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Pubbl. Lun, 8 Mag 2017

Compenso degli avvocati: nessun legale può lavorare gratis!

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Fulgenzio Senatore


Secondo il T.A.R. Lombardia - Milano (sent. n. 902 del 17 aprile 2017) non è consentito al professionista presentare un´offerta che si basi sulla ”certezza della vittoria processuale pronosticata”.


La pronuncia in commento prende le mosse da una procedura negoziata avviata da un Comune lombardo per l’affidamento del servizio di rappresentanza legale dell’ente nel procedimento giurisdizionale di recupero di un credito vantato dal Comune medesimo nei confronti di una società di telefonia. Il criterio di aggiudicazione della procedura di gara era quello del prezzo più basso. Al termine della procedura, il servizio veniva affidato ad uno studio legale, e non all’avv. M. (da questo momento il ricorrente), il quale aveva presentato un’offerta considerevolmente più bassa, dichiarando anzi di accontentarsi delle sole spese vive dell’attività giurisdizionale, dal momento che il suo compenso professionale sarebbe scaturito dal compenso liquidato dal giudice a proprio favore e posto a carico della parte soccombente, vista la “certezza della vittoria processuale pronosticata”.

Tale affermazione non risulta condivisibile: nel Codice degli Appalti vige, infatti, il principio della selezione della migliore offerta tra quelle formulate dai concorrenti. A tal proposito, l’articolo 95 del nuovo codice degli appalti pubblici (d.lgs. 50/16) attribuisce alla stazione appaltante la facoltà di scelta tra due diversi criteri: a) il criterio del maggior ribasso e b) il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Queste indicazioni sono tassative: significa che non è consentito alle Pubbliche Amministrazioni, salvi i casi previsti dalla legge, ricorrere a meccanismi di selezione di tipo diverso. Ma vi è di più: nel nuovo codice degli appalti, precisamente all’articolo 95, comma secondo, è introdotta una preferenza netta per il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, potendo utilizzarsi il criterio del prezzo più basso solo nei casi espressamente previsti dal legislatore. Conseguentemente non è suscettibile di valutazione positiva un’offerta manifestamente antieconomica (e quindi anomala in base a quello che sin qui si è detto), indeterminata e condizionata ad un evento futuro e incerto quale quello della liquidazione giudiziale in caso di esito vittorioso del processo. Non bisogna poi trascurare il dato per cui, in caso di soccombenza, l’offerta finirebbe per essere pari a zero, dal momento che il ricorrente aveva dichiarato di accontentarsi delle sole spese “vive”.


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C’è poi un secondo argomento contrario, di carattere strettamente civilistico, a cui il ricorrente contravviene: l’esito eventualmente vittorioso della lite non comporta la liquidazione delle spese a vantaggio del difensore, bensì del suo assistito, salva la domanda di distrazione ai sensi dell’articolo 93 c.p.c., e sempre che il giudice non decida per la compensazione delle spese nei confronti della parte comunque vittoriosa ai sensi dell’articolo 92 c.p.c.

A questi rilievi normativi si aggiunge, poi, la palese contrarietà dell’offerta presentata dal ricorrente con l’articolo 2 del D.M. 55/2014 sulle tariffe professionali forensi: il citato articolo 2 prevede infatti che il compenso sia “proporzionato all’importanza dell’opera”, formula che ricalca l’articolo 2233 del codice civile: chiaramente non è contemplata l’ipotesi di un’offerta pari a zero.

In conclusione bene ha fatto l’ente pubblico a non affidare l’incarico al ricorrente ed il giudice amministrativo a respingerne il ricorso.