Pubbl. Mer, 19 Lug 2017
L´ammissibilità dei danni punitivi nell´ordinamento italiano
Modifica paginaLa recente sentenza n. 16601 del 2017 delle Sezioni Unite ha aperto la porta al riconoscimento dei danni punitivi nel nostro ordinamento.
La legge 69/2009 ha introdotto una novità legislativa all’art. 96 c.p.c. introducendo il terzo comma che recita “in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata.”
Questa norma ha creato non poche problematiche interpretative in quanto il nostro sistema di risarcimento del danno è fondato sul principio cardine rinvenibile nell’art. 2043 c.c. in base al quale vengono risarciti i danni che la condotta di un soggetto ha provocato, indipendentemente dal disvalore o dalla pericolosità del comportamento di colui il quale ha posto in essere un atto illecito. In altri ordinamenti (in particolare nell’ordinamento americano) esiste il principio dei danni punitivi che rappresentano un meccanismo di inasprimento della condanna collegato al disvalore del comportamento e alla sua diffusione e ripetibilità.
La nostra Corte di Cassazione fino al revirement di qualche giorno fa ha sempre negato l’esistenza dei danni punitivi nel nostro ordinamento non riconoscendo le sentenze straniere che prevedono tale istituto. Parte accreditata della dottrina ritiene che l’articolo 96 terzo comma sia ispirato alla logica del danno punitivo in quanto da un punto di vista funzionale “la norma risponde all’esigenza di scoraggiare, non ben ponderate, rivelatesi infondate: in tale prospettiva, anche quando non si integrino gli specifici presupposti della responsabilità aggravata, è attribuito al giudice il potere discrezionale di sanzionare la condotta (non temeraria ma pur sempre colposa) della parte soccombente, con contestuale riconoscimento, a favore della controparte, del diritto ad ottenere una somma di denaro, pur in assenza di un vero e proprio danno conseguente alla condotta avversaria.”[1] Allo stesso tempo dal punto di vista della natura della norma, tale dottrina ritiene che vi sia una pena pecuniaria “indipendente sia dalla domanda dell’avente diritto sia dalla prova del danno causalmente ascrivibile alla condotta processuale dell’avversario.”[2]
Tale orientamento dottrinale muove dall’inciso “in ogni caso” previsto al terzo comma dell’art. 96 c.p.c. in base al quale il giudice può, indipendentemente dall’applicazione dei primi due commi, condannare la parte soccombente al risarcimento del danno. La critica che si muove è duplice: infatti, da un lato sistematicamente il terzo comma dell’art. 96 c.p.c. è inserito nell’ambito delle forme di responsabilità aggravata e ciò significa che il presupposto per l’applicazione del terzo comma dell’art. 96 c.p.c. è comunque l’esistenza di un dolo o della colpa grave, perché altrimenti ci troveremmo di fronte a una norma che è al di fuori del suo contesto. La seconda critica mossa alla tesi del c.d. danno punitivo verte sul fatto che poiché il legislatore parla di una condanna d’ufficio di una somma equitativamente determinata, tale condanna non può essere collegata ad una forma di risarcimento per danno punitivo, perché al contrario sarebbe una norma incostituzionale per violazione del principio della domanda, in quanto il giudice potrebbe condannare il soccombente al risarcimento dei danni anche se il danneggiato non l’ha chiesto.
Alla luce di tali considerazioni, i c.d. danni punitivi non hanno trovato ingresso per molto tempo nel nostro ordinamento. Infatti la Suprema Corte aveva ribadito che “ nel vigente ordinamento il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo non è riconosciuto con caratteristiche e finalità punitive ma in relazione all’effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso né il medesimo ordinamento consente l’arricchimento se non sussista una causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale da un soggetto ad un altro.”[3]
Le Sezioni Unite con la sentenza del 5 Luglio 2017 n. 16601 si sono pronunciate in modo diverso rispetto all’orientamento consolidato, aprendo una breccia nel nostro sistema che potrebbe dar vita a un cambio di giurisprudenza radicale.
Le Sezioni Unite nel caso di specie si sono trovare di fronte al riconoscimento di tre sentenze statunitensi pronunciate in Florida ed avente ad oggetto la responsabilità motociclistica. Infatti le Sezioni Unite muovendo dal terzo comma dell’art. 363 c.p.c. in base al quale “il principio di diritto può essere pronunciato dalla Corte anche d’ufficio, quando il ricorso proposto dalle parti è dichiarato inammissibile, se la Corte ritiene che la questione decisa è di particolare importanza.”
Le Sezioni Unite nella sentenza in esame hanno precisato che “nel vigente ordinamento, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché sono interne al sistema le funzioni di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile.” Alla luce di tale ragionamento pertanto è possibile riconoscere l’applicabilità dell’istitutivo dei punitive damages all’interno del nostro ordinamento. Ma vi è di più perché “il riconoscimento di una sentenza straniera che contenga una pronuncia di tal genere deve però corrispondere alla condizione che essa sia stata resa nell’ordinamento straniero su basi normative che garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna, la prevedibilità della stessa ed i limiti quantitativi, dovendosi avere riguardo in sede di delibazione, unicamente agli effetti dell’atto straniero e alla loro compatibilità con l’ordine pubblico.”
Vale la pena soffermarsi sui limiti enunciati da tale sentenza in quanto non si è avuto un riconoscimento tout court dei punitive damages perché vi è comunque il limite della riserva di legge previsto dall’art. 23 Cost. Occorrerà vedere l’orientamento della giurisprudenza alla luce dei limiti stabiliti e alla luce della nozione di ordine pubblico internazionale per capire se tale pronuncia resterà isolata o darà vita a un riconoscimento effettivo e totale dei danni punitivi nel nostro ordinamento.
Note e riferimenti bibliografici
[1] P. Spaziani – F.Caroleo, Manuale di diritto processuale civile, NelDiritto Editore, pag. 131
[2] Op. cit.
[3] Sentenza n. 1781 del 2012