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Pubbl. Gio, 12 Ott 2017

Catalogna, le ragioni (di diritto) degli indipendentisti e degli unionisti

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Giuseppe Ferlisi
AvvocatoUniversità degli Studi di Salerno


In questo articolo si affrontano le questioni giuridiche utilizzate nella questione catalana da entrambe le ”fazioni”: dal principio di autodeterminazione dei popoli fino alla quasi impossibilità di una secessione democratica nei paesi di civil law, ripercorrendo la storia degli smembramenti di Stati nella prassi internazionale.


Premessa

Al momento in cui si scrive le vicende sono in corso di evoluzione e nessuno può pronosticare la conclusione della vicenda catalana, tuttavia in tale articolo si prova ad analizzare la vicenda in maniera asettica, provando a penetrare nelle ragioni di diritto, oltre che storiche, che sono alla base sia delle rivendicazioni catalane, sia della risposta del governo spagnolo che ritiene quello accaduto in Catalogna una vicenda illegale ed un attacco alla Monarchia.
Il giorno che passerà alla storia, spagnola e non solo, è quello del 1 ottobre, giorno in cui nella Regione autonoma della Catalogna si è svolto un referendum, unilaterlmente convocato, sulla propria indipendenza dal Regno di Spagna. L'amministrazione centrale, ritenendo tale iniziativa una violazione della Costituzione, lo ha dapprima dichiarato illegale e privo di efficacia, finendo poi con ricorrere all'uso della forza (probabilmente sproporzionata, e sicuramente poco utile laddove si voglia ricreare una identità nazionale probabilmente messa in crisi) con le immagini delle violenze e della repressione che hanno fatto il giro del mondo. 
Tale referendum ha avuto come esito il 90% circa dei votanti in favore della Dichiarazione Unilaterale d'Indipendenza (DUI), coinvolgendo tuttuttavia solo il 40% della popolazione catalana, seppur tale dato può essere oggetto di discussione a causa delle ostilità e delle azioni del governo centrale spagnolo quali il sequestro di urne e minacce di ripercussioni legali ai potenziali votanti, alterando probabilmente un dato di affluenza che poteva crescere, secondo gli stessi indipendentisti, al massimo fino al 60%.
Successivamente, il presidente della Catalogna ha convocato una seduta straordinaria del Parlamento regionale, seduta sospesa dalla Corte Costituzionale spagnola, che ha sospeso temporaneamenete i poteri straordinari del Parlamento catalano, fino alla seduta del 10 ottobre nella quale il presidente Catalano ha dichiarato l'indipendenza, sospendendo tuttavia gli atti consequenziali al fine di negoziare con il governo centrale spagnolo.

Le basi storiche della "rottura"

Nel 2010 la Corte Costituzionale (Tribunal Constitucional) della Spagna ha deciso nel senso di svuotare lo Statuto di autonomia approvato nel 2006 dal Parlamento catalano ed approvato dai cittadini catalani con un referendum, in cui si mirava ad aggiornare il testo approvato nel 1979, durante la transizione democratica attraverso un rafforzamento delle competenze del governo regionale. 
Il partito popolare (Pp) attualmente al Governo con Rajoy si è subito opposto effettuando una campagna molto aggressiva in tutta la Spagna, e acuendo il sentimento di disagio del popolo catalano, il quale ha basi e radici storiche tanto profonde da essere un vero e proprio "Stato nello Stato", con il riconoscimento di una lingua propria.
Dal quel momento molti catalani si sono sentiti espulsi dalla Spagna e ingannati dai grandi partiti spagnoli e la vicenda è stata interpretata a Barcellona come la rottura arbitraria del patto tra la Catalogna e lo Stato che si era forgiato dopo la morte di Francisco Franco, una dittatura che aveva già lasciato profondi solchi nel popolo catalano, con la soppressione dell'autonomia ed il divieto dell'uso della lingua catalana.
Ancor più recentemente, molteplici sono stati gli arresti di funzionari pubblici della regione Catalana, oltre che l'apertura di molteplici procedimenti penali a carico delle maggiori cariche della stessa per il reato di sedizione per aver proclamato e promosso il referendum unilaterale sull'indipendenza.

Il diritto all'autodeterminazione dei popoli invocato dagli indipendentisti

I maggiori sostenitori del movimento indipendentista poggiano le proprie rimostranze basandole sul principio di autodeterminazione dei popoli.
Tale diritto è stato riconosciuto in diversi documenti, per esempio nella Dichiarazione delle relazioni amichevoli tra gli Stati approvata con una risoluzione dell’Assemblea generale dell’ONU nel 1970.
Esso nasce con il fine di garantire ai popoli sottomessi al dominio coloniale di recuperare la propria indipendenza attraverso la secessione, chiamando questo “autodeterminazione esterna”.
Oltre gli episodi di decolonizzazione, il principio viene definito "interno", quale diritto a eleggersi un proprio parlamento e ad avere un proprio governo.
Secondo l'interpretazione maggioritaria, tale principio tuttavia non consente la creazione di un nuovo Stato indipendente; esiste, però, una corrente minoritaria che riconosce il diritto di un popolo ad esercitare l’”autonomia esterna” nei casi in cui il governo centrale lo discrimini ed in tal senso si può portare ad esempio il caso del Kosovo.
Il diritto all'autodeterminazione venne subito chiarito come essere assolutamente diverso da un diritto alla secessione, venendo più che altro trasposto nei diritti alle minoranze linguistiche e culturali, oggi riconosciuti da tutte le carte fondamentali.
Diritto all'autodeterminazione sì, ma solamente nel quadro di una unità statale ed applicabile quale diritto alla secessione solo agli stati oppressi ingiustamente.
Nel 2008, alla fine di un lungo periodo di guerra, gli albanesi kosovari si autoproclamarono indipendenti dalla Serbia.
Il loro Stato fu immediatamente riconosciuto da diversi Paesi del mondo, ma non da tutti, con la conseguenza che esso è considerato da parte del mondo uno Stato indipendente, senza però essere riconosciuto come tale dall'ONU, dove la Russia, contraria, ha potere di veto nell'ambito del Consiglio di Sicurezza.
Il problema è che il diritto internazionale non indica specificamente i passaggi per cui una "entità territoriale" possa o meno diventare uno Stato indipendente; tale status viene riconosciuto dall'esterno, da chi vuole riconoscerlo ed è più legata alla realtà, ed alla politica. che al diritto.
Se la Catalogna avesse ricevuto degli appoggi (politici) da altri Stati, staremmo oggi parlando forse di una situazione diversa.
In altre parole, il principio dell’autodeterminazione non ha comportato un riconoscimento, secondo il diritto internazionale, di un egual ‘diritto alla secessione’; i popoli non sottoposti a condizioni di ‘dipendenza’ propri dei popoli coloniali non avrebbero il diritto di rompere l’unità dello Stato di cui fanno parte in nome di tale principio, se non in forza di un diritto alla secessione riconosciuto dallo Stato stesso.

La questione del diritto alla secessione nella storia mondiale

Il dibattito sulla secessione è sorto fin dalla nascita del costituzionalismo: nel 1631 Althusius difendeva la secessione quale prerogativa naturale, atteso che il "contratto sociale" si basa su una libera adesione di parti legate da diritti e doveri, ma libere di recedere; del parere opposto, Hobbes, il quale riteneva che il patto iniziale della Costituzione privasse gli aderenti della facoltà di recesso.
La questione si ripropose con forza alla fine del 1700 nei nascendi Stati Uniti d'America, dove la costituzione di uno Stato federale però non fornì una risposta certa sul diritto alla secessione che si risolse con una guerra civile nel 1860 causata dalla dichiarazione di indipendenza dello Stato del North Carolina dopo l'elezione di Abramo Lincoln quale Presidente, quest'ultimo inviso agli Stati del sud per le sue dichiarazioni sull'abolizione della schiavitù. 
Tale questione si ripropose successivamente con il caso dello Stato del Texas, che tentò anch'esso una secessione fino alla pronuncia della Corte Suprema federale che statuiva come l'ammissione di uno stato all'Unione era più di un contratto ed era definitivo.
Nel secolo scorso, nel 1921, la Lega delle Nazioni si trovò a decidere della richiesta di indipendenza alla Finlandia avanzata dalle Isole Åland. Anche in tale occasione il diritto internazione sancì la mancata previsione del diritto alla secessione nel diritto positivo, statuendo che peraltro esso non potesse essere dichiarato unilateralmente, tranne che sia una soluzione ai casi di ingiustizia, come venne poi affermato ed utilizzato in occasione della fine del colonialismo.
Gli anni 90 hanno riproposto il tema della secessione con lo scenario post guerra fredda ed il crollo del muro di Berlino con forza; le questioni che si aprirono furono trattate in maniera eterogenea, con la guerra per gli stati baltici e balcanici e pacificamente con i recentissimi eventi che hanno riguardato la separazione della Serbia dal Montenegro nel 2003. 
Nel panorama internazionale l'unica apertura al diritto alla secessione sic et simpliciter fu operato dalla Corte Suprema canadese in seguito alla rivendicazione d'indipendenza del Québec.
La corte, in quell'occasione infatti affermò nel 1998 che "la Costituzione non è una camicia di forza", suggerendo allo Stato di negoziare laddove vi fosse stata una forte richiesta da parte degli aspiranti indipendentisti.
Tale sentenza ha un valore immenso se pensiamo alla sentenza americana dell'impossibilità di recesso dalla Costituzione dell'Unione.
La secessione continua a non essere espressamente posititivizzata dal diritto internazionale, proteggendo l’integrità territoriale degli Stati, rimandando ad essi la decisione sulla secessione di loro parti.
Per quanto concerne il diritto interno, essa è riconosciuta in un numero minimo di Costituzioni: la maggior parte, infatti, predilige il riconoscimento del principio di indivisibilità del territorio statale.

La decisione della Corte Costituzionale Spagnola avverso il Referendum Catalano

La Costituzione spagnola, votata ed approvata con un referendum popolare nel 1978, afferma che “la sovranità nazionale appartiene al popolo spagnolo, cui emanano i poteri dello Stato” e la forma politica “è la monarchia parlamentare“, sancendo “l’unità indissolubile della nazione spagnola, patria comune ed indivisibile di tutti gli spagnoli, riconoscendo e garantendo il diritto all’autonomia“.
Ovviamente può essere sottoposta a modifiche e  le revisioni costituzionali importanti o sui principi generali sono regolate dall’articolo 168, il quale prevede una maggioranza dei due terzi di ciascuna delle due Camere seguita dallo scioglimento delle Cortes; le nuove Camere devono poi di nuovo ratificare la decisione con una nuova doppia maggioranza dei due terzi. Infine, è necessario un referendum popolare, aperto a tutti i cittadini.
L'espressa previsione di una modifica della Carta Costituzionale, e quindi di un modo "legale" di procedere alla secessione, per quanto sia difficile, ha spinto  la Corte Costituzionale spagnola a bocciare all’unanimità, dichiarandolo nullo e incostituzionale, il referendum catalano.
Il parlamento catalano - dice la Corte - ”si è arrogato attribuzioni sulla sovranità superiori a quelle derivanti dall’autonomia riconosciuta dalla Costituzione, insistendo per introdurre nell’ordinamento giuridico con apparente validità un oggetto specifico: il presunto ‘processo costituente’ in Catalogna", la cui "incostituzionalità” è stata dichiarata numerose volte dallo stesso tribunale.
La corte spagnola ha affrontato anche il tema della presunta prevalenza della volontà popolare sulla legalità costituzionale, affermando che la stessa Costituzione non permette di “contrapporre la legittimità democratica e la legalità costituzionale” privilegiando la prima. Quindi “la legittimità democratica del parlamento della Catalogna non può opporsi al primato senza condizioni della Costituzione“.
Come prima accennato, la corte ha poi sospeso temporaneamente i poteri autonomi del parlamento catalano, annullando la seduta plenaria in cui il presidente della Catalogna avrebbe potuto dichiarare unilateralmente l'indipendenza, basando le proprie decisioni sulle "rilevanti e generali ripercussioni sociali ed economiche" che deriverebbero dalla dichiarazione di indipendenza e sul pericolo si produrrebbe - atraverso una dichiazione di tal tipo - una violazione della Costituzione ed un "annichilimento"dei diritti dei deputati nazionali; eventualità, questa,per la corte configura la "eccezionale urgenza" prevista dall'articolo 56 della Costituzione, già invocata dai socialisti catalani, giacché una tale decisione del Parlamento catalano "produrrebbe un pregiudizio di impossibile riparazione che rendere inutile la finalità del ricorso".

Secessione significa uscita automatica dall' Unione Europea?

Le istituzioni europee, quali la Commissione od il Presidente Junker hanno da subito avvertito la Catalogna che una sua dichiarazione uniterale di indipendenza porterebbe ad una uscita automatica dall'Unione Europa, monetaria e politica, con tutte le conseguenze da essa derivanti.
Sul punto tuttavia vi sono alcuni dubbi.
Nei casi di secessione, per la prassi internazione, si applica il principio della tabula rasa, ossia della non valenza degli accordi sottoscritti dalla parte di territorio "che ha subito il distacco", ma solo in riferimento a trattati bilaterali o multilaterali chiusi.
Quest'ultimi vengono definitii quali quei trattati che non prevedono la partecipazione di soggetti diversi da quelli originari attraverso adesione.
Di talché, l'Unione Europea è da considerarsi un trattato multilaterale aperto, ed in tali casi la prassi internazionale statuisce un temperamento del principio della tabula rasa:  lo Stato di nuova formazione può anziché aderire, procedere alla notificazione di successione: con tale atto la sua partecipazione retroagisce al momento dell’acquisto dell’indipendenza, potendo così emanare un atto con il quale dichiarare la propria volontà di voler proseguire nel trattato internazionale.
A parere di chi scrive, probabilmente nel caso della Catalogna e dell 'Ue il problema sarà più politico che di diritto, stante la possibilità concessa dalla prassi internazionale di consentire il proseguio del percorso catalano in Ue.

L'indipendenza nel common law: una via più facile e più utile alla coesione sociale.

Un tempo, oggi lontanissimo, il Diritto veniva riformato a colpi si sangue e morte: 1649, Inghilterra, le forze rivoluzionarie fedeli ad Oliver Cromwell decapitarono il re Carlo I d’Inghilterra.
A prescindere alle vicende strettamente storiche, che qui non si predendono di voler trattare in maniera diffusa, c’è un aspetto interessante di questi eventi: sia il monarca, sia  i diversi sostenitori della repubblica avevano come punto di riferimento l’antica “Magna Carta” del 1215.
Tutti guardavano a tale “costituzione”, rafforzando l'odierno modello di common law, che si differenzia in maniera profonda dal "nostro" civil law, perchè in esso le istituzioni basano le proprie scelte sulla tradizione giuridica dell’esperienza e non su patti costituzionali ex novo che vincolano popoli e fazioni politiche alla sua osservanza.
Alla prova dei fatti, il sistema del common law si è rivelato più efficace e democratico; basta pensare al recente caso legato all'indipendenza della Scozia, che ha permesso agli scozzesi di tenere un referendum sulla propria indipendenza dal Regno Unito, seppur non vinto e quindi senza creare nessuna allerta sociale o pericoli di guerra civile.
Viceversa, la Catalogna, facente parte del modello di civil law, ha portato Barcellona ad entrare in conflitto con Madrid nella necessità di superare un rigido patto costituzionale, e rappresentando una storica risoluzione di disobbedienza verso la Corte (e la Carta) Costituzionale spagnola.
Guardando al futuro, forse migliore scelta risiede nelle recentissime costituzioni, come quello del piccolo Principato del Liechtenstein, dove è riconosciuto diritto di secessione.

Può esistere una secessione democratica?

La posizione per cui la secessione sarebbe  in contraddizione con la stessa idea della Costituzione presenta punti di discussione interessanti. Semmai, visti i recenti sviluppi in ogni ordinamento, quello di inquadrare un processo secessionista democratico è una vera e propria sfida per il costituzionalismo. Immaginare un processo bilaterale, legale e consentito - sul modello scozzese ad esempio - è la via da seguire probabilmente dall'intero civil law.
Viceversa, anche sull'onda delle recenti vicende catalane, saranno sempre più numerose le istanze indipendentiste in vari Paesi e lasciare all'unilateralità tale decisione è fortemente pericoloso.
La soluzione ostruzionista, come quella praticata dal governo spagnolo, porta, come abbiamo visto, più problemi che altro, instaurando negli "oppressi" la convinzione di essere tali, oltre che a non aiutare ad un confronto democratico che ben potrebbe precipitare in una ennesima guerra civile.
Prevedere uno strumento democratico di secessione permetterebbe anche di non far prendere decisioni sull'onda dell'entusiasmo o dell'emozione; piuttosto, l'obiettivo dovrebbe essere quello di mirare ad un consenso informato con un referendum in cui verrebbe chiarito il quadro  delle conseguenze economiche, istituzionali, culturali conseguenti all’indipendenza.