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Pubbl. Ven, 14 Lug 2017

Servitù: il caso delle tubature d’acqua condominiale sotto il pavimento di un appartamento

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Simona Rossi


La recentissima sentenza n. 14292 dell’8 giugno 2017 della Cassazione ha stabilito che nel condominio, i fili elettrici, quelli del citofono o dell’antenna satellitare centralizzata sono contenuti in corrugati che formano servitù a carico di tutti i condomini finalizzate al miglior godimento di ogni singola unità immobiliare di proprietà esclusiva.


L’art. 1027 del codice civile stabilisce la possibilità di porre in essere servitù che consistono nel peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente ad un diverso proprietario.

In generale, la servitù si connota come il rapporto tra fondi appartenenti a proprietari diversi: pertanto, il presupposto che fondo servente e fondo dominante appartengano a proprietari diversi è stato a lungo interpretato nel senso di escludere la possibilità che il diritto di proprietà ed altro diritto sulla cosa coesistessero in capo al medesimo soggetto. Tuttavia, di recente sia la dottrina che la giurisprudenza hanno ritenuto che il principio nemini res sua servit trovi applicazione soltanto quando un unico soggetto sia titolare della proprietà del fondo dominante e di quello servente e non nel caso in cui il proprietario di uno solo di questi sia comproprietario dell’altro. Pertanto, tale brocardo non trova applicazione in tema di condominio, in quanto in suddetta ipotesi non sussiste l’identità delle posizioni soggettive e, perciò, vi è la possibilità di costituire servitù sulle parti comuni dell’edificio a vantaggio degli appartamenti quando il condomino non usi le cose comuni ius proprietatis ma iure servitutis.

Tutto ciò premesso, la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 14292 dell’8 giugno 2017 ha stabilito che la sussistenza nello stabile condominiale di condutture d’acqua, cavi elettrici ed altri impianti nei muri perimetrali nonché divisori delle singole unità immobiliari, sorti sin dalla costruzione dell’immobile, data la loro rilevanza, fa sorgere una limitazione che va qualificata come servitù reciproca nell’interesse dell’intero condominio. Ciò considerato anche che, ex art. 1117 del codice civile, le tubazioni possono passare attraverso la facciata dell’edificio in quanto costituiscono un bene comune.

Nel caso di specie, il ricorrente conveniva in giudizio il condominio avendo scoperto, nel corso di lavori effettuati nell’immobile di sua proprietà, che nel pavimento del sua appartamento era collocata una tubatura idrica condominiale e, contestando l’esistenza di una servitù, chiedeva che il condominio fosse condannato alla rimozione. Il tribunale di Torino rigettava la domanda in quanto, dalle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, si appurava che la tubatura preesisteva all’atto di acquisto dell’immobile. Avverso tale pronuncia veniva proposto appello, il quale veniva anch’esso rigettato sulla base che nell’atto di compravendita dell’immobile, prodotto nel corso del giudizio, veniva provato l’acquisto della servitù in oggetto poiché nel suddetto atto veniva specificato che l’immobile veniva acquistato con tutte le servitù nonché i rapporti disciplinati dal regolamento condominiale (trascritto anteriormente all’atto d’acquisto). Pertanto, vi era compresa la comunione della conduttura di acqua. La Corte d’Appello, inoltre, rileva l’ininfluenza del dato che la servitù non fosse riconoscibile in assenza dei visibilità dell’opera, in quanto vi era stata l’accettazione globale del regolamento di condomino nonché la circostanza che la servitù determinata rientrasse, ex art 1061 del codice civile, nelle servitù predisposte dal buon padre di famiglia (n.d.a. nel caso di species, trattasi del costruttore). L’appellante vistosi rigettata la domanda, proponeva allora ricorso in Cassazione, la quale, nel pronunciarsi addiveniva all’elaborazione del principio per cui “non rileva che l’opera sia vista né che il proprietario del fondo che si assume asservito abbia, in concreto, conoscenza dell’esistenza dell’opera”.

Pur sempre premesso che il contratto di compravendita debba riportare in forma chiara ed inequivocabile l’esistenza di servitù condominiale e, nel caso di specie, la Cassazione ha constatato come nell’atto fosse riportata la servitù nonché l’irrilevanza che la servitù non fosse materialmente visibile al momento dell’acquisto. Conseguentemente a questa pronuncia, si evince che non è necessaria una conoscenza effettiva dell’opera della servitù essendo sufficiente la presunzione che il proprietario possa conoscerlo. Va rilevato, infine, che la Suprema Corte non ha esteso la propria valutazione alle altre eccezioni sollevate, dovendosi rammentare che il suo sindacato riguarda soltanto la legittimità e non potendo, quindi, estendersi alle valutazioni effettuate dal giudice di merito.