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Pubbl. Sab, 23 Dic 2017

Nullità della clausola del contratto di locazione traslativa degli oneri patrimoniali relativi all´immobile locato: la parola alle SS. UU.

Barbara Druda


Con ordinanza n. 28437 del 2017 la Cassazione rimette gli atti al Primo Presidente per eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite affinché si pronuncino in ordine alla validità o meno di un accordo intercorrente tra privati che sia attuativo di una traslazione di imposta dal soggetto passivo individuato ex lege ad un altro soggetto.


Sommario: 1. Il fatto; 2. La questione; 3. La giurisprudenza nazionale; 4. La giurisprudenza comunitaria; 5. La dottrina; 6. Conclusioni.

Sommario: 1. Il fatto; 2. La questione; 3. La giurisprudenza nazionale; 4. La giurisprudenza comunitaria; 5. La dottrina; 6. Conclusioni.

1. Il fatto

L’ordinanza interlocutoria n. 28437 del 2017 prende le mosse dalla controversia insorta tra due società in merito alla validità o meno di una clausola, contenuta in un contratto di locazione non abitativa, con la quale la locataria si obbligava a farsi carico di ogni tassa, imposta ed onere gravante sui beni locati con conseguente manleva del locatore[1].

La società conduttrice riteneva che la suddetta clausola, attuando una traslazione palese d’imposta, fosse nulla ex art. 1418, I° comma c.c. per contrasto con gli artt. 53 e 2 Cost.; di conseguenza citava in giudizio la società locatrice affinché venisse condannata alla restituzione di quanto corrispostole in base alla clausola in esame.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello rigettavano la domanda attorea argomentando che la clausola controversa non facesse nascere in capo alla conduttrice un obbligo nei confronti del fisco, ma che la stessa rappresentasse un parametro per la determinazione del corrispettivo.

La locataria presentava ricorso in Cassazione.

2. La questione

La parte ricorrente lamentava la nullità della clausola traslativa d’imposta per violazione dell’art. 53 Cost. che è norma precettiva e, al primo comma, dispone che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.

Gli Ermellini hanno ritenuto che per comprendere se la traslazione d’imposta sia o meno legittima, si debba risolvere la preliminare questione avente ad oggetto la natura dell’obbligo di cui all’art. 53 Cost., cioè se esso abbia natura di tipo solo oggettivo oppure anche soggettivo.  

Se si ritenesse che il dovere contributivo abbia natura esclusivamente oggettiva, il patrimonio del soggetto passivo individuato ex lege rileverebbe esclusivamente ai fini della determinazione del quantum dovuto al fisco, mentre la somma utilizzata ai fini dell’adempimento potrebbe provenire anche aliunde, ossia dal patrimonio di un soggetto diverso. Se, al contrario, si ritenesse che il dovere de quo abbia natura anche soggettiva, il patrimonio del soggetto passivo, oltre che a rilevare per la determinazione dell’importo dovuto, dovrebbe altresì rappresentare l’esclusiva fonte di provenienza della somma pagata, con conseguente divieto di trasferimento dell’obbligo tributario ad un soggetto diverso.

Sul punto si è avuta una divergenza di opinioni sia in dottrina che in giurisprudenza e la Cassazione, nell’ordinanza in esame, ha ripercorso i vari indirizzi ermeneutici.

3. La giurisprudenza nazionale

L’indirizzo giurisprudenziale maggioritario è quello espresso dalle Sezioni Unite nel 1985 che, con la sentenza n. 6445[2], hanno negato che una clausola traslativa d’imposta debba sempre e comunque considerarsi contrastante con l’art. 53 Cost.

Nel caso concreto la Cassazione era intervenuta per esprimersi in ordine alla legittimità o meno di una clausola, contenuta in un contratto di mutuo, in base alla quale il mutuatario si obbligava a rimborsare al mutuante le imposte pagate da quest’ultimo ed aventi ad oggetto gli interessi convenuti[3].

Gli Ermellini, nell’analizzare la questione, hanno distinto due ipotesi.

La prima è quella in cui la traslazione consista in un vero e proprio trasferimento dell’obbligazione tributaria dal soggetto passivo ad un diverso soggetto: nel caso di specie il patto sarebbe da considerarsi illegittimo e, quindi, nullo per contrasto con l’art. 53 Cost [4].

Diversa, invece, è l’ipotesi in cui la clausola contrattuale importi una traslazione del peso economico dell’imposta: la somma è corrisposta al fisco dal soggetto obbligato e, solo successivamente, quest’ultimo recupera quanto pagato scaricando il peso economico dell’imposta su un altro soggetto. In tal caso, a meno che non vi sia una specifica previsione normativa che disponga diversamente, l’operazione è da reputarsi legittima[5]. Qui non vi è alcun contrasto con la norma costituzionale perché la clausola attiene alla determinazione contrattuale dell’entità del corrispettivo ed il peso economico del tributo non viene preso in considerazione in quanto tale ma in quanto espressione di un parametro di quantificazione della prestazione dovuta.

In conclusione, secondo questo indirizzo ermeneutico una clausola traslativa d’imposta è da ritenersi legittima al ricorrere di due specifici requisiti. Innanzitutto non deve comportare una sottrazione del soggetto passivo all’obbligo tributario; in secondo luogo deve essere inclusa nel sinallagma contrattuale, cioè deve avere ad oggetto una quota del corrispettivo e non il tributo in quanto tale. In mancanza di detti elementi la clausola è da ritenersi contrastante con l’art. 53 Cost., perché l’obbligo contributivo ivi previsto può ritenersi assolto solo laddove la somma dovuta provenga effettivamente dal patrimonio del soggetto passivo individuato ex lege[6].

Questo orientamento è stato seguito a più riprese dalla giurisprudenza[7] e tra le pronunce più recenti troviamo Cass., sez. I, 08/02/2016, n. 2412 secondo cui “la cosiddetta traslazione convenzionale del carico dell’imposta è da ritenere in via generale consentita, in mancanza di una specifica diversa disposizione di legge (per finalità peculiari di singoli tributi), purché non si traduca nella pretesa che l’imposta afferente un reddito venga corrisposta al fisco da un soggetto diverso dal suo percettore, stante l’inderogabilità del presupposto soggettivo tributario”.

L’opposto indirizzo giurisprudenziale è quello espresso dalle sentenze Cass., sez. I, 05/01/1985, n. 5 e Cass., Sezioni Unite, 23/04/1987, n. 3935. In dette pronunce la Cassazione nega, senza eccezione alcuna, la validità di una clausola avente ad oggetto il trasferimento dell’imposta dal soggetto passivo ad un altro soggetto. Una disposizione di questo tipo si porrebbe in contrasto con l’art. 53 Cost. che, imponendo ai consociati l’obbligo di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva, implicitamente vieterebbe di sottrarsi a tale dovere riversando l’onere tributario su un patrimonio diverso da quello del debitore[8]. Ciò in quanto dalla norma costituzionale non discende il mero obbligo di adempiere la prestazione tributaria, ma un vero e proprio obbligo di concorrere alla spesa pubblica e tale concorso può aversi soltanto nel caso in cui il denaro utilizzato per l’adempimento provenga dal patrimonio del soggetto passivo.

In particolare, secondo le Sezioni Unite (sent. n. 3935/1987, cit.), il debito tributario è personale ed infungibile, di conseguenza sono nulle tutte le pattuizioni volte ad eluderlo od a trasferirlo su altri. In particolare, si mette in evidenza come, attraverso l’accordo traslativo, il contribuente, nel negozio privato, verrebbe, in realtà, ad assumere la veste di sostituto d’imposta mentre la controparte contrattuale verrebbe di fatto a rivestire il ruolo di contribuente.

4. La giurisprudenza comunitaria

Nell’ordinanza oggetto di trattazione viene altresì richiamata la giurisprudenza comunitaria che si è sempre espressa nel senso che la traslazione d’imposta, laddove attuata mediante l’aumento del corrispettivo, sia uno strumento legittimo[9].

Tuttavia, la Cassazione si pone il dubbio se un’operazione di questo tipo debba, in realtà, ritenersi abusiva ai sensi del diritto comunitario. Infatti, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nella nota sentenza Halifax[10], ha elaborato la figura dell’abuso del diritto che si concretizza ogniqualvolta un soggetto tenga un comportamento formalmente conforme alla legge ma che, in realtà, sia finalizzato all’ottenimento di un indebito vantaggio fiscale[11].

La nozione di abuso del diritto è stata recepita anche dal nostro legislatore che, nel 2015, ha inserito l’art. 10 bis nello Statuto del contribuente.    

5. La dottrina

La Cassazione, nell’ordinanza, prende altresì in esame gli orientamenti della dottrina sottolineando come, anche qui, manchi un’unità di vedute in merito alla liceità o meno della traslazione d’imposta.

L’indirizzo ermeneutico prevalente mette in evidenza che a livello costituzionale vi sia un’assenza di limiti rispetto alle modalità di reperimento, da parte dei privati, dei mezzi finanziari necessari all’adempimento del dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. Pertanto, rientrerebbe nell’autonomia privata la possibilità di stipulare patti attuativi di una traslazione d’imposta, salva la presenza di specifiche disposizioni che vietino negozi in tal senso.

Un altro filone dottrinario, invece, sottolinea che consentendo la stipula dei patti de quibus si andrebbe a vanificare il dovere di cui all’art. 53 Cost. di concorrere alle spese pubbliche in base alla propria capacità contributiva. Infatti, detta norma si ridurrebbe ad una regola formale finalizzata esclusivamente all’individuazione di presupposto e contenuto delle obbligazioni tributarie, mentre di fatto spetterebbe all’autonomia privata procedere all’individuazione del contribuente, cioè del soggetto che concretamente viene a sopportare il sacrificio economico.

6. Conclusioni

Dall’ordinanza in esame emerge la presenza di un panorama giurisprudenziale e dottrinario estremamente variegato che pone la necessità di un intervento chiarificatore in guisa da salvaguardare la certezza del diritto.

Ad avviso di chi scrive è da ritenersi preferibile la soluzione espressa dalle Sezioni Unite nel 1985[12], infatti, da un lato consente di garantire il rispetto dell’obbligo di cui all’art. 53 Cost., dall’altro evita di porre un’eccessiva limitazione all’autonomia privata, limitazione che, altrimenti, impedirebbe ai consociati di stabilire liberamente il prezzo di una prestazione.

Non rimane che attendere le Sezioni Unite.

 

Note e riferimenti bibliografici
[1]La clausola contenuta nel contratto è rubricata “Tasse” e prevede che «Nel corso dell’intera durata del presente contratto:

  1. Il Conduttore si farà carico di ogni tassa, imposta e onere relativo ai Beni Locati ed al presente Contratto tenendo conseguentemente manlevato il Locatore relativamente agli stessi;
  2. Il Locatore sarà tenuto al pagamento delle tasse, imposte e oneri relativi al proprio reddito.»

[2] Cass., Sezioni Unite, 18.12.1985, n. 6445.
[3] Nel caso specifico si trattava delle imposte IRPEG ed ILOR.
[4] Cass., Sezioni Unite, 18/12/1985, n. 6445 “Il patto con cui taluno viene scaricato dal pagamento di un tributo gravante sul suo reddito è nullo per l’illiceità della causa contraria all’ordine pubblico, solo quando esso comporti che effettivamente l’imposta non venga corrisposta al fisco dal percettore del reddito”.
[5] Cass., Sezioni Unite, 18/12/1985, n. 6445 “(…) resta fermo il fondamentale criterio della tendenziale irrilevanza giuridica del fenomeno economico della traslazione d’imposta. Il soggetto obbligato dalla legge tributaria a pagare l’imposta (…) tende per legge economica a scaricare il peso tributario su coloro con cui entra in rapporto a cagione della cosa posseduta o della attività svolta (…) l’articolo 53 intende assicurare che la ricchezza venga colpita in capo al soggetto che presenta adeguata capacità contributiva, ma si disinteressa dei modi in cui il contribuente che ha pagato recupera ricchezza in misura corrispondente”.
[6] Cass., Sezioni Unite, 18/12/1985, n. 6445 “Nel vigente sistema costituzionale tributario non basta oggettivamente che sia soddisfatta l’obbligazione verso il fisco, ma occorre altresì che tale obbligazione sia adempiuta dal soggetto tenuto a corrisponderla (…); la prestazione imposta di carattere tributario postula che una quota di ricchezza sia sottratta a quel determinato soggetto che la legge individua come soggetto passivo del tributo con il correlato effettivo sacrificio personale”.
[7] Ex pluribus Cass., Sez. 5, 14/05/2003, n. 7440;  Cass., Sez. 5, 25/02/2015, n. 3770.
[8] Cass., sez. I, 05/01/1985, n. 5, secondo cui l’art. 53 Cost. importa il “divieto inderogabile per il debitore d’imposta, sia diretta e indiretta, di riversare il relativo onere su un altro soggetto, e quindi su un patrimonio diverso da quello rispetto al quale è contemplato il prelievo fiscale”.
[9] Ex multis CGUE, 06/09/2001, n. 398 (C-398/09); CGUE, 16/01/2014, n. 226 (C-226/12).
[10] CGUE, 21/02/2006, n. 255 (C-255/02).
[11] CGUE, 21/02/2006, n. 255 (C-255/02) “Perché possa parlarsi di un comportamento abusivo, le operazioni controverse devono, nonostante l’applicazione formale delle pertinenti disposizioni della sesta direttiva e della legislazione nazionale, procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito da queste stesse disposizioni”.
[12] Cass., Sezioni Unite, 18/12/1985, n. 6445