Pubbl. Mer, 13 Set 2017
Resistenza a pubblico ufficiale: non è punibile la mancata collaborazione
Modifica paginaSdraiarsi davanti ad un auto per impedirne il sequestro integra un reato? La Cassazione si è recentemente pronunciata in proposito, sposando una posizione alquanto singolare.
Sommario: 1. Premessa: "Chi fa da sé fa per tre."; 2. Il caso; 3. L'art. 337 c.p.; 4. Conclusioni.
1. Premessa: "Chi fa da sé fa per tre."
Certamente, quando madri e nonne educavano con questo proverbio, mai avrebbero immaginato che esso potesse essere applicato anche al reato di resistenza passiva a pubblico ufficiale.
La Cassazione ha infatti recentemente affrontato la querelle che involge una mera condotta di non collaborazione e il reato disciplinato dall'art. 337 c.p. Quando un determinato atteggiamento può essere considerato semplice disaccordo e quando può essere punito ai sensi del Codice Penale?
La sentenza in commento (Cass. sezione VI, n. 36754/2017) ha esaminato talune questioni inerenti il delitto di resistenza a pubblico ufficiale, la contravvenzione del rifiuto di sottoporsi ad alcooltest (art. 186, co. 7, Codice della strada) e l'obbligo di dare avviso della facoltà di assistenza tecnica nel caso di accertamenti sullo stato di ebbrezza (art. 186, co. 3, Codice della Strada).
Nello specifico, ciò che richiama l'attenzione sono i presupposti della resistenza. Ma partiamo dal principio.
2. Il caso
La Corte è invero chiamata a pronunciarsi circa l'impugnazione dei due imputati contro la sentenza della Corte d'Appello di Bari che, dal canto suo, aveva confermato la sentenza di primo grado. Il giudice di prime cure ne condannava uno per resistenza e rifiuto e l'altro per concorso nella resistenza. Uno dei due, tra l'altro, era stato anche condannato per un illecito punito dall'art. 116 Codice della Strada.
La decisione della Corte barese viene in ogni caso annullata, nella parte in cui conferma la condanna degli imputati per il delitto di resistenza, in un caso perché si richiede un nuovo esame nel merito, nel secondo perché il fatto non sussiste.
Queste le condotte contestate.
C., primo dei due imputati, aveva inveito contro gli agenti che, trovatolo alla guida sprovvisto di patente (perché revocatagli dal Prefetto), stavano procedendo al sequestro dell’autoveicolo.
C. si lasciava andare ad uno sfogo verbale, affermava di essere sieropositivo e minacciava gli agenti che “gliela avrebbe fatta pagare”. La Sez. VI, nell’accogliere il motivo di impugnazione, ritiene che la condotta di C, così come ricostruita in sede di merito, non possa essere qualificata come resistenza, in assenza di un’evidenza di ciò in cui sia consistita «la situazione pericolosa» provocata dal soggetto attivo.
Parimenti non è stato verificato con sufficiente rigore se l’espressione da lui proferita fosse realmente (e non solo formalmente) minacciosa e dotata di una «effettività causale … a coartare o ad ostacolare l’agire dei pubblici ufficiali operanti, in ragione del dolo specifico che comunque deve sorreggere il comportamento del soggetto agente».
Il ricorso proposto da C. è accolto e la sentenza annullata con rinvio ad altra sezione della Corte territoriale.
La condotta realizzata da L., che viaggiava sull’autoveicolo con C., era consistita, invece, nello sdraiarsi davanti alla vettura, impedendo in tal modo agli agenti di avvicinarsi, e nel rifiutarsi di liberarla dai propri oggetti personali.
Un simile comportamento, per la Sez. VI, costituisce un mero atto di resistenza passiva privo del requisito della violenza e realizza, piuttosto, una mancata collaborazione non idonea ad integrare la condotta punibile. Il ricorso proposto da L. è accolto e la sentenza, nella parte cui confermava la condanna, è annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
3. L'art. 337 c.p.
Il bene giuridico tutelato dalla norma in esame è quello della sicurezza e della libertà di azione del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio contro fatti di opposizione violenta.
In buona sostenza, con tale norma si intende tutelare l'interesse della Pubblica Amministrazione a non subire intralci nel momento in cui, per assolvere ai suoi compiti istituzionali, deve procedere all'attuazione della sua volontà.
La sentenza in esame chiarisce rapidamente i presupposti del reato di cui all'articolo 337 c.p.:
- la minaccia, la quale alternativamente alla violenza, costituisce la condotta strumentale per opporsi al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio che compie l’ufficio o il servizio, non deve manifestare la mera contrarietà o la contestazione rispetto ad un’azione pregressa del pubblico ufficiale, quanto piuttosto la volontà di opporsi allo svolgimento dell’atto (1);
- la violenza, alternativa alla minaccia, deve concretarsi in un’aggressione oppositiva, cioè «operare un diretto condizionamento dell’attività posta in essere dai pubblici ufficiali»: ove manchi tale condizione non vi è collaborazione e la condotta si colloca al di fuori del precetto penale (2);
- infine, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, la resistenza a pubblico ufficiale richiede il dolo specifico: il soggetto agisce al fine di ostacolare l’attività del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio o, ancora, di chi a richiesta presta loro assistenza. Ne deriva che se la condotta in esame è realizzata per uno scopo differente da quello ora descritto, il soggetto non realizza una resistenza, ancorché la sua condotta non sia automaticamente indenne da penale responsabilità, potendo egli rispondere di altro reato (3).
4. Conclusioni
Alla luce di tutto quanto sopra esposto, si potrà osservare come i presupposti sopra descritti manchino nel caso di specie dove, per l'appunto, l'imputata non ha posto in essere alcuna violenza verso il pubblico ufficiale.
Il suo comportamento si risolve quindi in meri atteggiamenti non collaborativi che, non involgendo né la violenza né la minaccia, non possono essere puniti.
D'altra parte non si può non osservare la mancanza dell'elemento soggettivo. E' infatti richiesto il dolo specifico, visto come concreta intenzione di ostacolare il pubblico ufficiale. Circostanza che, non potendosi osservare, conferma la non sussistenza del reato.
Note e riferimenti bibliografici
(1) v. già Cass. pen. Sez. VI, n. 31544 del 2009;
(2) in tal senso v. anche Cass. pen. Sez. VI, n. 6069 del 2015;
(3) Cass. pen. Sez. VI, n. 36367 del 2013.