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Pubbl. Mar, 7 Nov 2017

Danni derivanti da caduta nel cimitero: il Comune non ne risponde. Analisi della fattispecie dell´art. 2051 c.c.

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Simona Rossi


Respinta la domanda di risarcimento avanzata da una donna che, recandosi alla propria cappella presente nel cimitero, anziché utilizzare le strade asfaltate, attraversava le aiuole ed inciampava su dei tubi, ben visibili, collocati a terra. Per i giudici la responsabilità da cosa in custodia è esclusa qualora sussista il caso fortuito.


Sommario: 1. Il fatto; 2. La decisione della Corte d’Appello; 3. Osservazioni.

1. Il fatto.

Nel 2006, come da sua abitudine, una signora si recava presso il cimitero comunale per cambiare i fiori innanzi le tombe dei propri cari, collocate in una cappella privata situata all’interno del cimitero. Orbene, la signora, anziché percorrere le strade del cimitero (asfaltate) decideva di attraversare un’aiuola (zona non finalizzata al calpestio) e finiva per inciampare su un tubo per l’irrigazione. In seguito alla caduta, riportava lesioni personali tra cui la frattura della rotula. La signora decideva allora di citare in giudizio il Comune, proprietario e custode del cimitero, al fine di vedersi riconosciuti il risarcimento dei danni, patrimoniali e non, accorsi a seguito della predetta caduta. L’attrice basava la propria domanda sull’assunto che la caduta fosse stata causata dalla presenza di tubature che, essendo ricoperte da foglie e detriti, risultavano non visibili né tantomeno prevedibili nonché sulla circostanza per cui il Comune andasse riconosciuto unico responsabile dell’accaduto per non aver provveduto alla manutenzione né aver segnalato il pericolo.

Il Giudice di prime cure aveva però ritenuto che la responsabilità dell’accaduto fosse ascrivibile unicamente alla condotta dell’attrice la quale, camminando in una zona non destinata al calpestio invece di adoperare le strade asfaltate, inciampava su un tubo che, tra l’altro, era visibile e pertanto evitabile utilizzando l’ordinaria diligenza. Alla luce di tutto ciò, il Tribunale rigettava la domanda attorea.

Avverto tale pronuncia, la signora proponeva appello lamentando che il giudice di primo grado non avesse tenuto conto di quanto disposto dall’art. 2051 c.c. che riconosce in capo anche agli enti di Pubblica Amministrazione una responsabilità “oggettiva” per i danni derivanti da cose in custodia. L’appellante sosteneva che il Comune dovesse essere ritenuto responsabile per la sua condotta omissiva non avendo, infatti, esercitato un’adeguata attività di controllo finalizzata a limitare i pericoli per terzi né aveva posto in essere misure atte ad evitare l’insorgere di incidenti come quello verificatosi nel caso di specie. Inoltre, l’appellante poneva in risalto come dalle allegazioni documentali e dall’escussione dei testi, risultasse provato che i tubi a causa dei quali la donna era inciampata, non risultassero segnalati in alcun modo e dunque, nella denegata ipotesi di non accoglimento della domanda di condannare l’ente in via esclusiva per l’accaduto, andava quanto meno riconosciuta una co-responsabilità e, quindi, il riconoscimento della responsabilità in capo all’ente e della co-responsabilità (ex art. 1227 che prevede, infatti, il caso del concorso del fatto colposo del creditore) in capo alla danneggiata.

2. La decisione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello di Lecce ha però stabilito che non dovesse essere riconosciuta alcuna responsabilità in capo all’ente per i danni occorsi in quanto la responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. è esclusa nel caso si tratti di caso fortuito. I giudici di secondo grado hanno ritenuto che il comportamento della signora fosse idoneo ad escludere la predetta responsabilità in quanto il suo comportamento interrompeva il nesso causale tra la cosa in custodia e l’evento produttivo del danno. Infatti la donna, per recarsi alla propria cappella privata all’interno del cimitero comunale, anziché adoperare le strade asfaltate deputate al calpestio decideva di attraversare le aiuole, finendo con l’inciampare su tubi (anche ben visibili) collocati in terra: la Corte territoriale, nella sua pronuncia, ha evidenziato come dalla documentazione fotografica fosse emerso che le tubature non interessassero i corridoi di accesso alle cappelle private bensì le aiuole che certamente non erano destinate al normale calpestio! Sulla base di ciò, i giudici collegiali hanno ritenuto che il comportamento colposo della danneggiata che aveva posto in essere una condotta imprudente (infatti aveva consapevolmente scelto di attraversare le aiuole anziché utilizzare le zone asfaltate e non aveva prestato neanche la necessaria attenzione che l’ordinaria diligenza impone) escludesse la responsabilità in capo all’ente appellato. Fattore determinante nella scelta dei giudici è stata anche la circostanza che l’appellante si recasse spesso nel cimitero per cui era a conoscenza della presenza dei tubi che, pertanto, avrebbe ben potuto evitare.

Di qui, il rigetto della domanda avanzata dalla ricorrente, con condanna della spessa al pagamento, in favore del Comune appellato, delle spese del gravame.

3. Osservazioni.

In materia di responsabilità da cose in custodia (art. 2051 c.c.), la giurisprudenza appare conforme nel ritenere che tale responsabilità, essendo ormai pacifico che sia invocabile anche nei confronti della Pubblica Amministrazione, abbia natura “oggettiva” in quanto per la sua configurazione non rileva la condotta del custode né l’osservanza dell’obbligo di vigilanza ma è sufficiente sussista il nesso causale tra cosa in custodia e danno arrecato, pur ricordando che qualora si verifichi il cd. “caso fortuito” il “custode” è liberato dalla responsabilità.

L’art. 2051 c.c. nella sua formulazione prevede, infatti, che il custode possa liberarsi della responsabilità de quo solo provando il “caso fortuito” pertanto, in mancanza di tale prova vige la presunzione della responsabilità. Va precisato che con la dicitura “caso fortuito” si intende un elemento esterno che si caratterizzi per imprevedibilità e inevitabile neanche con l’ordinaria diligenza. Suddetto caso fortuito, inoltre, può essere integrato (come, ad esempio, nel caso di specie!) dal comportamento dello stesso danneggiato, che può infatti essere considerata responsabile esclusiva del danno occorso ovvero partecipare all’evento con il custode, a titolo di concorso causale colposo (ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c.).

Dunque la prova non consiste nella dimostrazione del comportamento diligente tenuto dal custode bensì provando l’esistenza di suddetto casa fortuito.

Il ruolo liberatorio rappresentato dal “caso fortuito” è stato ribadito dalla Suprema Corte che con la sentenza n. 15761/2016 ha chiarito che il custode è tenuto a fornire “la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità”.[1]

Da tutto ciò si deduce, infatti, la natura “oggettiva” della responsabilità di specie: si può osservare, del resto, come per la sua configurabilità è sufficiente dimostrare il nesso causale tra res in custodia e danno arrecato.

In merito alla fattispecie di cui si discute, va osservato che l’applicazione dell’art. 2051 c.c. alla Pubblica Amministrazione, ora pacificamente riconosciuta, ha rappresentato una questione assai discussa. In passato, la giurisprudenza di legittimità riteneva che tale responsabilità non potesse essere applicata alla P.A. in quanto si faceva riferimento al concetto di “insidia e/o trabocchetto” (costituito dall’elemento oggettivo della non visibilità del pericolo e dall'elemento soggettivo della non prevedibilità), in combinato disposto con la previsione di cui all’art. 2043 c.c. e, conseguentemente, si riteneva che, considerata la vastità ed estensione del patrimonio pubblico, non si potesse ipotizzare che dalla semplice custodia derivasse una qualche responsabilità di tipo oggettivo. In particolare, con riferimento ai danni causati dalla cattiva manutenzione delle strade, la giurisprudenza di legittimità, in considerazione della vasta estensione della rete stradale, riteneva non vi potesse essere né controllo né vigilanza: pertanto, il danneggiato doveva dimostrare la responsabilità in capo all’ente ai sensi del generale principio del neminem laedere (art. 2043 c.c.) e dunque fornire la prova che la strada fosse mal conservata e costituisse insidia.

Tale orientamento appariva piuttosto consolidato fino alle pronunce della Suprema Corte di Cassazione che dal 2003, che influenzate da una pronuncia della Corte Costituzionale (n. 156/1999, in merito alla legittimità costituzionale degli artt. 2043, 2051 e 1227, 1° comma, c.c. in rapporto agli artt. 3, 24 e 97 Cost), mutarono radicalmente il quadro giurisprudenziale (sentenza n. 298/2003 e 488/2003) con cui gli ermellini riconoscevano che anche la P.A. potesse essere ritenuta responsabile ai sensi dell’art. 2051 c.c.[2].

Difatti, anche a causa di numerose critiche dottrinali, si comprese che ritenere non applicabile alla P.A. la responsabilità da custodia, ma solo quella ex art. 2043 c.c., rappresentasse un ingiustificato privilegio mentre l’applicazione dell’art. 2051 c.c. consente di salvaguardare e bilanciare gli interessi in gioco. Con le sentenze n. 3651[3] e 15384[4] del 2006, la Cassazione ha stabilito che la responsabilità ex art. 2051 c.c. per i danni conseguenti all'omessa od insufficiente manutenzione delle strade pubbliche trova applicazione nei confronti della p.a., ogni qualvolta non è ravvisabile l'oggettiva impossibilità dell'esercizio del potere di controllo sul bene a causa della notevole estensione e dell'uso generale e diretto da parte dei terzi; la responsabilità per i danni conseguenti ad omessa o insufficiente manutenzione delle strade pubbliche comporta presunzione di responsabilità a carico della pubblica amministrazione, vincibile con la prova del fortuito, consistente nella dimostrazione della mancanza di colpa da parte del custode, senza che possano assumere rilievo figure quali l'insidia o il trabocchetto determinante pericolo occulto.

Si affermava, dunque, la natura oggettiva della responsabilità da cose in custodia in virtù della considerazione per cui il custode non è tenuto all’osservanza di un obbligo di vigilanza (diversamente dal depositario) ragion per cui affinché sia riconosciuta la responsabilità di cui si discute è sufficiente provare il nesso causale tra la res custodita e l’evento dannoso (come evidenziato, la responsabilità del custode è vincibile solo nel caso in cui provi la sussistenza del cd. caso fortuito[5]).

Per effetto di tali pronunce (e di altre che si sono poi susseguite[6]), la giurisprudenza appare ormai concorde nel ritenere che la responsabilità di cui all’art. 2051 c.c., con le connotazioni appena evidenziate, sia applicabile anche nei confronti della Pubblica Amministrazione.

Infine, è bene osservare che, alla luce della giurisprudenza dominante che si è avuto modo di citare, siccome l’art. 2051 c.c. prevede un’ipotesi di responsabilità oggettiva, gli elementi soggettivi non vanno tenuti in considerazione se non per la prova liberatoria: pertanto, insidie e trabocchetti, che avrebbero lo scopo di dimostrare la “colpa” della P.A. non costituirebbero elementi della fattispecie in esame che per l’appunto si caratterizza come “responsabilità oggettiva” (per cui le ipotesi di responsabilità dell’ente non sono limitate ai casi in cui sussista il “pericolo occulto”, appunto insidia e/o trabocchetto, anche se è pur vero che nella casistica generale delle sentenze che applica la fattispecie in esame ricorre suddetta figura).

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Sul punto, la Suprema Corte ha poi chiarito che “anche se la responsabilità del custode di una strada per dissesti stradali integra un’ipotesi di responsabilità oggettiva che pone la dimostrazione del nesso eziologico tra la cosa in custodia e l’evento lesivo a carico del danneggiato e la prova dell’esistenza del caso fortuito a carico del custode, il nesso eziologico non può dirsi provato ove la cosa in custodia non mostri di possedere elementi particolari di lesività e l’evento dannoso risulti ascrivibile alla condotta negligente del danneggiato, posto che la nozione di caso fortuito va intesa in senso lato, quale fattore autonomo e imprevedibile che, interrompendo il nesso causale tra cosa e danno, libera il custode dalla responsabilità di cui all’art. 2051 c.c.” (Cass. civ., 4 ottobre 2013, n. 22684; Cass. civ., 14 giugno 2016, n. 12174; Cass. civ., 18 febbraio 2014, n. 3793). Inoltre, permane pur sempre il criterio per cui nel caso vi sia oggettiva impossibilità della custodia (si noti che tale impossibilità che fino al 2003 era presunta ora va provata!). Difatti i giudici della Corte di Cassazione hanno ribadito che “la configurabilità della possibilità in concreto della custodia deve essere indagata non soltanto con riguardo all’estensione della strada, ma anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che lo connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico appresta, in quanto tali caratteristiche acquistano rilievo condizionante anche delle aspettative degli utenti, rilevando ancora, quanto alle strade comunali, come figura sintomatica della possibilità del loro effettivo controllo, la circostanza che le stesse si trovino all’interno della perimetrazione del centro abitato” (Cass. civ., 28 settembre 2012, n. 16540).
[2] L. D’Apollo “Danno da insidia stradale”, Giappichelli editore, II edizione, pp. 58-60.
[3]L'obbligo di vigilanza e controllo, e di adottare tutte le misure idonee per rendere innocua la cosa e non arrecare danno a terzi, che già in base al dovere generale del neminem laedere trova la propria fonte, a fortiori sussiste in ipotesi di responsabilità aggravata, come quella per custodia ed art. 2051 c.c., che costituiscono espressione di maggior favore per il danneggiato.” Cassazione Civile, sez. III, 20 febbraio 2006, n. 3651
[4]A fronte del suddetto tradizionale orientamento giurisprudenziali tradizionale (nda riferimento alla precedente pronuncia n. 3651/2006), che individuava nella norma in questione un caso di presunzione di colpa, per cui il fondamento della responsabilità sarebbe stato pur sempre il fatto imputabile dell'uomo (nella specie del custode), che era venuto meno al suo dovere di controllo e vigilanza perchè la cosa non producesse danni a terzi (in questo senso, in buona sostanza, è anche la suddetta Cass. n. 3651/06), la maggioranza della dottrina recente ritiene che il comportamento del responsabile è estraneo alla fattispecie e fa quindi giustizia di quei modelli di ragionamento che si limitano ad accertare la colpa del custode, sia essa presunta o meno, parlando in proposito di caso di responsabilità oggettiva. La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia (art. 2051 c.c.) ha carattere oggettivo e, perchè possa configurarsi in concreto, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto la nozione di custodia nel caso rilevante non presuppone nè implica uno specifico obbligo di custodire analogo a quello previsto per il depositario, e funzione della norma è, d'altro canto, quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, dovendo pertanto considerarsi custode chi di fatto ne controlla le modalità d'uso e di conservazione, e non necessariamente il proprietario o chi si trova con essa in relazione diretta. Ne consegue che tale tipo di responsabilità è esclusa solamente dal caso fortuito, fattore che attiene non già ad un comportamento del responsabile bensì al profilo causale dell'evento, riconducibile non alla cosa che ne è fonte immediata ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell'imprevedibilità (rilevante non già ad escludere la colpa bensì quale profilo oggettivo, al fine di accertare l'eccezionalità del fattore esterno, sicchè anche un'utilizzazione estranea alla naturale destinazione della cosa diviene prevedibile dal custode laddove largamente diffusa in un determinato ambiente sociale) e dell'inevitabilità, a nulla viceversa rilevando che il danno risulti causato da anomalie o vizi insorti nella cosa prima dell'inizio del rapporto di custodia (ex multis Cass. 10/03/2005, n. 5326; Cass. 10/08/2004, n. 15429, Cass. 15/03/2004, n. 5236; Cass. 15/01/2003, n. 472; Cass. 20/08/2003, n. 12219; Cass. 9/04/2003, n. 5578; Cass. 15/01/2003, n. 472; Cass. S.U. 11.11.1991, n. 12019; Cass. 17.1.2001, n. 584).(…) Il profilo del comportamento del responsabile è di per sè estraneo alla struttura della normativa; nè può esservi reintrodotto attraverso la figura della presunzione di colpa per mancata diligenza nella custodia, giacchè il solo limite previsto dall'articolo in esame è l'esistenza del caso fortuito ed in genere si esclude che il limite del fortuito si identifichi con l'assenza di colpa. Va, quindi, affermata la natura oggettiva della responsabilità per danno di cose in custodia.” Cassazione Civile, sez. III, sentenza 06/07/2006 n° 15384
[5] Il custode (ossia anche la P.A. quando si tratti di res pubblica) ha l’onere di provare i fatti impeditivi della propria responsabilità, quali la possibilità per l’utente di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la suddetta anomalia, o l’impossibilità di rimuovere, adottando tutte le misure idonee, la situazione di pericolo (confr. Cass. 6 luglio 2006, n. 15383; Cass. civ. n. 15384/2006).
[6] Con le successive pronunce, i giudici di piazza Cavour hanno anche chiarito che “la responsabilità prescinde dall’accertamento del carattere colposo dell’attività o del comportamento del custode e ha natura oggettiva, necessitando, per la sua configurabilità, del mero rapporto eziologico tra cosa ed evento; la responsabilità prescinde, altresì, dall’accertamento della pericolosità della cosa e sussiste in relazione a tutti i danni da essa cagionati, sia per la sua intrinseca natura, sia per l’insorgenza di agenti dannosi, essendo esclusa solo dal caso fortuito, che può essere rappresentato – con effetto liberatorio totale o parziale – anche dal fatto del danneggiato, avente un’efficacia causale idonea a interrompere del tutto il nesso causale tra cosa ed evento dannoso o da affiancarsi come ulteriore contributo utile nella produzione del pregiudizio” (cfr. Cass. civ., 7 aprile 2010, n. 8229; Cass. civ., 19 febbraio 2008, n. 4279; Cass. civ., 5 dicembre 2008, n. 28811).