Il divieto di analogia: casi e questioni
Modifica paginaTerminata l´analisi del rapporto tra principio di precisione e divieto di analogia, occorre analizzare le varie sfaccettature di maggior rilievo derivanti da quest´ultima come: l´interpretazione estensiva, la stampa online ed infine l´analisi dell´istituto giuridico dello stato di necessità
Sommario: 1. Premessa; 2. Analogia ed interpretazione estensiva; 3. Analogia e stampa online; 4. Pronuncia delle S.U. n. 31022/2015; 5. Analogia; 6. Stato di necessità;
1. Premessa
L’analogia è una tecnica che l’ordinamento affida al giudice per colmare i vuoti di disciplina, come prevede l’art. 12 disp. prel. c.c., secondo cui, quando un caso non è disciplinato da una norma di legge il giudice può utilizzare:
- l’analogia legis: si ricorre ad essa quando, in presenza di una lacuna normativa, si applica al caso una norma che disciplina un caso diverso ma presenta un carattere di similitudine con il primo;
- l’analogia iuris: si ricorre quando, accertata l’impossibilità di utilizzare l’analogia legis, il giudice definisce il caso applicando i principi generali dell’ordinamento
In ambito penale, l’analogia è vietata dall'art. 14 disp. prel. c.c., il quale, prevede che l’analogia non è consentita:
- per le norme penali;
- per le norme eccezionali.
Premesso questo, ci si chiede se il divieto di analogia abbia carattere:
- assoluto: destinato ad applicarsi a tutte le norme penali, di favore e di sfavore, con conseguenza che sarebbe vietata sia l’analogia in bonam ma anche in malam partem;
- relativo: essendo vietata l’analogia in malam partem ma non anche quella in bonam partem.
2. Analogia ed interpretazione estensiva
Tuttavia prima di affrontare questo tema occorre interrogarsi sui rapporti tra analogia, vietata in ambito penale, e interpretazione estensiva, consentita.
Occorre chiedersi quando termina nel diritto penale l’interpretazione estensiva ammessa e quando inizia l’applicazione analogica vietata.
Questo tema è tipico del diritto penale, perché negli altri rami dell’ordinamento tale distinzione può rivelarsi un puro esercizio accademico, essendo l’analogia pacificamente ammessa.
- Interprestazione estensiva
Si suol dire che si interpreta la disposizione finchè le si attribuisce un significato compatibile con la sua formulazione letterale (la formulazione letterale della disposizione costituisce il perimetro entro il quale può e deve esplicarsi l’operazione interpretativa).
All’interno di questo perimetro, l’interpretazione va condotta utilizzando una serie di canoni:
- Interpretazione letterale;
- Interpretazione sistematica;
- Interpretazione cd. evolutiva o adeguatrice;
- Interpretazione costituzionalmente orientata;
- Interpretazione convenzionalmente orientata.
A seconda dei canoni interpretativi che si utilizzano, l’effetto interpretativo può essere di segno:
- Restrittivo: si ha quando il giudice desume dall’operazione interpretativa soltanto una parte del significato potenzialmente possibile.
- Estensivo: si ha quando il giudice chiarisce il significato della disposizione assegnandole tutta l’intera portata applicativa in astratto compatibile con il perimetro segnato dalla formulazione letterale della norma.
Con l’interpretazione estensiva il giudice chiarisce la portata applicativa della disposizione ma non integra l’ordinamento
- Analogia
Il giudice esce fuori dai significati possibili, alla luce della formulazione letterale, perché riconduce alla disposizione casi in essa non previsti che presentano un caso di similitudine con il caso ivi compreso.
Sicché l’analogia non è volta a chiarire il significato della disposizione ma a colmare le lacune dell’ordinamento, ad integrare l’ordinamento.
Questa distinzione concettuale tra interpretazione estensiva e analogia non è sempre semplice, un esempio classico è fornito dall’art. 593 c.p. (omissione di soccorso). Reato che prevede come omissione di soccorso il fatto di chi avendo trovato una persona inanimata non presta soccorso o non avvisi.
Ci si è chiesti che cosa debba intendersi con l’espressione "trovare".
Sul piano interpretativo all’espressione trovare può essere:
- sicuramente essere ricondotto sicuramente il caso un soggetto che per prima volta di imbatte in una persona gia inanimata;
- può essere ricondotto, in uno sforzo interpretativo che resta nei limiti dell’interpretazione estensiva, anche il caso in cui un soggetto non si imbatta per la prima volta in una persona già inanimata, ma che si imbatta in quella persona quando è in sé e che dopo il contatto fisico si venga a trovare in quella situazione di difficoltà descritta dalla norma.
Ciò che non può mai ammettersi, alla stregua di un’interpretazione estensiva, è l’applicazione dell’art. 593 c.p. a situazioni nelle quali il contatto fisico manchi del tutto.
Un esempio famoso riguarda il medico che, mentre si trova alla stazione, viene avvisato dal capo stazione dell’arrivo sul treno di una persona inanimata che ha bisogno di soccorso, ciononostante il medico va via.
Il medico è stato correttamente assolto.
I giudici hanno sostenuto che, anche alla stregua della più spinta interpretazione estensiva, il medico non si è trovato al cospetto di una persona inanimata, mancando il contatto fisico con la stessa, sicché il caso concreto sarebbe potuto essere ricondotto nell’art. 593 c.c. solo alla stregua di un’interpretazione analogica.
3. Analogia e stampa on line
Un problema analogo si è posto con il problema della stampa.
L’ordinamento reca una disciplina penale, in parte di sfavore in parte di garanzia, della stampa ,prevedendo in materia una serie di norme:
- norma incriminatrice ex art. 57 c.p.: peculiare ipotesi di responsabilità del direttore della testata giornalistica per omesso controllo;
- norma incriminatrice ex art. 16 L. 47/1948: prevede il reato di stampa clandestina, cioè il reato di chi pubblica il giornale senza aver previamente registrato la testata, come previsto dall’art. 5;
- norma costituzionale ex art. 21, comma 3, Cost.: prevede una serie di limiti alla sequestrabilità del prodotto risultante dall’esercizio della libertà di pensiero, allorchè questa libertà di pensiero si sia estrinsecata attraverso l’uso della stampa.
Ci si è chiesti se questa disciplina penale di tutela e di garanzia della stampa sia estensibile alla stampa online.
Il problema si è posto perché l’ordinamento reca una particolare nozione di stampa all’art. 1 L. 47/1948.
L’art. 1, L. 47/1948, dà una nozione di stampa richiedendo un prius e un posterius:
- il prius è dato dalla cd. introduzione topografica o con altri mezzi chimici o fisici;
- il posterius è dato dal fatto che il prodotto di tale attività di riproduzione sia destinato alla pubblicazione mediante distribuzione tra il pubblico.
Ci si è domandato se questi due connotati strutturali si prestino ad una interpretazione estensiva atta a ricondurre al regime della stampa anche la stampa on line.
Questa questione si è posta tre volte, analizzando tre questioni diverse :
- quella della estensibilità dell’art. 57 c.p., della responsabilità del direttore del giornale al direttore del giornale online;
La Cassazione, con riferimento all’ art. 57 c.p., ha concluso a più riprese per la non applicabilità al direttore della stampa online del regime di cui all’ art. 57 c.p.
Occorre evidenziare che l’art. 57 c.p. detta una disciplina particolare per il direttore del giornale: salva la responsabilità dell’autore della pubblicazione (giornalista), il direttore o vice direttore, il quale omette di esercitare sul contenuto del periodico, da lui diretto, il controllo necessario, è responsabile se un reato è commesso.
L’ art. 57 c.p. nasce come una ipotesi di responsabilità oggettiva in quanto, nella vecchia formulazione, non c’era scritto a titolo di colpa, come oggi invece si legge. Si prevedeva quindi che il direttore rispondesse penalmente per l’omesso controllo (responsabilità oggettiva). Oggi l’art. 57 reca l’espressione a titolo di colpa.
Con riferimento all’art. 57 si sono posti plurimi problemi interpretativi:
1) Il primo problema ha riguardato la natura oggettiva o colposa della responsabilità del direttore del giornale.
Perchè oggi si pone ancora questo problema se l’art. 57 reca l’espressione a titolo di colpa? Si pone perché la dottrina e la giurisprudenza si chiedono se l’espressione a titolo di colpa stia a pretendere che sia colposo il comportamento o che invece stia solo ai fini della ricostruzione degli effetti del trattamento sanzionatorio da riservare al direttore.
La giurisprudenza ritiene che l’ art.57 c.p. non contempli più un ipotesi di responsabilità oggettiva ma un’autentica ipotesi di responsabilità per colpa.
2) Il secondo problema ha riguardato la natura autonoma o concorsuale del reato previsto per il direttore del giornale.
Ci si chiede se il direttore risponda a titolo di concorso di persona o per un reato autonomo ex art. 57 c.p.
La questione non è priva di rilievi applicativi (es. la querela presentata nei confronti del giornalista è estensibile anche nei confronti del direttore ? La questione si risolve verificando se l’ ipotesi contemplata nell’ art. 57 c.p. sia un ipotesi di concorso o autonoma.La giurisprudenza propende per la natura autonoma
3) Il terzo problema ha riguardato l’interpretazione dell’espressione "reato commesso"; problema connesso a quello della fruibilità da parte del direttore del giornale di eventuali cause d’immunità di cui fruisca il soggetto intervistato (es. parlamentare che parla male di qualcuno mediante il giornale)
Con riguardo dell’estensibilità dell’ art. 57 c.p. al direttore del giornale online, la giurisprudenza ha sostenuto che la disciplina dell’art. 57 c.p. non è estensibile al direttore del giornale online perché la stampa online non presenterebbe i due connotati strutturali che caratterizzano la stampa ai sensi dell’art. 1 . 47/1948.
In caso di stampa on line:
- Manca la molteplice riproduzione su più supporti fisici sul testo redatto in originale.
- Manca la finalizzazione la destinazione del prodotto della riproduzione alla distribuzione del pubblico. C’è solo la visualizzazione online.
Tesi sostenuta dalla Cassazione nel 2008 e nel 2011. Altrimenti opinando si incorrerebbe in una interpretazione analogica, vietata in ambito penale.
A) Ipotesi della estensibilità dell’art. 16 della stampa clandestina alla stampa online non registrata.
La giurisprudenza ha preso atto che l’art. 16 si colloca in una legge che reca la nozione di stampa all’art. 1.
La Corte di Cassazione, con l'arresto numero 44126 del 2012, ha affermato che è vero che l’obbligo di registrazione sussiste sia per stampa cartacea che per la stampa online, tuttavia la registrazione prevista per la stampa online, a partire dal 2011, risponde ad altre finalità, e cioè non la finalità cui risponde la stampa cartacea, ma la registrazione è solo condizione per fruire di alcuni benefici economici. Quindi la registrazione per i giornali online è un onere e non un obbligo la cui inosservanza è penalmente sanzionata.
B) Ipotesi della fruibilità della disciplina di garanzia che l’ordinamento detta quanto ai limiti di sequestrabilità della stampa alla stampa on line.
Una parte della giurisprudenza, Cassazione n. 10594/2014, aveva in passato sostenuto la non applicabilità alla stampa on line di questa disciplina di favore prevista per la stampa cartacea.
In cosa consiste questa disciplina di favore?
L’art. 21 Cost. dopo aver costituzionalizzato il diritto di manifestare il pensiero, si sofferma su un veicolo di estrinsecazione di libertà della manifestazione del pensiero e cioè la stampa, assoggettandola ad una disciplina di particolare favore.
L’art. 21 Cost. prevede che la stampa:
- da un lato non può essere sottoposta a censura e ad autorizzazione (comma 2);
- dall’altro lato non possa essere sequestrata se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e se non per l’ipotesi di delitti per i quali la legge prevede il sequestro o nei altri casi previsti dalla legge (comma 3).
Quindi sono tipizzati i casi nei quali è possibile procedere al sequestro preventivo della stampa. Tra i casi tipizzati c’è:
- la violazione delle norme sulla registrazione delle pubblicazioni periodiche;
- l’ipotesi di stampati osceni o offensivi alla pubblica decenza;
- l’ipotesi della stampa che faccia apologia del fascismo;
- l’ipotesi della stampa che violi il diritto di autore.
Sicchè se con la stampa si commette un reato di diffamazione, il giudice non può procedere al sequestro; l’ordinamento ritiene prevalente sul bene della tutela della reputazione il bene della libertà di manifestazione del pensiero allorchè questo si estrinsechi con la stampa.
Ci si chiede quindi se questa disciplina, ovvero se i limiti al sequestro, sia estensibile anche alla stampa online.
La Cassazione nel 2014 aveva concluso in senso negativo, sostenendo che la stampa online non fruisce di questi limiti, per le ragioni sopra esposte.
Successivamente si è posto il problema se questa diversità di trattamento, tanto più nei casi in cui la stampa online sia la riproduzione di quella cartacea, sia ragionevole (art. 3 Cost.).
Secondo la Cassazione (2014) è ragionevole differenziare il trattamento prevedendo il sequestro della stampa online ed il rispetto dei limiti previsti dall’art. 21, comma 3, Cost. per la stampa cartacea perché l’offensività della stampa online è più intensa, dell’offensività della stampa su carta, posto che la diffusione della notizia ad esempio diffamatoria nella versione telematica dura molto più a lungo (alcuni parlano di cd. eternità mediatica).
Fermo restando che la nozione di stampa cartacea, ai sensi dell’art. 1, non coincide con la nozione di stampa online.
La sezione V della Cassazione è stata di diverso avviso, rimettendo la risoluzione del contrasto giurisprudenziale alle SU.UU.
4. Pronuncia delle SU.UU. n. 31022/2015
Le SS.UU. muovono dal criterio della ragionevolezza ex art. 3 Cost., che deve indurre a preferire un’interpretazione che non distingua i regimi penali dei due fenomeni (soprattutto nel caso in cui il giornale online sia la riproduzione del giornale cartaceo).
A questo punto, la Cassazione si chiede se è possibile estendere alla stampa online quella disciplina di garanzia prevista per la stampa cartacea sulla base di un’interpretazione estensiva.
In questo caso la Cassazione ritiene che occorre soffermarsi sulla nozione di stampa. La Corte ha ritenuto che nell’ambito della nozione di stampa occorra distinguere due fenomeni completamente diversi:
1) il fenomeno della stampa inteso come strumento di manifestazione del pensiero di tipo professionale, quello cui fa riferimento l’art. 21, co. 2 e 3, Cost. quando prevede la garanzia della stampa (la stampa non può essere sottoposta a censure o autorizzazione, non può essere sottoposta a sequestro preventivo se non nei casi espressamente previsti dalla legge);
Stampa quindi intesa come veicolo della manifestazione del pensiero di tipo professionale-giornalistico (informazione professionale cartacea e online);
2) il fenomeno della stampa che è espressione, più genericamente, di libertà del pensiero ma di tipo non professionale (informazione non professionale da parte dei privati in modo spontaneo) a cui non si estende il limite dell’art. 21, Cost.
Ad esempio blog, post, Facebook, email list ecc. sono espressioni certamente della manifestazione della libertà del pensiero ma non sono stampa per come la intende l’art. 21 Cost., perché la stampa ai sensi di tale articolo è invece il giornale, il prodotto editoriale, quello attraverso cui si esprime la libertà di manifestare il pensiero di tipo professionale.
In conclusione, la Corte sostiene che nell’art. 21 Cost. è possibile individuare e discernere:
- la libertà di manifestazione del pensiero: art. 21, comma 2, Cost.;
- disciplina di garanzia per la stampa e i periodici: art. 21, comma 3, Cost.
Chiarito dunque che è stampa solo il prodotto editoriale ed il risultato della professione di giornalismo, la Corte sostiene che l’art. 21 Cost. fornisca una nozione di stampa ampia idonea a ricomprendere ogni prodotto editoriale che abbia i requisiti ontologici e funzionali proprio del giornale.
La stampa ai sensi dell' art 21 Cost. è il prodotto editoriale che abbia i requisiti ontologico /strutturale e funzionale/teleologico di un giornale (a ciò pensò il costituente quando scrisse l’art. 21 Cost., perché, ricordiamo, la Costituzione è successiva al periodo fascista).
Sennonché è giornale il prodotto editoriale che, a prescindere dalle tecniche utilizzate di veicolazione del pensiero, abbia alcuni requisiti:
- ontologici: dati dalla presenza di una struttura redazionale, del direttore della testata, della professionalità;
- funzionali: mirano alla divulgazione di notizie e di opinioni.
Ogni qualvolta si è in presenza di un giornale interviene la disciplina del art. 21, co. 3, Cost.
Quindi la verifica deve essere condotta alla stregua dell’art. 21 Cost. e non dell'art 1 della L. 47/1948.
La Corte si è spinta oltre, sostenendo che allo stesso esito si perviene non solo distinguendo la nozione di stampa dell’art. 21 Cost. da quella dell’art. 1, L.47/1948, ma anche utilizzando un’interpretazione evolutiva dell’art. 1, L. 47/1948.
È vero che l’art. 1, nel definire la stampa, richiede la riproduzione tipografica ma è vero anche che la riproduzione, attraverso un’interpretazione estensiva, può consistere, oltre che nella riproduzione del testo originale su un supporto fisico, anche nella potenziale accessibilità, da parte di tutti, del contenuto dello stampato, e la riproduzione di un testo su internet è funzionale a tale possibilità, sicché la riproduzione di cui all’art. 1 non è necessariamente la riproduzione tipografica.
Tutto ciò è ammissibile sulla base di una mera deduzione interpretativa di carattere evolutivo e non necessariamente sulla base di un’interpretazione analogica.
Mette quindi in discussione i passaggi pretori precedenti anche in merito all’estensibilità degli artt. 57 c.p. e 16 della L. 47/1948, tanto è vero che le S.U. nel dispositivo enunciano due principi:
- il giornale on line al pari di quello cartaceo non può essere oggetto di sequestro preventivo salvo pochi casi;
- la testata giornalistica telematica in quanto assimilabile funzionalmente a quella tradizionale rientra nel concetto anche di stampa e soggiace alla normativa, di rango ordinario e costituzionale, che disciplina l’attività di informazione professionale diretta al pubblico (pare quindi che la Cassazione abbia inteso rivedere l’intero tema dell’estensione alla stampa on line della disciplina penale della stampa cartacea).
5. Analogia
Ormai tutti ritengono che il divieto di analogia, ai sensi dell’art. 14 disp. prel. c.c., debba intendersi come divieto a carattere non assoluto ma relativo, sicchè, nel diritto penale, ad essere vietata è l’analogia delle norme sfavorevoli ma non anche quella delle norme favorevoli.
Tuttavia, si sostiene che anche con riferimento alle norme di favore, il giudice incontrerebbe, nel procedere alla relativa applicazione analogica, alcuni limiti.
Limiti all’analogia in bonam partem:
- natura eccezionale della norma di favore, posto che l’art. 14 disp. prel. c.c. non si applica alle norme eccezionali;
- cd. intenzionalità della lacuna, si sostiene cioè che quando il vuoto normativo, che si intende colmare con il procedimento analogico in bonam, è un vuoto dovuto, non ad una lacuna, cioè ad una dimenticanza del legislatore (che è sicuramente integrabile con il procedimento analogico in bonam), ma ad una precisa scelta intenzionale del legislatore, volta a perimetrare un novero di casi chiusi, al di fuori dei quali la norma di favore non deve applicarsi; il ricorso all’analogia da parte del giudice penale, ancorchè trattatasi di analogia in bonam, significherebbe compromettere la scelta legislativa e quindi violare la scelta intenzionale del legislatore.
Ad esempio, nel caso di uso legittimo delle armi, l'art. 53, comma 2, c.p. prevede che l’uso delle armi è legittimo soltanto quando si tratta di certe tipologie di reato che sono individuate dalla norma. Estendere tale scriminante all’ipotesi in cui il soggetto utilizzi le armi per reagire ad altro reato significherebbe non tener conto della circostanza che il legislatore ha voluto perimetrare un novero di casi chiusi, al di fuori dei quali non c’è integrazione da compiere.
6. Stato di necessità
Questa questione si è posta in particolare per lo stato di necessità.
L’art. 54 c.p. scrimina il fatto di chi commette il reato per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri da un pericolo di danno grave alla persona.
Ci si è chiesti se possa applicarsi l’art. 54 c.p. all’ipotesi del soggetto che commette il reato, non per salvare sé o altri da un pericolo attuale di danno grave alla persona, ma da un pericolo di danno grave al patrimonio.
Unanimemente si è sostenuto che avendo il legislatore circoscritto la fruizione dell’art. 54 c.p. all’ipotesi di danno grave alla persona, questi ha compiuto una scelta intenzionale e quindi non c’è una lacuna da integrarsi. Si tratta di una scelta ragionevolissima perché si tratta in questo caso di un soggetto che compie ad ogni modo un reato e la cui condotta è scriminata a condizione che quel fatto criminoso venga commesso per neutralizzare il pericolo attuale di danno grave alle persona o non al patrimonio.
Il legislatore ha bilanciato il bene del terzo compresso dal reato con il bene da salvare, sostenendo che solo quando c’è da salvare il bene della persona, si può offendere il bene del terzo con il reato.
Ciò posto ci si è chiesto se c’è uno spazio di applicazione analogica. La dottrina ha sempre sostenuto che pur trattandosi di un’analogia in bonam essa sarebbe esclusa stante il limite della lacuna intenzionale.
Ma ci può essere allora l’interpretazione estensiva dell’art. 54 c.p.?
- La dottrina ha da sempre sostenuto che per danno alla persona deve intendersi soltanto il danno alla vita e all’integrità fisica.
- La giurisprudenza, sulla base di un’interpretazione evolutiva, ha sostenuto un orientamento diverso: per danno grave alla persona deve intendersi non soltanto il danno grave alla vita e all’integrità fisica, ma anche il danno a tutti i beni materiali e morali che costituiscono l’essenza della persona umana (vita, integrità fisica, salute, libertà morale, sessuale, onore, e quelle situazioni che attengono alla persona e che sono strumentali, non allo sviluppo e al completamento della persona, ma alla soddisfacimento di bisogni vita).
Questo problema si è posto relativamente a due questioni:
- Occupazione di case sfitte, art. 633 c.p.;
A fronte di un orientamento costante della giurisprudenza di merito, la Cassazione, dopo aver manifestato orientamenti di segno contrario, ha esteso la nozione di persona, ricomprendendovi anche le situazioni che attengono alla persona e che sono strumentali al soddisfacimento di bisogni di vita.
Tuttavia a fronte di una maggiore elasticità nell’interpretazione della nozione di danno grave alla persona, la Cassazione ha mostrato un maggiore rigore nell’accertare gli altri requisiti della scriminante, che sono quelli dell’attualità del pericolo e della inevitabilità (altrimenti del pericolo).
Quindi non è sufficiente che il soggetto si trovi in una situazione di pericolo, ma è necessario che il pericolo:
I. sia attuale, in quanto, l’attualità presuppone la natura transitoria del pericolo e non permanente, sicchè l’occupazione di case altrui è scriminata se si protrae per breve tempo ma non se è decennale, perché il percolo non sarebbe più attuale;
II. e non altrimenti evitabile, cioè non devono esserci alternative.
- Reati dell’imprenditore, il quale sostenga che la commissione di taluni reati, per lo più tributari (art. 10 ter 74/2000), è stata dovuta per evitare un pregiudizio ai lavoratori, atteso che pagando l’Erario, l’impresa sarebbe entrata in crisi e avrebbe dovuto licenziare i dipendenti.
La questione è sorta con la crisi di liquidità degli ultimi anni.
Molti imprenditori hanno cominciato a non pagare le tasse ed hanno invocato una causa in senso atecnico dell’esclusione della punibilità.
Cassazione 15416/2014 e 23532/2014: è venuta in considerazione la questione relativa allo stato di necessità dell’imprenditore che non paghi le tassi sostenendo si essere stato nella necessità di farlo. Il reato che spesso è venuto in considerazione è stato quello dell’art. 10 ter D.Lgs. n. 74/2000, che prevede che l’imprenditore pagato il dipendente trattiene la ritenuta da versare all’erario ma poi non la versa.
La Cassazione evidenzia che gli imprenditori, generalmente, si difendono utilizzando tre ragioni, che non sono fondate:
1. L’aver ritenuto di privilegiare il pagamento delle retribuzioni ai dipendenti anziché delle tasse all’erario onde evitare il licenziamento dello stesso e quindi invocando lo stato di necessità inteso come pericolo attuale di danno grave al diritto al lavoro dei dipendenti.
La Cassazione sostiene che è vero che per persona deve intendersi, non soltanto la vita e l’integrità fisica, ma anche tutti i beni morali e materiali che costituiscono l’essenza stessa della persona ma è anche vero che la nozione di persona non può ricomprendere quei beni che, pur costituzionalmente rilevanti e pur contribuendo al completamento dello sviluppo della persona, non sono necessariamente destinati a garantire l’esercizio delle funzioni vitali.
Di conseguenza il diritto al lavoro, pur costituzionalmente garantito, contribuisce allo sviluppo della persona e deve escludersi che la sua perdita costituisce danno grave alla persona.
2. L’aver ritenuto di privilegiare il pagamento dei fornitori per evitare che gli stessi presentino istanza di fallimento con conseguente pregiudizio per l’impresa e per i lavoratori dipendenti;
Ragione non fondata. Anche l’erario può chiedere il fallimento e non solo i fornitori.
3. L’aver ritenuto di compensare il debito tributario con lo Stato
Ragione non fondata. La legge tipizza le ipotesi di compensazione dei debiti tributari con i crediti verso la PA. Al di fuori di questa ipotesi non è prevista la compensazione.
La Cassazione quindi:
- esclude l’invocabilità dello stato di necessità;
- ma ritiene che all’esclusione della punibilità possa pervenirsi utilizzando un diverso percorso, in particolare utilizzando la causa di non punibilità costituita dalla forza maggiore o della cd. inesigibilità, intesa come causa extra-legale e generale di esclusione della colpevolezza.
Riferimenti bibliografici
- Andrea Torrente e Piero Schlesinger, Manuale di diritto privato, Milano, Giuffrè editore, 1995.
- Ferrando Mantovani, Diritto Penale, Padova, Cedam, 1992.
- Gaetano Carcaterra, Analogia, in Enc. giur. Treccani, Roma 1990
- Giorgio Marinucci, Emilio Dolcini, Diritto Penale - Parte Generale, Milano, Giuffrè, 2002.