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Pubbl. Lun, 20 Nov 2017
Sottoposto a PEER REVIEW

La nullità del contratto di locazione non registrato alla luce della pronuncia delle SS.UU. della Corte di Cassazione.

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Vanessa Moscardi


La pronuncia in commento stabilisce il principio in virtù del quale la mancata registrazione del contratto di locazione di immobili ne comporta nullità. Purtuttavia ammette la registrazione tardiva dello stesso con efficacia ex tunc che retroagisce al momento di stipulazione del contratto.


Sommario: 1. Premessa. 2. La fattispecie concreta. 3. Il quadro normativo di riferimento e la pronuncia interpretativa della Corte Costituzionale. 4. Le contrastanti linee ermeneutiche di matrice dottrinale e giurisprudenziale. 5. Profili di criticità sul piano teorico e applicativo

1. Premessa.

La pronuncia n. 23601 del 09/10/2017 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione si esprime su una questione che ha occupato un posto primario nel diacronico dibattito giurisprudenziale e dottrinale, inserendosi altresì nell’alluvione normativa di cui è stata oggetto la materia locatizia.

La sentenza in commento, dopo aver ripercorso gli orientamenti ermeneutici contrastanti di dottrina e giurisprudenza, i quali individuano talvolta la nullità del contratto di locazione non registrato, talaltra la sua inefficacia giacché l’inosservanza di un adempimento fiscale non è idoneo ad assurgere a causa di nullità del negozio, prende le mosse dalla Legge finanziaria 2005 (Legge 30 dicembre 2014, n. 311) che all’art. 1, comma 346, con una inedita spregiudicatezza rispetto alle categorie dogmatiche tradizionali della teoria del negozio giuridico, prevede la nullità del contratto per omessa registrazione dello stesso.

In questo contesto s’inserisce la pronuncia in commento, la quale stabilisce il principio di massima in virtù del quale la mancata registrazione del contratto di locazione di immobili ne comporta nullità. Purtuttavia ammette la registrazione tardiva dello stesso con efficacia ex tunc che retroagisce al momento di stipulazione del contratto.

Dipoi statuisce la nullità del patto aggiuntivo col quale le parti di un contratto di locazione ad uso non abitativo concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato col contratto originario; detta nullità “vitiatur sed non vitiat”, con la conseguenza che solo il patto risulterà insanabilmente nullo, a prescindere dall'avvenuta registrazione.

2. La fattispecie concreta.

La pronuncia in esame trae origine dalla vicenda di cui al prosieguo.

In primo grado il locatore di un immobile ad uso non abitativo agiva in giudizio contro il conduttore intimandogli lo sfratto per morosità per il mancato pagamento di due rate mensili del canone locatizio, sulla base di un contratto di locazione stipulato tra le parti e registrato all’Agenzia delle Entrate per un importo del canone di euro 1.200,00. Senonché con altro, contestuale e integrativo accordo, le parti convenivano, per il tramite di due differenti clausole, un canone di locazione di due diversi ammontare: l’uno di euro 5.500,00, l’altro di euro 3.500,00. Rispettivamente il primo definito “reale ed effettivo” rispetto a quello risultante da contratto, avrebbe dovuto trovare concreta applicazione laddove una o entrambe le parti avessero proceduto alla registrazione dell’accordo integrativo; mentre il secondo sarebbe dovuto essere corrisposto dal conduttore nell’ipotesi di mancata registrazione dell’accordo steso.

La parte conduttrice, nel resistere alla domanda attorea, deduceva di aver corrisposto il canone nell’ammontare previsto dal contratto, eccependo la invalidità del patto integrativo.

Il Tribunale di Catanzaro, con sentenza n. 3123/2011, escludeva l’inefficacia del contratto giacché la registrazione dello stesso, sebbene tardiva, vi era stata. Tuttavia ritenne nulla la pattuizione aggiuntiva, giacché contenente la illegittima previsione di un aumento automatico del canone. Di talché il Giudice di prime cure ritenevache il canone dovuto dal conduttore ammontasse ad euro 1.200,00, così come previsto dal contratto, non affetto da alcun vizio, né sul piano dell’efficacia né su quello della validità.

Il locatario proponeva appello avverso la prefata pronuncia.

La Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza n. 1281/2012, riteneva, in linea con quanto statuito dal Giudice di prime cure, che l’adempimento fiscale di registrazione del contratto, quantunque tardivo, fosse comunque avvenuto, sanando così ex tunc qualsiasi vizio ipotizzabile del contratto stesso. Il Collegio sosteneva, poi, diversamente da quanto stabilito dal Tribunale di primo grado, che la previsione contrattuale aggiuntiva valeva a configurarsi quale controdichiarazione attestante la simulazione relativa del prezzo, posta in essere per scopi di elusione fiscale. Sicché la pattuizione aggiuntiva, registrata prima dell’introduzione del giudizio, non era nulla, bensì risultava essere quella operante sin da subito tra le parti.

Avverso la testé citata sentenza, la conduttrice proponeva ricorso per Cassazione, deducendo, inter alia, la invalidità delle clausole contenute nell’accordo aggiuntivo.

La terza sezione civile, con ordinanza n. 16604 del 5 agosto 2016, ravvisando una questione di massima di particolare importanza, vieppiù in una materia contraddistinta da una diffusa contrattazione e sovente oggetto di controversie tra le parti, rimetteva la questione alla Sezioni Unite, sottoponendo alle stesse il seguente quesito:

“Se, in tema di contratti di locazione ad uso diverso da quello di abitazione, nell’ipotesi di tardiva registrazione (anche) del contestuale e separato accordo recante l’importo del canone maggiorato rispetto a quello indicato nel primo contratto registrato, sia configurabile un’ipotesi di sanatoria di tale nullità, ovvero se anche per le locazioni ad uso diverso da abitazione debba farsi applicazione del principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U., 17 settembre 2015, n. 18213, rv. 636471) con riferimento ai contratti di locazione ad uso abitativo, secondo il quale, su di un più generale piano etico/costituzionale, l’esclusione di una qualsivoglia efficacia sanante della registrazione tardiva consente di impedire che dinanzi ad una Corte suprema di un paese Europeo una parte possa invocare tutela giurisdizionale adducendo apertamente ed impunemente la propria qualità di evasore fiscale, e sia proprio la Corte di legittimità ad affermarne la liceità”.

Il Supremo Consesso nomofilattico, dopo un excursus dei contrastanti orientamenti dottrinali e giurisprudenziali sviluppatisi sulla nullità ovvero sull’inefficacia della omessa registrazione del contratto di locazione, ha espresso il principio di massima in base al quale il contratto di locazione, sia ad uso abitativo che non abitativo, è nullo ove non registrato. 

Il Collegio esteso della Cassazione ha poi operato una distinzione, tralasciata dalla giurisprudenza e dottrina che si sono occupate del tema, tra le ipotesi di totale omissione della registrazione del contratto contenente ab origine l’indicazione del canone realmente dovuto (in assenza dunque di un procedimento simulatorio) e le altre ipotesi di simulazione del canone con registrazione del solo contratto simulato recante un canone inferiore, cui acceda il patto aggiuntivo con una rideterminazione superiore dello stesso.

Sul piano morfologico e funzionale le suddette vicende negoziali differiscono notevolmente.

Il contratto non registrato risulta inesistente ai fini fiscali e nullo sul piano civilistico in forza dell’art. 1 comma 346 della Legge finanziaria 2005 (Legge 30 dicembre 2014, n. 311, che sarà approfondita in seguito).

La registrazione tardiva del contratto, in attuazione di un ravvedimento operoso del locatore, è ammessa dalla Suprema Corte, con effetti sananti ex tunc, quindi che retroagiscono al momento della stipulazione del contratto.

Diverso è il caso di un contratto debitamente registrato, contenente un’indicazione simulata dell’ammontare del canone, cui acceda una pattuizione aggiuntiva a latere non registrata e destinata a sostituire la determinazione (inferiore) del canone come prevista nel contratto originario registrato. L’accordo simulatorio aggiuntivo, giacché volto a celare un canone superiore rispetto a quello del contratto registrato, rivela una causa in concreto di elusione fiscale. Dal fatto di dal porre in essere una causa contraria alla norma tributaria, di cui all’art. 1 co. 346 della L. n. 311/2014, elevata dalla Corte Costituzionale[1] a norma imperativa, deriverebbe la nullità della convenzione negoziale ex art. 1418 I comma c.c.

3. Il quadro normativo di riferimento e la pronuncia interpretativa della Corte Costituzionale.

Dal particolare al generale, occorrono alcune considerazioni utili per meglio collocare e comprendere l’ambito in cui la sentenza in commento s’inserisce.

L’alluvione normativa che ha interessato la materia locatizia s’interseca con l’altrettanta copiosa giurisprudenza di riferimento.

In particolare l’interprete si trova a dover affrontare l’analisi logico-giuridica ricostruttiva di diversi aspetti che interessano la normativa eterogenea in subiecta materia: quello attinente al piano genetico di formazione del contratto in parola, della sua conclusione per effetto dello scambio dei consensi, trattandosi di un contratto consensuale ad effetti reali (di cui alle disposizione degli artt. 1571 e ss. c.c.) e quello disciplinante l’aspetto più propriamente fiscale-tributaristico (di cui alla corposa normativa speciale).

Segnatamente la legislazione speciale, per quanto d’interesse in questa sede, ha ad oggetto la registrazione del contratto. Il Testo Unico delle disposizioni sull’imposta di registro (D.P.R. n. 131/1986) all’art. 2, lett. a) e b) e l’art. 3, lett. a) prescrive la registrazione del contratto di locazione, stipulato sia in forma scritta che verbale; quanto al termine, l’art. 17, I co. del medesimo T.U., come modificato dall’art. 68 della Legge n. 342/2000, impone che l’adempimento debba avvenire entro trenta giorni dalla data dell’atto o della sua esecuzione (laddove si tratti di contratto stipulato oralmente). Dipoi ancora l’art. 17, V co., del medesimo D.P.R. ammette la registrazione tardiva.

La Legge 28 dicembre 2015, n. 208 – modificando l’art. 13 della Legge 9 dicembre 1998, n. 431 – stabilisce che è nulla ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone locatizio maggiore rispetto a quello indicato nel contratto scritto e registrato.

Altresì l’appena citato testo normativo prevede che dell’adempimento fiscale di registrazione del contratto deve farsene carico il locatore, nel termine perentorio di trenta giorni, dandone documentata comunicazione (entro i sessanta giorni successivi) al conduttore. Sicché tale disposizione, utilizzando espressamente la locuzione “temine perentorio” sembrerebbe non ammettere la possibilità di una registrazione tardiva “sanante”.

Nell’ambito di una politica di contrasto all’evasione fiscale, la suddetta legge prevede poi dei meccanismi di favore nei confronti nel locatario che agisca in giudizio sulla base dell’omessa registrazione del contratto, domandando l’accertamento dello stesso e la quantificazione del canone dovuto, che non potrà comunque eccedere il valore minimo, così come individuato dall’art. 2 ovvero dall’art. 5, II e III comma della l. n. 431/1998.

La disciplina di favore per il locatario si manifesta nitidamente nel momento in cui il legislatore prevede, quale (potenziale) effetto della domanda giudiziale suddetta, l’ottenimento da parte del giudice di una pronuncia che ordini la restituzione delle somme percepite in misura superiore al canone determinato giudizialmente.

Sul tema delle conseguenze derivanti dalla omessa registrazione, la L. n. 311/2004 all’art. 1, comma 346°, prescrive che i contratti di locazione (e più in generale quelli che costituiscono diritti reali di godimento) di unità immobiliari o di loro porzioni, in qualunque modo stipulati, sono nulli se non registrati.

La ratio legis ispiratrice di detta norma è evidentemente quella di contrastare il fenomeno dell’evasione fiscale.

La formulazione della disposizione in parola sembrerebbe prima facie non lasciare spazio a diverse interpretazioni da quella strettamente letterale, attesa la laconica chiarezza con cui prevede la nullità dei contratti di locazione non registrati. Cionondimeno ha dato adito ad un fervido dibattito giurisprudenziale e dottrinale poiché s’inserisce in modo innovativo[2] in un quadro di sistema in cui il piano di validità del contratto, afferente all’aspetto genetico di formazione dello stesso, è governato dal principio consensualistico ed è regolato da una valutazione giuridica, da un lato di tipo sostanziale dei requisiti del contratto e dell’assetto di interessi come divisato dalle parti, dall’altro di tipo formale sulla forma del contratto richiesta dalla legge.

Norma, quest’ultima, scritta sbrigativamente e che necessitava di una più attenta meditazione, atteso il modo semplicistico con cui il legislatore ricorre all’uso atecnico di un termine che, nella teoria del contratto, ha un significato ben preciso e non così facilmente estensibile sul piano semantico e dogmatico a fattispecie diverse da quelle cui tradizionalmente è ricondotto.

La norma in parola ha quindi ampliato – sul piano estensionale e intensionale – alla categoria delle locazioni non abitative il vizio della nullità nel contratto, nel caso di omessa registrazione dello stesso. In aggiunta a quanto già prevedeva l’art. 13 della L. n. 431/1998 (poi modificato dalla L. n. 208/2015) che si riferiva ai soli contratti ad uso abitativo e limitatamente ai patti aggiuntivi di maggiorazione del canone rispetto a quanto previsto dal contratto originario di locazione, il dettato di cui alla L. n. 311/2014 colpisce con la nullità non già e non solo i patti integrativi di rideterminazione del canone, ma incide a monte sul contratto di locazione, ove non registrato.

Talmente importuno è stato l’impatto della disposizione in parola sull’impianto della teoria del contratto, che la Corte Costituzionale[3] è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di detta norma, all’uopo affermando che questa eleva la norma tributaria al rango di noma imperativa, la cui violazione determina la nullità del contratto ai sensi dell’art. 1418 c.c.

In particolare il giudice del Tribunale di Torino invocava il giudice delle leggi ritenendo che il dettame di cui sopra fosse affetto da vizio di illegittimità costituzionale nella parte in cui prevedeva che i contratti di locazione sono nulli, se non sono registrati, per contrasto con l’art. 24 della Costituzione, perché, subordinando il rapporto civilistico all’adempimento di un onere, quale è la registrazione, che ha finalità esclusivamente fiscali, condizionerebbe all’adempimento di tale onere l’esercizio del diritto del locatore di agire in giudizio per ottenere il pagamento di quanto a lui spettante (il pagamento dei canoni locativi) in esecuzione del contratto stesso. In tale occasione il giudice delle leggi affermava, con una sentenza interpretativa di rigetto per infondatezza della questione di legittimità costituzionale, che la censura relativa all’art. 24 Cost. è inconferente, giacché il carattere sostanziale della norma denunciata non attiene alla materia delle garanzie di tutela giurisdizionale, limitandosi a sancire una nullità, sebbene non prevista dal codice civile.

4. Le contrastanti linee ermeneutiche di matrice dottrinale e giurisprudenziale.

Dottrina e giurisprudenza si sono interrogate sulla questione della nuova nullità derivante dalla omessa registrazione del contratto e sul punto si sono formati diversi indirizzi esegetici.

Secondo una tesi sostenuta da autorevoli Autori[4], la disposizione di cui alla L. n. 311/2004 individuerebbe un ulteriore elemento costitutivo del contratto di locazione, rendendolo a formazione progressiva. Sicché la mancata registrazione si atteggerebbe a elemento ultimo ma costitutivo del negozio che, ove mancante, ne determina la nullità.

Secondo altri Autori[5] la registrazione si configurerebbe come condicio iuris sospensiva, perciò nell’ipotesi in cui venisse omessa, il negozio risulterebbe privo di efficacia. Sicché una volta adempiuta la formalità richiesta dalla legge, il contratto dispiegherebbe i suoi effetti retroattivamente, sin dal momento della conclusione del contratto, ai sensi dell’art. 1360 c.c.

Quest’ultima tesi dottrinale è stata avallata da un primo e maggioritario orientamento esegetico della giurisprudenza di merito[6] e di legittimità[7], sulla base di un’interpretazione storico-sistematica ed antiletterale ed abrogatrice della norma per cui la violazione di una norma tributaria non può comportare la nullità del negozio. L’inosservanza dell’adempimento formale incide sul piano dell’efficacia del contratto, non già della sua validità. Sicché la registrazione si configura come condizione giuridica di efficacia o meno del contratto.

Secondo altro indirizzo ermeneutico giurisprudenziale[8], che prende le mosse da un’interpretazione letterale della norma e costituzionalmente orientata con l’art. 53 Cost, il contratto di locazione non registrato sarebbe affetto da nullità, sanabile ex nunc con la registrazione tardiva, per alcune pronunce; non sanabile, per altre.

In forza dell’art. 53 Cost. il dovere dei cittadini di contribuire alle casse dell’Erario, adempiendo agli obblighi di natura tributaria loro incombenti, è elevato a norma di rango costituzionale, qualificandosi dunque come norma cogente dell’ordinamento, giacché posta a presidio di valori ed interessi pubblici dell’ordinamento, non solo proibendo l’azione programmata ma vieppiù negando validità alla programmazione negoziale ad essa contraria.[9] Di talché il contratto non registrato risulterebbe nullo.

Di recente, in linea con tale ultima corrente, La Suprema Corte di Cassazione è intervenuta, prima della pronuncia oggetto della presente trattazione, con due sentenze del 2015. Rispettivamente, con la prima[10] introduceva il principio di inferenza/interferenza della norma tributaria sulla validità del contratto di locazione, deducendone la nullità del contratto non registrato; con la seconda[11] il giudice di legittimità si è interrogato sulla natura di tale nullità e – limitandola all’ambito delle locazioni ad uso abitativo a mentre dell’art. 1 comma 4 della L. n. 431/1998 – stabiliva si trattasse di nullità assoluta, rilevabile da entrambe le parti ed anche d’ufficio dal giudice, stante la ratio pubblicistica del contrasto all’evasione fiscale. Laddove, invece, come previsto dall’art. 13, comma 5 della medesima legge, la forma verbale del contratto veniva surrettiziamente imposta dal locatore, allora il contratto era affetto da nullità relativa di protezione, denunciabile dal solo conduttore.

5. Profili di criticità sul piano teorico e applicativo.

In ottemperanza ai principi generali regolatori la materia della formazione del negozio e della sua invalidità quale risposta dell’ordinamento a patologie che affliggono lo stesso nella fase genetica della sua costituzione, la nullità andrebbe riferita a vizi riguardanti appunto l’iter formativo e costitutivo dell’atto negoziale, non già a difetti derivanti da adempimenti successivi alla sua formazione, attinenti all’aspetto puramente tributario.

In una parola, facendo ricorso ai principi generali dell’ordinamento, il rapporto con il Fisco non potrebbe incidere sul più alto piano teorico di validità del negozio. Tale aspetto di validità potrebbe dipendere solo dalla formazione genetica dell’atto negoziale, regolata dalla disciplina generale del contratto.

Sul piano noumenico-concettuale, individuare la nullità in categorie ontologicamente diverse - quali risultano essere quella di formazione del negozio e quella di conformità dello stesso a regole fiscali - non solo attenta all’impianto teorico del sistema ordinamentale, ma tale violazione, non fermandosi al piano meramente astratto (come spesso avviene quando non si rispettano i principi generali del sistema), rischia di determinare delle distorsive e per certi versi assurde conseguenze applicative.

Né sembra totalmente risolutiva l’osservazione che si legge nella sentenza in commento con cui la Suprema Corte supera il problema teorico testé sollevato con la circostanza che nel nostro ordinamento esistono altri tipi di nullità non propriamente corrispondenti al tipo generale e astratto di matrice tradizionale, come quelle presenti nel Codice del consumo, di cui al d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206.

Si pensi, a titolo esemplificativo, all’ipotesi offerta dall’art. 67 septiesdecies del citato decreto legislativo che prevede la nullità del contratto qualora il fornitore ostacoli l’esercizio del diritto di recesso da parte del contraente, oppure non rimborsi le somme da questi eventualmente pagate o ancora violi gli obblighi informativi nella fase precontrattuale.

A ben vedere, però, le nullità previste dalla disciplina consumeristica assurgono ad ipotesi speciali di nullità: c.d. di protezione. Queste sono poste a tutela del consumatore perché considerato contraente debole e quindi sono state concepite, nella loro singolarità, quale eccezione del sistema che assurge a regola generale per le specifiche norme di settore, per tutelare un interesse particolare, del consumatore appunto, e non già poste a presidio dell’interesse generale della collettività, come deontologicamente e storicamente dovrebbero fare le nullità di cui all’art. 1418 c.c.

La nullità derivante dalla omessa registrazione, invece, viene ricondotta all’interno della fattispecie di cui all’art. 1418, quale nullità virtuale giacché violativa di una norma imperativa ovvero testuale poiché è la stessa legge a prevederla.[12]

Vero è che l'interesse sotteso alla politica di contrasto alla evasione fiscale risulta sicuramente di carattere generale, come tipicamente avviene per le nullità.

Dipoi sul piano delle conseguenze applicative derivanti dal principio di diritto enunciato dalla sentenza in commento, si pensi al fatto che una volta dichiarata la nullità del contratto di locazione non registrato, il locatore non potrebbe fruttuosamente agire in giudizio nel caso in cui il conduttore si renda moroso del pagamento dei canoni. Vieppiù, una volta accertata la nullità del contratto in virtù del quale il conduttore ha corrisposto le somme di denaro a titolo di canoni, scatterebbe la ripetizione dell’indebito delle suddette somme e il proprietario del bene locato avrebbe diritto solo ad un’indennità per un’occupazione che si configurerebbe sine titulo.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] C. Cost. 5 dicembre 2007, n. 420
[2] Al riguardo v’è da dire che in passato il r.d.l. 27/09/1941 n. 1015, all’art. 1, aveva previsto – limitatamente però ai contratti di alienazione di beni immobili – la nullità dell’atto ove non registrato. Tale legge è stata poi abrogata dal d.l. 22 dicembre 2008, n. 200 convertito con modificazioni dalla legge 18 febbraio 2009, n. 9. Al momento della sua entrata in vigore, e sino alla sua vigenza, la prefata disposizione aveva dato adito ad un dibattito in sede dottrinale del tipo di quello di cui al presente commento: cfr. sul punto Santoro Passarelli F., Atti non registrati. Nullità. Promessa verbale. Provvigione, in Riv. dir. civ., 1943, p. 194.
[3] C. Cost. 5 dicembre 2007, n. 420.
[4] Scripelliti N., Ganasce fiscali sulle locazioni non registrate: prime considerazioni di una nuova ipotesi di nullità, in Arch. Locaz., 2005, p. 395
[5] Giuggioli P. – Giuggioli F., La nuova locazione disciplina delle locazioni abitative. Lettura critica, Giuffrè, 1999, p. 116. Sul punto cfr. anche Vigna G., Finanziaria, le disposizioni dei commi da 341 a 344 e 346 del suo articolo unico in Arch. Locaz., 2005, p. 395.
[6] Trib. Modena, 12 luglio 2006, in Giust. civ. 2007, II, p. 484, con nota di Di Marzio M., La nullità del contratto di locazione per omessa registrazione.
[7] Cass. n. 8230/2010. Conf.: Cass. n. 16089/2003.
[8] Trib. Roma, n. 1597/2014.
[9] Cfr. sul punto Russo E., Norma imperativa, norma cogente, norma inderogabile, norma indisponibile, norma dispositiva, norma suppletiva in Riv. dir.civ., 2001, pp. 585 e ss.
[10] Cass. n. 18213/2015.
[11] Cass. n. 18214/2015.
[12] Sui diversi tipi di nullità (virtuale, strutturale e testuale) si veda Bianca C., Diritto civile, vol. III, Giuffrè, Milano, 2015, pp. 631 e ss.; Santoro Passarelli F., Dottrine generali del diritto civile, jovene, Napoli, 1997, p.248. Gentili A., Le invalidità, in I contratti in generale, a cura di Gabrielli, Torino, 1999, pp.1330 e ss.; Roppo V., Il contratto, in Trattato dir. priv., a cura di Iudica-Zatti, Giuffrè, Milano, 2001, pp.740 e ss.; Fratini M., Manuale di diritto civile, Roma, Nel diritto editore, 2017.