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Pubbl. Ven, 15 Dic 2017
Sottoposto a PEER REVIEW

Garanzia per i vizi della cosa venduta: analisi e commento dell´art. 1490 c.c.

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Simona Rossi


La fattispecie di cui all’art. 1490 c.c. pone in capo al venditore l’onere di garantire che il bene venduto sia immune da vizi. La ratio della norma è, pertanto, tutelare il compratore da vizi tali da rendere il bene inutilizzabile ovvero da diminuirne notevolmente il valore. Difatti, il consumatore può dolersi solo di vizi di una certa consistenza mentre, stante la buona fede di cui all’art. 1176, è tenuto a sopportare i difetti minimi del bene.


Sommario: 1. Analisi della norma; 2. Azioni esperibili dal compratore; 3.  Responsabilità del venditore per difetti dell’immobile; 4. Beni mobili di consumo; 5. Garanzia per vizi nel contratto preliminare.

1. Analisi della norma

La norma stabilisce che “il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all'uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore. Il patto con cui si esclude o si limita la garanzia non ha effetto, se il venditore ha in mala fede taciuto al compratore i vizi della cosa.”

L’obiettivo della norma è tutelare il compratore (considerato la “parte debole”) da eventuali vizi del bene: tuttavia la norma si riferisce solo a vizi di entità rilevante tali da rendere il bene inidoneo all’uso ovvero da diminuirne apprezzabilmente il valore. Va specificato che la garanzia fa riferimento solo ai vizi “oscuri” già esistenti al momento della conclusione del contratto e la garanzia de quo, ritiene la Suprema Corte, è dovuta per il fatto oggettivo della loro esistenza, indipendentemente da ogni presupposto di colpa del venditore.

Oltre a dover essere giuridicamente rilevanti, i vizi debbono essere “oscuri” ossia non conosciuti né conoscibili dal compratore al momento dell’acquisto: sono vizi “occulti” quelli di cui l'acquirente, al momento della stipula, non era a conoscenza né poteva conoscere con l’uso dell’ordinaria diligenza (in quanto il legislatore prevede in capo all'acquirente un minimo onere di diligenza nel momento in cui compie l'acquisto, come previsto dall’art. 1176 c.c. ed in ossequio del brocardo “caveat emptor” ossia “stia attento il venditore”). Invero, nel caso in cui si riesca a dimostrare che il venditore aveva dichiarato che la cosa era priva di vizi, la garanzia è dovuta anche per i vizi considerati facilmente riconoscibili, come espressamente previsto ex art. 1491 c.c.[1]

Orbene, con riguardo all’ “uso” si fa riferimento a quello normale del bene, tuttavia, se nel contratto viene dedotto un uso diverso, si può far riferimento anche ad esso. La garanzia a cui la norma fa riferimento si riferisce ai vizi del bene già presenti al momento della vendita ma non conosciuti né conoscibili dall’acquirente mentre non si estende ai vizi che insorgono in seguito alla conclusione del contratto, per tale ipotesi sussiste invero l’inadempimento del venditore (fattispecie, quest’ultima, che si applica nel caso di consegna di un bene differente da quello pattuito).

Lo scopo della norma in esame è, quindi, prevedere dei rimedi alla malafede del venditore che, anche in presenza di un patto limitativo della garanzia, abbia taciuto al compratore vizi della cosa (nonostante l'esclusione o limitazione della garanzia, resta la responsabilità del venditore). Poiché si mira a punire la “malafede” del venditore, è necessario che questo abbia avuto conoscenza dei vizi della cosa mentre non è sufficiente la circostanza del dubbio (obiettivo della previsione codicistica è, infatti, punire la malafede e non la negligenza del venditore, anche qualora questa sia grave ed inescusabile!). Conseguentemente, è esclusa (o comunque limitata!) la garanzia nel caso in cui il compratore fosse a conoscenza dei vizi: la norma si riferisce all’ipotesi in cui la malafede del venditore abbia tratta in inganno il compratore, ragion per cui, non rientrano in tale ipotesi il caso in cui il compratore avesse notizia dei vizi. Del resto, è logicamente ineccepibile che la garanzia non sussista qualora il compratore fosse a conoscenza dei vizi ed abbia consapevolmente deciso di acquistare il bene nello stato in cui si trovava (ossia nonostante il vizio!)[2].

Per quanto concerne le clausole di esclusione o limitazione della garanzia in esame, queste debbano essere espressamente approvate per iscritto (ai sensi dell’art. 1341 c.c.) in quanto considerate vessatorie.

2. Azioni esperibili dal compratore

Se si è manifestato il difetto della cosa venduta, ai sensi dell’art. 1495 c.c., il compratore ha l’onere di effettuare denunzia al venditore nel termine decadenziale di otto giorni, cui segue il termine prescrizionale di un anno per agire giudizialmente. A fronte di una tutela così ampia, difatti, il legislatore ha preteso una sua attivazione pressoché immediata: infatti, l'acquirente è tenuto a denunziare all'alienante i vizi stessi, entro il termine, decisamente breve, di otto giorni dalla scoperta (a meno che il venditore non abbia riconosciuto l’esistenza del vizio ovvero lo abbia occultato) ed, in ogni caso, l’azione si prescrive in un anno dalla consegna.

I rimedi giudiziali posti a tutela del compratore sono diversi: nei casi più gravi è prevista una specifica azione di risoluzione contrattuale (c.d. azione redibitoria) ovvero, nei casi meno gravi, la riduzione del prezzo (c.d. azione estimatoria), è ovviamente anche previsto il generale rimedio del risarcimento del danno; inoltre, pur non essendo espressamente previsto, si deve ritenere esperibile anche la risoluzione contrattuale.

Per i vizi della cosa, qualora gli usi escludano la risoluzione contrattuale, è previsto, ex art. 1492 c.c., un duplice rimedio: l’azione redibitoria (c.d. actio redhibitoria) con cui il compratore, facendo valere la garanzia di cui all’art. 1490 c.c., restituisca la cosa e si veda reso il prezzo pagato con conseguente risoluzione del contratto di compravendita ovvero l’azione estimatoria (c.d. actio aestimatoria) con cui il compratore richiede una riduzione del prezzo in ragione dei vizi della cosa; in ogni caso, resta l’obbligo in capo al venditore di risarcire il compratore per i danni derivanti dai vizi della cosa nonché del danno da questo subito, a meno che non dimostri di avere ignorato senza colpa i vizi della cosa (art 1494 c.c.).

L'azione redibitoria[3] ha, quindi, luogo qualora venga risolto il contratto ad impulso del compratore che faccia valere la garanzia della cosa. A tal proposito, l’art. 1493 c.c. prevede che, eleminato il contratto, il venditore sia obbligato a restituire il prezzo al compratore nonché a rimborsandogli le spese e i pagamenti legittimamente fatti per la vendita; il compratore deve invece restituire la cosa, a meno che questa non sia perita in conseguenza dei vizi, in tal caso dovrà essere corrisposto al venditore un compenso per l'utilità ritratta in relazione al tempo in cui il godimento del bene si è potuto estrinsecare. Si evidenzia, dunque, la medesima dinamica che si ha per la generale risoluzione del contratto anche se vi sono delle importanti differenze: nell’azione redibitoria si fa riferimento alla garanzia per i vizi della cosa tali da renderla inidonea o da diminuirne il valore mentre nella risoluzione giudiziale di cui all’art. 1453 c.c. rileva l’inadempimento della parte (che non abbia adempiuto esattamente la prestazione dovuta); inoltre un ulteriore distinzione può osservarsi con riguardo ai tempi di prescrizione, tenuto conto che per la fattispecie di cui all’art. 1490 sono particolarmente brevi.

Altro rimedio, consta invece nella c.d. azione estimatoria che consiste nella riduzione del prezzo del bene venduto commisurata alla minore utilità che esso è idoneo a fornire con riferimento ai difetti che presenta, difatti, l’obiettivo è mantenere l’equilibrio del sinallagma. Tuttavia, poiché talvolta può essere difficile stabilire con precisione il quantum, il giudice può valutare secondo equità (ai sensi dell’art. 1126 c.c.)[4].

Orbene, l’art. 1492 che pone questi due rimedi qualifica espressamente come questi rimedi siano alternativi quado proposti con domanda giudiziale (non sono, pertanto, cumulabili tra loro): l’art. 1492 co. 2 stabilisce, infatti, il divieto di mutatio libelli in corso di causa (mentre per la risoluzione del contratto, l’art. 1453 prevede che anche qualora l’instante abbia instaurato il giudizio per ottenere l’adempimento possa richiedere la risoluzione mentre non è possibile il contrario!).

L’art. 1492 c.c., quindi, impone al compratore di scegliere tra la risoluzione e la riduzione del prezzo[5]: la giurisprudenza ha, difatti, chiarito che le due domande non possono essere poste né in rapporto di alternatività né in via subordinata al mancato accoglimento dell’una rispetto all’altra[6].

Va detto che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, si ritiene che qualora l’acquirente continui ad utilizzare la cosa, pur avendone denunziati i vizi, potrà proporre esclusivamente l’azione estimatoria mentre gli è preclusa l’azione redibitoria. In ogni caso, l’art. 1494 co. 2 c.c. prevede che il venditore debba risarcire il compratore dei danni derivanti dai vizi della cosa. L’azione risarcitoria di cui all'art. 1494 c.c. si pone quale completamento sia dell'azione redibitoria sia di quella estimatoria, pur potendo essere introdotta anche da sola (è, infatti, indipendente). Inoltre l'utilizzo della cosa che, come si è avuto modo di evidenziare, può valere a precludere all'acquirente l'azione redibitoria (in quanto interpretata come accettazione della cosa venduta), non impedisce a quest'ultimo di proporre l'azione di risarcimento del danno, autonoma anche sotto questo profilo.

La garanzia per i vizi, in quanto tale, la cui ratio sottesa è pur sempre quella di “punire” la malafede del venditore, prevede, ai sensi dell'art. 1494 co. 1 c.c., che questo sia comunque "tenuto verso il compratore al risarcimento del danno, se non prova di aver ignorato senza colpa i vizi della cosa". La tutela risarcitoria va così a completare il quadro di strumenti posti a tutela dell'acquirente che quindi potrà ottenere anche il risarcimento afferente al mancato guadagno che sarebbe stato conseguito rivendendo la cosa viziata (lucro cessante). La norma, tuttavia, nulla dice in merito ai termini di proposizione dell'azione di risarcimento del danno pertanto si ritiene siano applicabili i brevi termini decadenziali e prescrizionali di cui all'art. 1495 c.c.

Infine, anche se la risoluzione del contratto di vendita non è tassativamente contemplato tra i mezzi di tutela previsti in favore del venditore in caso di bene viziato, si ritiene che la risoluzione di cui all’art. 1453 c.c. rappresenti un rimedio generale applicabile anche per suddetto caso.

Per quanto riguarda gli effetti della risoluzione del contratto, all'alienante compete la restituzione del prezzo e il rimborso delle spese e dei pagamenti strettamente connessi alla vendita, mentre all'acquirente spetta la restituzione del bene, a patto che non sia venuto meno in conseguenza dei vizi.

3.  Responsabilità del venditore per difetti dell’immobile

La fattispecie in esame si applica sia ai beni mobili che agli immobili: tuttavia, il breve termine di prescrizione risulta insufficiente se riferito agli immobili in quanto i difetti strutturali spesso emergono nel corso degli anni. A tal proposito, la Corte di Cassazione, con una recente sentenza, la n. 18891 del 2017 ha esteso la responsabilità dell’appaltatore di cui all’art. 1669 c.c. al venditore di immobile che abbia fatto eseguire opere di ristrutturazione sul bene prima di venderlo ovvero al venditore di immobile appena costruito.

In giurisprudenza era acceso il dibattito circa l’applicabilità di tale norma anche alle opere di manutenzione di immobili già esistenti (cd. opere di manutenzione straordinaria): sul punto è intervenuta la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza  n. 7756 del 2017, affermando che l’art. 1669 c.c. è applicabile anche alle opere di ristrutturazione edilizia e, in genere, agli interventi manutentivi o modificativi di lunga durata su immobili preesistenti, che rovinino o presentino evidente pericolo di rovina o gravi difetti incidenti sul godimento e sulla normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest’ultimo. Pertanto, nel caso di opere commissionate dal venditore prima di alienare il bene, all’acquirente dell’immobile che riscontri vizi e difetti di una certa gravità che siano conseguenze delle opere eseguite anteriormente alla consegna del bene venduto, è riconosciuta la possibilità di addebitare la responsabilità al venditore.

4. Beni mobili di consumo

È bene sottolineare che la disciplina codicistica, applicabile al contratto di compravendita in generale, non si applica nel caso di vendita di beni di consumo, ovvero nei contratti in cui il venditore è un professionista e l'acquirente un consumatore. In tal caso, infatti, la normativa applicabile è quella di cui al Codice del Consumo (d. lgs. n. 206/2005) che detta una disciplina di favore nei confronti del consumatore, in ragione della sua "debolezza" contrattuale. Nei rapporti tra professionista e consumatore opera la garanzia legale di conformità disciplinata agli artt. 128 ss. del Codice del Consumo (d.lgs. 206/2005). In particolare, tale garanzia opera anche per i beni di consumo usati. Il consumatore deve denunciare il difetto di conformità entro due mesi dalla data in cui lo ha scoperto ed il venditore è responsabile quando il difetto di conformità si manifesta entro due anni dalla consegna del bene.

5. Garanzia per vizi nel contratto preliminare.

Un’interessante problematica concerne la compatibilità tra la garanzia e la stipulazione di un mero contratto preliminare nonché al preliminare ad efficacia anticipata[7].

La giurisprudenza ha rilevato come sia inconcepibile riferire la disciplina delle garanzie se non al contratto definitivo: difatti il promissario acquirente ha a disposizione, nella fase antecedente al trasferimento del diritto, il rimedio consistente nel rifiuto a prestare il proprio consenso alla stipulazione del contratto traslativo, la possibilità di domandare la risoluzione del contratto preliminare, ovvero di chiedere l'adempimento della obbligazione del promittente venditore, previa eliminazione a proprie spese dei vizi.

E’ però evidente che nel caso in cui si sia stipulato un contratto preliminare di vendita immobiliare ma ci si sia già immessi nell’immobile, dopo aver integralmente pagato il prezzo, nella detenzione materiale del bene promesso, voglia semplicemente che il promittente alienante elimini i vizi manifestatisi o, in alternativa, effettui il rimborso di parte del corrispettivo equivalente al minor valore.

Per tale circostanza è invece deciso per la praticabilità, nel caso della riscontrata sussistenza dei vizi lamentati, dell'azione estimatoria, funzionale ad un recupero e ad un riequilibrio delle posizioni contrattuali. La Suprema Corte si è espressa favorevolmente riguardo la compatibilità tra la proposizione dell’azione ex art. 2932 c.c. (esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto) e quella di esatto adempimento, intesa all'eliminazione dei vizi e delle difformità, giacché la disciplina dei vizi di cui all'art. 1492 c.c., ritenuta applicabile anche al contratto preliminare di compravendita. Pertanto, il promissario acquirente potrà domandare, in sede di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto definitivo, in alternativa alla riduzione del prezzo, la condanna del promittente alienante all'eliminazione dei vizi.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] A. Torrente, P. Schlesinger, “Manuale di diritto privato”, ed. XIX, Giuffrè editore, pp. 666 e ss.
[2] P. Cendan, “Commentario al codice civile – artt. 1740-1547 – Vendita”, 2009, Giuffrè editore, pp. 243 e ss.
[3] G. Cian, A. Trabucchi “Commentario breve al codice civile”, CEDAM, 2014, pp.1910-1915.
[4] AA. VV. “Diritto privato”, III ed., Giappichelli editore, pp. 399 e ss.
[5] G. Cian, A. Trabucchi “Commentario breve al codice civile”, CEDAM, 2014, p. 1905.
[6] Tuttavia è prevista un’eccezione: l’art. 1492 co. 3 prescrive che l'acquirente, qualora la cosa sia perita per caso fortuito o per colpa del compratore stesso oppure nell'ipotesi in cui questi l'abbia alienata o trasformata, possa domandare solo la riduzione del prezzo tuttavia qualora il venditore convenuto contesti i presupposti di fatto dell'azione estimatoria, è previsto che il compratore, per non restare sfornito di tutela, possa introdurre domanda di risoluzione del contratto per l'ipotesi in cui venisse rigettata l'azione intesa ad ottenere la riduzione del prezzo.
[7]G. De Cristofaro, “Preliminare e definitivo di fronte alla garanzia per vizi: una (ancora) apprezzabile differenziazione?”, Il corriere giuridico, 7, 1995.