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Pubbl. Mar, 5 Dic 2017

La revisione delle sentenze che hanno dichiarato l´estinzione del reato

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Giuseppe Ortolani


Con la sentenza n 53678 del 28 novembre 2017 la Corte di Cassazione - Sezione II ha affrontato nuovamente la questione dell´ammissibilità o meno della revisione avverso le sentenze che, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione, abbiano confermato le statuizioni civili a carico del prosciolto.


Con la sentenza n° 53678 del 28 novembre 2017, la Corte di Cassazione, Sezione II (Presidente Fumu, Relatore Geppino Rago) torna nuovamente sul dibattuto tema della revisione delle sentenze che, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione, abbiano confermato le statuizioni civili a carico del prosciolto.

In materia sussistono due orientamenti della giurisprudenza della Suprema Corte.
Secondo un primo orientamento la revisione sarebbe possibile. In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione, Sezione V, con la sentenza n° 46707 del 03 ottobre 2016, in forza del quale la revisione sarebbe ammissibile in quanto nel concetto di  condannato  rientra anche il soggetto  prosciolto per intervenuta prescrizione del reato anche se sia stato condannato al risarcimento del danno nei confronti della parte civile.
Secondo un altro orientamento, ritenuto maggioritario (cfr. Cass. 2393/2011 Rv. 249781; Cass. 24155/2011 Rv. 250631; Cass. 2656/2017 Rv. 269528), confermato anche dalla recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, la revisione sarebbe inammissibile perché la revisione presuppone sempre una sentenza di condanna o decreto penale di condanna e non una sentenza di proscioglimento.

La sentenza in commento, aderendo al secondo orientamento, quello maggioritario, fornisce gli elementi utili per giungere alla dichiarazione di inammissibilità della revisione di una sentenza di proscioglimento, chiarendo la portata del concetto di sentenza di condanna quale presupposto dell'esperibilità del mezzo di impugnazione straordinario della revisione.

La questione che è sottoposta alla Suprema Corte può essere sintetizzata nei seguenti termini: «se, in caso di sentenza passata in giudicato con la quale l'imputato sia stato prosciolto per prescrizione del reato ascrittogli, ma condannato al risarcimento dei danni a favore della parte civile costituita, sia o no ammissibile il giudizio di revisione».

I giudici di legittimità nell'argomentare la tesi dell'inammissibilità hanno evidenziato i seguenti temi:

1) la revisione è configurata dal codice di rito penale come un mezzo di impugnazione straordinario preordinato al "proscioglimento" della persona già condannata in via definitiva; presupposto indefettibile per esperire il rimedio straordinario della revisione di cui all'articolo 629 cod. proc. pen. è, per espressa previsione normativa, l'esistenza di una sentenza di condanna o di un decreto penale di condanna ovvero di una sentenza emessa ai sensi dell'articolo 444 cod. proc. pen., e non, quindi, di una sentenza di proscioglimento come, peraltro, si trova scritto nella Relazione al codice di procedura penale; l'art. 629 cod. proc. pen. prevede la revisione "...anche se la pena è già eseguita o estinta": il che significa che il concetto di "pena" implica una condanna e il rifermento all'estinzione riguarda appunto la pena inflitta e non già il reato atteso che la dichiarazione di estinzione esclude, ovviamente, ogni pena;

2) la revisione è finalizzata a "prosciogliere" il soggetto condannato: non può, quindi, ritenersi ammissibile rispetto ad una sentenza di proscioglimento, quale quella in forza della quale sia stata dichiarata l' estinzione del reato per intervenuta prescrizione, sia pure accompagnata da una statuizione di condanna a carico dell'imputato ai soli fini civilistici, ostandovi, valutato il complessivo sistema normativo, il principio di tassatività di cui all'art. 568, primo comma, cod. proc. pen. e non essendo, pertanto, possibile una applicazione in termini analogici alla ipotesi della (sola) condanna civile.

Nel chiarire il concetto di sentenza di condanna, i Giudici di legittimità hanno richiamato la giurisprudenza della Corte EDU e della Corte Costituzionale. Infatti, la giurisprudenza della Corte EDU, fin dagli anni settanta del secolo scorso, con la storica sentenza Engel (8 giugno 1976, Engel contro Paesi Bassi § 82 e, successivamente, con la sentenza Ozteirk c. Germania del 21/02/1984, § 50 ss ed altre) elaborò i criteri in base ai quali, una pronuncia, ai sensi dell'art. 6 CEDU, deve ritenersi comunque di natura penale al di là del dato formale con quale sia stata emessa, indicando tre alternativi criteri, ossia: "la qualificazione giuridica della misura in causa nel diritto nazionale, la natura stessa di quest'ultima, e la natura e il grado di severità della "sanzione".
Anche la giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. n. 85/2008), nel porsi in chiara ed esplicita linea di continuità con quella Cedu, ha adottato una nozione di sentenza di condanna ben più ampia di quella meramente formale, avendo ritenuto come "sentenze di condanne" tutte quelle sentenze che, in un modo o nell'altro, arrechino «all'imputato significativi pregiudizi, sia di ordine morale che di ordine giuridico».

Con la sentenza in commento la Suprema Corte chiarisce ai fini della ammissibilità della revisione che sentenza di condanna è non solo quel provvedimento con il quale sia inflitta una sanzione strettamente penale ma, anche quel provvedimento che, al di là del dato meramente formale con il quale è denominato, nella sostanza, contenga una sanzione latamente penale e cioè una sanzione punitiva e deterrente (come ad es. la confisca) ma non quando da esso conseguano effetti meramente riparatori o preventivi, proprio perché tali conseguenze, non rientrando nell'ambito delle sanzioni punitive, si pongono al di fuori del perimetro latamente penale.

Questa fondamentale precisazione consente, in relazione al caso affrontato, quindi, di affermare che la sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione, laddove si concluda solo con la conferma delle statuizioni civili che presuppone un accertamento sulla responsabilità penale, va ritenuta, pur sempre, non solo formalmente ma anche sostanzialmente, una sentenza di proscioglimento perché da essa non consegue alcun effetto di natura sanzionatoria o latamente penalistica.

Pertanto, secondo la Suprema Corte di Cassazione, anche alla luce dei richiamati criteri sostanzialistici della giurisprudenza della Corte EDU e della Corte Costituzionale, la condanna al risarcimento del danno a favore della costituita parte civile va ritenuta una semplice conseguenza di natura riparatoria che, quindi, nulla ha a che vedere con gli effetti sanzionatori di natura latamente penalistici.

Quindi, la sentenza di proscioglimento per prescrizione - nel caso in cui contenga un giudizio sulla colpevolezza dal quale derivino conseguenze ai soli fini civilistici - non può essere considerata una sentenza di condanna, ne consegue che, neppure l'imputato, prosciolto per essere il reato estinto per prescrizione, può essere ritenuto - alla stregua de - un "condannato" che, pertanto, abbia la legittimazione a proporre il mezzo di impugnazione starordinario della revisione.

In conclusione, con la pronuncia in  commento, la Corte ha aderito all'orientamento maggioritario, affermando il seguente principio secondo cui «ai sensi dell’art. 6 CEDU per sentenza di condanna deve intendersi ogni  provvedimento con il quale il giudice, al di là del nomen iurìs, nella sostanza, infligga una sanzione che abbia comunque natura punitiva e deterrente, e non meramente riparatoria o preventiva. Di conseguenza, non è suscettibile di revisione la sentenza di proscioglimento dell’imputato per estinzione del reato per prescrizione dalla quale consegua la sola conferma delle statuizioni civili, in quanto la condanna al risarcimento del danno, avente natura riparatoria, non può essere considerata sanzione punitiva e, quindi, latamente “penale”».