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Pubbl. Ven, 17 Nov 2017
Sottoposto a PEER REVIEW

Contratto di franchising: caratteristiche e principali clausole contrattuali

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Manuel Mattia


Principali clausole contrattuali su cui porre l´attenzione in sede di stipula del contratto di franchising.


Sommario: 1. Nozione e fenomeno negoziale. 2. Tipi. 3. Caratteristiche. 4. Contenuto rilevante.

1. Nozione e fenomeno negoziale.

Con il contratto di franchising, un soggetto, detto affiliante o franchisor, stipula un accordo con un altro soggetto, detto affiliato o franchisee, in base al quale il primo concede al secondo il diritto di utilizzare una serie di privative industriali e il proprio know-how, per lo svolgimento di un’attività commerciale volta alla vendita ed alla fornitura di determinati beni e di servizi.

Il franchising rientra nella categoria dei contratti di distribuzione commerciale, il cui utilizzo è diffuso tanto in Italia quanto all’estero. Nel nostro ordinamento esso è disciplinato dalla L. n. 129/2004. Nella prassi, il predetto contratto è spesso utilizzato dalle grosse aziende che intendono diffondere i loro prodotti o servizi sul territorio nazionale ed internazionale, al fine di ampliare il proprio mercato di riferimento. Allo stesso tempo, l’azienda affiliata, che di regola è più piccola del franchisor, con siffatto contratto avrà la possibilità di aumentare la propria competitività ed i propri introiti, vendendo prodotti ed offrendo servizi che, grazie al brand ed alla loro elevata diffusione sul mercato, attraggono maggior clientela. L’esempio tipico di franchising è quello di famose aziende operanti nel settore alberghiero o della ristorazione (a titolo esemplificativo, Burger King, Mc Donald’s, Starwood Hotels & Resorts Worldwide, Accor Hotels). Ad ogni modo, secondo la legislazione italiana è possibile stipulare contratti di franchising aventi ad oggetto beni e servizi di qualunque settore dell’attività commerciale, in ossequio all’art. 1 della Legge 129/2004[1].

Quando il franchisor è un’azienda di grandi dimensioni, essa tenderà a stipulare molteplici contratti di franchising con diversi affiliati.

2. Tipi

I tipi di contratto di franchising più diffusi sono quello di distribuzione di beni e quello di fornitura di servizi.

a) Con il franchising di distribuzione di beni, si instaura un contratto tra un franchisor produttore di beni (ad esempio, libri, giocattoli, abbigliamento etc) e un franchisee distributore di quegli stessi beni. Il franchising di distribuzione è una macro-area contrattuale in cui rientrano diverse forme di affiliazione. In particolare, con riferimento ai soggetti che stipulano il contratto, il franchising può instaurarsi tra un produttore ed un grossista, tra un produttore ed un dettagliante, o tra un grossista ed un dettagliante[2].

b) Con il franchising di fornitura di servizi, l’impresa fornitrice di servizi si serve di un’impresa affiliata al fine di erogare il servizio ai consumatori finali. Tale tipo di franchising è molto utilizzato ad esempio nel settore alberghiero e della ristorazione, della mediazione creditizia, dei viaggi.

3. Caratteristiche

Il contratto di franchising è un contratto bilaterale, a prestazioni corrispettive, oneroso e di durata[3]. Il rapporto obbligatorio sottostante si instaura tra due imprenditori, economicamente e giuridicamente autonomi l’uno dall’altro. L’accordo deve rivestire la forma scritta a pena di nullità, ex art. 3 L. n. 129/2004.

Tramite questo particolare accordo, si verifica una sorta di identificazione del franchisee con il franchisor: tramite l’utilizzo degli stessi marchi ed insegne dell’affiliante, la vendita dei suoi prodotti, la predisposizione nei locali di arredamenti ed uniformi ad hoc scelti dall’affiliante, l’affiliato apparirà come facente parte della medesima struttura ed organizzazione del franchisor. In virtù di questo principio (cd “di apparenza”), la giurisprudenza[4] ha ammesso che il terzo che contratti con il franchisee può legittimamente agire anche nei confronti del franchisor, ritenendosi scusabile l’errore in cui è incappato il terzo che si è rivolto ad un soggetto diverso (il franchisor) da quello (il franchisee) nei cui confronti avrebbe dovuto spiegarsi la domanda giudiziale.

Il corrispettivo dell’affiliante generalmente consiste in una commissione iniziale o “fee”, ossia, ai sensi della lett. b) del comma 3 dell’art. 1 della L. n. 129/2004, in una “cifra fissa, rapportata anche al valore economico e alla capacità di sviluppo della rete, che l'affiliato versa al momento della stipula del contratto di affiliazione commerciale”; nonché in una “royalties”, ossia, ai sensi della lett. c) del comma 3 dell’art. 1 della L. n. 129/2004, “una percentuale che l'affiliante richiede all'affiliato commisurata al giro d'affari del medesimo o in quota fissa, da versarsi anche in quote fisse periodiche”.

4. Contenuto rilevante

Nella fase di stipulazione del contratto di franchising, occorre porre particolare attenzione su alcune clausole contrattuali. Di seguito si indicano le clausole di maggior interesse:

Durata. Il contratto di franchising può essere stipulato a tempo indeterminato o determinato. In quest’ultima ipotesi, come accennato, la Legge[5] prevede che la durata minima dell’accordo consenta al franchisee di rientrare nell’investimento iniziale, e comunque dev’essere almeno di 3 anni. Tale norma è volta a tutelare il franchisee, a cui la legge garantisce una durata ragionevole finalizzata a coprire quantomeno i costi iniziali sostenuti. Nel concordare la durata del contratto con il franchisor, il franchisee dovrà dunque valutare i costi iniziali: in particolare, dovrà tenere in considerazione il “fee” di cui al comma 3, lett. b) dell’art. 1 L. n. 129/2004; i costi di locazione dei locali commerciali[6]; costi di avvio dell’attività commerciale ed eventuali oneri di finanziamento; spese di formazione del franchisee e dell’eventuale personale dipendente; oneri amministrativi (es. registrazione del contratto, costituzione di società, etc).

Ammontare della royalty ed eventuale incasso minimo. Il corrispettivo principale del franchisor è la royalty sul prezzo dei beni venduti dal franchisee. A norma dell’art. 3, comma 4, lett. b) della Legge n. 129/2004, le modalità di calcolo e di pagamento della royalty devono essere espressamente indicate nel contratto. In tale prospettiva, il franchisee dovrà valutare quale sia l’effettivo guadagno sui prodotti oggetto del franchising in relazione alla percentuale della royalty. Una royalty troppo elevata, infatti, aumenterebbe il rischio d’impresa in capo al franchisee, dovendo quest’ultimo sopperire anche ai costi iniziali e di gestione.

Accanto alla royalty, può essere previsto dal franchisor un incasso minimo da realizzare da parte del franchisee. Tale facoltà dev’essere formalizzata nel contratto con espressa indicazione, a norma del richiamato art. 3, comma 4, lett. b). In tale evenienza, il franchisee dovrà valutare la fattibilità del raggiungimento dell’incasso minimo imposto dal franchisor, tenuto conto che il mancato raggiungimento potrebbe essere causa di risoluzione contrattuale.

Patti relativi ai diritti di proprietà industriale. Una delle principali caratteristiche del contratto di affiliazione commerciale consiste nell’utilizzo da parte del franchisee delle insegne, dei marchi, dei brevetti e delle altre privative industriali di proprietà del franchisor, per lo svolgimento dell’attività commerciale volta alla vendita di beni o alla fornitura di servizi oggetto del franchising.

L’utilizzo delle privative industriali da parte del franchisee è di notevole importanza sotto diversi aspetti: per la tutela dell’immagine del franchisor; per porre un legittimo affidamento in capo ai consumatori finali, nella misura in cui i prodotti venduti o servizi offerti dal franchisee vengono commercializzati mediante le medesime tecniche, procedure, caratteristiche, anche visive (si pensi al confezionamento del prodotto o all’utilizzo di segni distintivi), utilizzate dal franchisor; per consentire all’affiliato di operare sul mercato con la medesima diligenza e perizia utilizzata dall’affiliante, e con i suoi medesimi standard qualitativi.

Con particolare riferimento al know-how[7], a norma dell’art. 3, comma 4 della L. n. 129/2004, nel contratto di affiliazione dev’essere espressamente indicato “la specifica del know-how fornito dall'affiliante all'affiliato” (lett. d) e “le eventuali modalità di riconoscimento dell'apporto di know-how da parte dell'affiliato” (lett. e). L’obbligo di specifica del know-how tutela il franchisee nella misura in cui gli viene effettivamente trasmesso un patrimonio di conoscenze specifiche strumentali allo svolgimento dell’attività commerciale in maniera concorrenziale (es. trasmissione di una ricetta per preparare un dolce che sul mercato ha avuto particolare successo); parallelamente, il franchisee dovrà rispettare una serie di istruzioni impartite dal franchisor per l’utilizzo corretto del know-how nello svolgimento dell’attività commerciale. Inoltre, a tutela del proprio know-how, il franchisor generalmente si servirà anche di accordi di segretezza[8] e clausole che pongono il divieto per il franchisee di cessione del contratto di franchising, di subaffitto dell’azienda o di sua cessione, di cedere la sua azienda in gestione o nominare un direttore senza il consenso del franchisor[9].

Condizioni di vendita al pubblico. Contribuiscono alla tutela dell’immagine del franchisor nonché alla identificazione del franchisee con il franchisor stesso, anche quelle condizioni per la commercializzazione dei prodotti e dei servizi ai clienti, negoziate dalle parti con apposite clausole inserite nel contratto di franchising. A titolo esemplificativo, al franchisee può essere imposto l’obbligo di svolgere l’attività commerciale presso appositi locali individuati dal franchisor o comunque ubicati in zone prestigiose, di allestirli ed arredarli secondo certe direttive e progetti, di far indossare determinate divise ai propri dipendenti etc.

Patti anticoncorrenziali. E’ buona norma inserire nel contratto di franchising apposite clausole a tutela della concorrenza. Tra queste, le principali sono senz’altro la clausola di esclusiva e il patto di non concorrenza.

a) Con la clausola di esclusiva, l’affiliato si impegna a non vendere beni o somministrare servizi nell’interesse di terzi concorrenti con l’affiliante. Spesso l’esclusiva è reciproca: in questo senso, anche il franchisor si impegnerà a non servirsi di altri affiliati nella stessa area in cui opera l’affiliato. L’area di esclusiva di regola è ben delimitata, e la sua estensione dipende dal tipo di attività e dal numero di potenziali clienti.

La clausola di esclusiva reciproca deve risultare espressamente dal contratto di franchising[10]. Essa tutela sia l’affiliato, che potrà disporre di una maggior “fetta di mercato” nella zona di sua competenza; sia l’affiliante, che, oltre a tutelarsi dall’eventuale attività concorrenziale svolta dal franchisee, potrà disporre di una rete omogenea di affiliati dislocati sul territorio.

b) Con il patto di non concorrenza, le parti pattuiscono che, alla cessazione del contratto di franchising, venga vietato al franchisee di assumere incarichi di distribuzione di prodotti o servizi concorrenti con quelli del franchisor ed oggetto del contratto cessato. Tale clausola ha prevalentemente la finalità di tutelare il know-how del franchisor trasferito al franchisee in sede di franchising.

Il patto dev’essere stipulato per iscritto a pena di invalidità. La durata non può superare un anno a decorrere dalla cessazione del contratto[11].

Clausole risolutive espresse. Le parti possono prevedere l’inserimento nel contratto di apposite clausole risolutive espresse: esse elencano una serie di inadempimenti ed eventi che, se si verificano durante l’esecuzione del contratto, comportano la risoluzione di diritto su attivazione del contraente danneggiato. verificare (e magari concordare) quali sono tutte quelle obbligazioni che se non adempiute comportano la possibile risoluzione di diritto del contratto. Esempi di eventi o inadempienze oggetto di clausola risolutiva espressa potrebbero essere a) l’insufficiente fatturato annuo del franchisee; b) condanna penale del franchisee per reati connessi al commercio; c) mancato adempimento dell’obbligo di assistenza e formazione del franchisee a carico del franchisor. All’avverarsi di tali eventi/inadempimenti, spesso i contraenti prevedono un sistema indennitario in favore della parte lesa. In sede di stipula del contratto di franchising, è opportuno porre l’attenzione sulla corretta redazione di tale clausola, sul suo contenuto e sulle conseguenze in caso di avveramento di un evento/inadempimento oggetto della clausola in questione.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] E’ espressamente previsto al secondo comma dell’art. 1 della L. n. 129/2004 che “Il contratto di affiliazione commerciale può essere utilizzato in ogni settore di attività economica”.
[2] Per grossista s’intende l’impresa che acquista i beni direttamente dal produttore e li rivende ad altre imprese, dette “dettaglianti”. In ordine al dettagliante, è l’impresa che acquista i prodotti dal produttore o dal grossista e li vende direttamente al consumatore finale, il quale acquista il bene per uso personale e non commerciale. Esistono diversi tipi di dettaglianti: tra i principali rientrano i cd “negozi specializzati”, che trattano una linea di prodotti limitata ma con vasto assortimento (es. negozi esclusivamente di abbigliamento come Benetton, Zara, H&M); “grandi magazzini”, che trattano diverse linee di prodotti, con vasto assortimento e suddivisi in locali spesso autonomi tra loro (es. La Rinascente, Harrods etc.); “supermercati”, che trattano linee di prodotti prevalentemente di tipo alimentare e per uso domestico, venduti in genere in ampi locali (es. Coop, Esselunga, Conad etc.); “dettaglianti off-price”, che acquistano merce dai grossisti a prezzi ridotti e la rivendono ai consumatori finali a prezzi inferiori rispetto quelli di mercato. Tali costi inferiori sono spesso giustificati dal fatto che lo stock di merce acquistata all’ingrosso costituisce rimanenza o eccedenza di produzione (in ogni caso merce in magazzino), ovvero presenta dei vizi o delle imperfezioni. Rientrano in questa tipologia i “factory outlet” o più comunemente “outlet” (esempi in Italia sono Franciacorta Outlet Village, The Mall, Fidenza Village etc.) ovvero i dettaglianti “off-price indipendenti” (es. T J Maxx).
[3] Il comma 3 dell’art. 3 della L. n. 129/2004 prevede che, in caso di contratto stipulato a tempo determinato, “l'affiliante dovrà comunque garantire all'affiliato una durata minima sufficiente all'ammortamento dell'investimento e comunque non inferiore a tre anni”.
[4] Cfr. Corte d’Appello Napoli, Sez. III, del 03/03/2005; Pret. Milano, 21/0/1992.  Cfr. anche Cass. n. 647 del 15/01/2007.
[5] Art. 3, comma 3 L. n. 129/2004.
[6] Nella prassi, nei contratti commerciali la durata del franchising tende ad essere ben maggiore di tre anni, sino ad arrivare a nove anni, anche in conformità alle leggi in materia di locazioni commerciali.
[7] Ai sensi dell’art. 1, comma 3 lett. a) della L. n. 129/2004, per “know-how” s’intende “un patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate derivanti da esperienze e da prove eseguite dall'affiliante, patrimonio che è segreto, sostanziale ed individuato; per segreto, che il know-how, considerato come complesso di nozioni o nella precisa configurazione e composizione dei suoi elementi, non è generalmente noto nè facilmente accessibile; per sostanziale, che il know-how comprende conoscenze indispensabili all'affiliato per l'uso, per la vendita, la rivendita, la gestione o l'organizzazione dei beni o servizi contrattuali; per individuato, che il know-how deve essere descritto in modo sufficientemente esauriente, tale da consentire di verificare se risponde ai criteri di segretezza e di sostanzialità”.
[8] A tal proposito, l’art. 5 della L. n. 129/2004 dispone al secondo comma che “L'affiliato si impegna ad osservare e a far osservare ai propri collaboratori e dipendenti, anche dopo lo scioglimento del contratto, la massima riservatezza in ordine al contenuto dell'attività oggetto dell'affiliazione commerciale”.
[9] Cfr Decisione Commissione CE 02/12/1988089/94.
[10] Cfr. App. Milano, 09/10/2002; Trib, Lecce, 09/02/1990.
[11] In ordine alla durata del patto di non concorrenza, l’art. 2596 c.c. prevede che tale patto può avere una durata massima di cinque anni e deve essere circoscritto ad una determinata zona o a una specifica attività. Tuttavia, secondo la giurisprudenza prevalente l'art. 2596 del codice civile non si applica alle fattispecie oggetto di franchising. Di conseguenza, un patto di non concorrenza inserito in un contratto di franchising non sarebbe soggetto ai limiti previsti dall’art. 2596 del Codice civile, e, pertanto, in linea di principio le parti potrebbero disciplinare liberamente il patto di non concorrenza. Tuttavia, poiché il patto di non concorrenza produce l’effetto di comprimere la libertà di iniziativa economica dei contraenti, esso soggiace ai principi previsti dalle norme antitrust. In tale prospettiva i contratti di franchising sono soggetti alle norme antitrust europee, e in particolare al Regolamento CE n. 330/2010, direttamente applicabile anche ai contratti di franchising stipulati in Italia. Con riferimento ai patti di non concorrenza post-contrattuale, il Regolamento comunitario prevede che essi: a) devono essere necessari per la protezione del know-how del franchisor; b) devono riferirsi a beni o servizi in concorrenza con quelli oggetto del contratto di franchising; c) devono essere limitati ai locali in cui il franchisee ha operato durante il contratto; d) non possono avere una durata superiore a un anno dopo il termine del contratto.