lgs. 74/2000[21]. Tuttavia, la Cassazione conclude che "anche in presenza di piano rateale di versamento, la confisca continua ad essere consentita per gli importi che non siano stati ancora corrisposti, così continuando ad essere consentito anche il sequestro a detta confisca finalizzato".                                                                                                                     

Secondo i giudici di legittimità deve, infatti, escludersi che il legislatore sia caduto in una macroscopica contraddizione, ammettendo, da un lato, il sequestro e, dall'altro, negandone la ragione giustificativa. Di conseguenza, la locuzione "non opera" di cui all'art. 12-bis d.lgs. 74/2000 non vuol dire che la confisca non possa essere adottata dal giudice , bensì semplicemente che essa "non diviene efficace" per la parte coperta dall'impegno, ben potendo poi essere disposta qualora tale impegno non venga rispettato[22].       

Sulla scorta di tali conclusioni, i giudici che si trovino a condannare per un reato tributario devono imporre la confisca del profitto accertato, ancorché oggetto di impegno a versare da parte dell'imputato. Ma, poiché quella confisca disposta nella sentenza non ha efficacia in rapporto alla somma che il contribuente si è impegnato a versare, il giudice dovrà contestualmente esplicitare che quella misura non produrrà effetti per la parte oggetto di impegno.   

In sostanza, dunque, per la quota che il contribuente si è impegnato a pagare l'esecuzione della confisca rimane condizionalmente sospesa fino all'eventuale inadempimento dell'impegno. 

 

[1-2] Per un inquadramento generale si legga F. MANTOVANI, Diritto Penale Parte Generale, IX Edizione, 2015, pp. 842 ss.
[3] Fin dai tempi più risalenti dell'esperienza giuridica romana ricorrono forme di penalità che, sia pure con tutte le cautele del caso, possono essere accostate all'odierno concetto di confisca. Fino all'avvento della repubblica avanzata esistettero pene sacrali che prevedevano la dedicatio di beni dei colpevoli alle divinità offese. Peraltro, la sacertas, cioè l'allontanamento dalla comunità con perdita della cittadinanza, comportava anche la consecratio dei suoi beni. E' attestata dalle fonti anche la pubblicazione di beni (publicatio bonorum) a favore dell'erario, la quale, sin dai tempi più antichi, divenne pena accessoria alla pena capitale. Durante il Principato la confisca faceva seguito alle sanzioni capitali, essendo prevista, in particolare, in relazione al crimen maiestatis. Espropriazioni di beni dei Cristiani, poi, furono misure diffusissime durante le persecuzioni fino all'avvento del regno di Diocleziano; di contro, gli imperatori cristiani usarono tale strumento repressivo contro gli eretici lasciandone traccia rilevante nella legislazione tardoantica. Si legga in proposito M. SANTISE, F. ZUNICA, Coordinate ermeneutiche di diritto penale, II Edizione, Napoli, 2016, p. 453.
[4] Perché incide sulle "res".
[5] Come si legge nella Relazione al codice Rocco.
[6] Cass., Sez. Unite 26 giungo 2014, n. 4880, Spinelli.
[8] Cass. Pen., Sez. VI, 27 gennaio 2005, n. 11902: "La confisca per equivalente esime dallo stabilire quel rapporto pertinenziale tra reato e provvedimento ablatorio dei proventi illeciti che caratterizza invece l'ipotesi generale di cui all'art. 240 c.p.: fermo restando, cioè, il presupposto della consumazione di un reato, non è più richiesto alcun rapporto tra il reato e i beni da confiscare, potendo essere detti beni diversi dal provento (profitto o prezzo) del reato stesso".
[9] Cass., Sez. Unite, 31 gennaio 2013, n. 18734, Adami; Cass., Sez. Unite, 30 gennaio 2014, n. 10561, Gubert; Cass., Sez. Unite, 26 giugno 2015, n. 31617, Lucci.
[10] Si allude alle note sentenze Corte EDU, Grande Camera, 9 febbraio 1995, Welch c. Regno Unito e 5 luglio 2001, Phillips c. Regno Unito.
[11] Di cui si parlerà infra.
[12] Corte cost. 2 aprile 2009, n. 97 e, più di recente, Corte Cost. 7 aprile 2017, n. 68.
[13] In questo senso ex multis Cass., Sez. Unite, 22 novembre 2005 n. 41936; Cass. Pen., Sez. VI, 28 gennaio 2009 n. 5401; Cass. Pen., Sez. III, 28 luglio 2009, n. 33409; Cass. Pen., Sez. II, 23 settembre 2010 n. 34505.
[14] Da quest'ultima norma si trae che possono concorrere nel reato anche persone non imputabili o non punibili.
[15] In tal senso Cass. Pen., Sez. VI, 23 giugno 2006 n. 25877 e 25880; Cass. Pen., Sez. VI, 2 agosto 2007 n. 31690; Cass. Pen., Sez. V, 12 dicembre 2014, n. 20101.
[16] Sembra aderire a tale impostazione Cass., Sez. Unite, 27 marzo 2008 n. 26654. In tema, peraltro, anche Cass., Sez. II, 31 maggio 2012 n. 20976 e Cass., Sez. VI, 17 maggio 2013 n. 21222.
[17] La confisca per equivalente per i reati tributari era stata già prevista dall’articolo 1, comma 143, L. 244/2007, ai cui sensi, nei casi di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter, 10-quater e 11, d.lgs. 74/2000, si dovevano osservare, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’articolo 322-ter,c.p. (comma abrogato dall’articolo 14, comma 1, lettera b), d.lgs. 158/2015). Tale norma, di natura eminentemente sanzionatoria, aveva tuttavia la pecca di rimandare a una norma del codice penale che, nell’originaria formulazione, prevedeva solo il prezzo e non il profitto. Inoltre, altro problema che si poneva era quello relativo all’operatività della confisca sul patrimonio delle persone giuridiche in conseguenza di violazioni tributarie commesse da suoi amministratori o rappresentanti legali.
[18] Con tale disposizione è stato abrogato l'art. 1, 1 comma l. 244/2007 che per prima aveva introdotto la confisca per equivalente nei reati tributari. La nuova previsione, pur riprendendo nella sostanza l'impostazione della norma abrogata, ha, senza dubbio, attribuito all'istituto una più coerente collocazione sistematica nell'ambito del d.lgs. 74/2000.
[19] Cass., Sez. III, ord. 10 settembre 2015 n. 43397. Da ciò consegue che tale sanzione deve essere applicata in ogni caso, a prescindere dalla colpevolezza dell’autore dell’illecito e dalla gravità della condotta, e anche nell’ipotesi di applicazione della pena su richiesta pur laddove la confisca non abbia costituito oggetto di un accordo fra le parti.
[20] Cass. Pen., Sez. III, 14 gennaio 2016 n. 5728. Nel caso di specie da cui prende origine la pronuncia, il contribuente aveva raggiunto con l'Agenzia delle entrate un accordo di rateizzazione del debito tributario (ammontante a 409.969,72 euro), di cui questi aveva provveduto a versare le prime tre rate per un importo di 47.159,04 euro. Di fronte a tale situazione il Tribunale di Fermo aveva ritenuto che il sequestro preventivo ex art. 321, comma 2 c.p.p., disposto nella forma per equivalente nei confronti dell'imputato, non dovesse essere eseguito per la parte versata, ma dovesse invece esserlo per la parte non ancora pagata ancorché oggetto di rateizzazione (ossia: 362.810,32 euro). La ricorrente lamenta l'illegittimità del provvedimento, asserendo che l'avvenuta ammissione alla rateazione del debito erariale faccia venir meno i presupposti della misura cautelare.
[21] Infatti, trattasi di un "obbligo assunto in maniera formale", e non di una "mera esternazione unilaterale del proposito", la quale sarebbe invece stata inidonea.
[22] Cass. Pen., Sez. III, 14 gennaio 2016 n. 5728: “a seguito dell’entrata in vigore del nuovo articolo 12-bis, d.lgs. 74/2000 deve ritenersi che la locuzione “non opera” non significa affatto che la confisca, a fronte dell’accordo rateale intervenuto, non possa essere adottata ma che la stessa non divenga, più semplicemente, efficace con riguardo alla parte “coperta” da tale impegno salvo a essere “disposta”, come recita il comma 2, articolo 12- bis, allorquando l’impegno non venga rispettato e il versamento “promesso” non si verifichi. Tale ultima previsione finale pare, anzi, dimostrare che la funzione del sequestro, pur a fronte di impegno a versare in toto la somma dovuta, sarebbe proprio quella di garantire l’efficacia della confisca”.