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Pubbl. Sab, 22 Apr 2017

Non rivive il diritto al mantenimento per il figlio che perde il lavoro.

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Graziella Soluri


Il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne non cessa con il raggiungimento della maggiore età. Il giudice, valutate le circostanze, può prevedere la corresponsione di un assegno periodico a suo favore se economicamente non indipendente. Una volta diventato autosufficiente, qualora perda il proprio impiego, ha diritto solo agli alimenti.


Sommario: 1. Diritto al mantenimento del figlio maggiorenne; 2. Mantenimento del figlio maggiorenne in caso di separazione e divorzio; 3. Figlio maggiorenne "non oltre i 34 anni", autonomia, indipendenza economica ed obblighi dei genitori; 4. Pronunce rilevanti sul diritto al mantenimento del figlio maggiorenne che perde il lavoro dopo aver raggiunto l'autonomia economica; 5. Raggiungimento dell'indipendenza economica, perdita dell'impiego e diritto agli alimenti dei figli maggiorenni.

1. Diritto al mantenimento del figlio maggiorenne.

Il tema del mantenimento dei figli maggiorenni è attuale ed ha ampi risvolti pratici. Le Corti sono spesso chiamate a stabilire, caso per caso, i limiti e le condizioni di un obbligo che trova fondamento in un preciso quadro normativo e che comunque è limitato nel tempo. Il dovere al mantenimento dei figli maggiorenni è sancito nel combinato disposto degli artt. 30 della Costituzione e art. 147 e ss. del c.c. che impongono ad ambedue i genitori l'obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle inclinazioni e delle aspirazioni dei figli, in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo, non prevedendo alcuna cessazione dell’obbligo per via del raggiungimento della maggiore età. L'obbligo è stato poi rafforzato dalla novella della legge n. 54/2006 che all'art. 155-quinquies ha stabilito che "il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico". Non si tratta, tuttavia, di un obbligo protratto indefinitamente, ma dalla "durata mutevole" da valutare caso per caso. (Trib. Novara sent. n. 238/2011). In base a quanto previsto dal legislatore, l'obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne, analogamente all'obbligazione in genere gravante solidalmente su entrambi i genitori nei confronti della prole, ha un contenuto ampio, tale da ricomprendere sia le spese ordinarie della vita quotidiana (vitto, abbigliamento, ecc.) che quelle relative all'istruzione e persino quelle per lo svago e le vacanze.

2. Mantenimento del figlio maggiorenne in caso di separazione e divorzio.

L'art. 155 c.c. statuisce, inoltre, che in caso di separazioni o divorzio, per la determinazione dell'assegno di mantenimento occorre fare riferimento al tenore di vita goduto dai figli in costanza di convivenza con entrambi i genitori, ai tempi di permanenza presso ciascun genitore, alle risorse economiche di entrambi e alle "esigenze attuali del figlio". In merito, la Cassazione con sentenza n. 8927/2012 ha sancito che le stesse mutano in ragione del semplice trascorrere del tempo e giustificano un adeguamento automatico dell'assegno, senza bisogno di specifica dimostrazione. Ad oggi quindi l’ordinamento stabilisce con gli artt. 147 e 315 bis che vi è un vero e proprio diritto di solidarietà che tutela un interesse fondamentale dell’individuo a ricevere un aiuto concreto nel corso della sua formazione e crescita, per ogni esigenza di vita e di formazione. Inoltre, con l’art. 337 septies stabilisce che il giudice “può” disporre il pagamento di un assegno periodico in favore del figlio maggiorenne non economicamente indipendente. La scelta del Legislatore di individuare in capo al giudice un potere discrezionale, da esercitare a seconda delle circostanze del caso concreto, ha dato vita ad una giurisprudenza sul punto, tale da orientare le decisioni. La lettura combinata quindi degli artt. 30 Cost., 147, 315 bis e 337 septies c.c. porta a concludere che vi è un obbligo di mantenimento dei figli che permane oltre la maggiore età e un diritto del figlio ad essere mantenuto, fino a che, completata l’istruzione, possa avere gli adeguati strumenti per realizzare la propria indipendenza economica. L’obbligo dei genitori di mantenere un figlio maggiore di età, oltre che nelle fonti richiamate, trova una declinazione concreta nell’elaborazione della giurisprudenza, che, nonostante alcune oscillazioni, ad oggi sembra avere un orientamento piuttosto consolidato.

3. Figlio maggiorenne "non oltre i 34 anni", autonomia, indipendenza economica ed obblighi dei genitori.

Il raggiungimento della maggiore età dei figli non rappresenta più il termine ultimo della corresponsione del mantenimento, ma quest’ultimo è condizionato dal raggiungimento di un'autosufficienza economica tale da provvedere autonomamente alle proprie esigenze di vita, in correlazione al completamento di un fruttuoso percorso di studio. Va richiamata, prima di tutto, sia per l’importanza della pronuncia in sé sia perché è la più recente, nell’ambito delle decisioni di merito, la statuizione della nona sezione del Tribunale di Milano, nella quale viene disposto, per la prima volta, che con il superamento di una certa età, "il figlio maggiorenne, anche se non indipendente, raggiunge comunque una sua dimensione di vita autonoma che lo rende, semmai, meritevole dei diritti ex art. 433 c.c. ma non può più essere trattato come 'figlio', bensì come adulto". Ciò viene motivato sulla base del dovere di autoresponsabilità del figlio maggiorenne che non può pretendere la protrazione dell'obbligo al mantenimento oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, perché "l'obbligo dei genitori si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione" (Cass. n. 18076/2014; Cass. SS.UU. n. 20448/2014). Tale obbligo, secondo la pronuncia del Tribunale di Milano è, "in linea con le statistiche ufficiali, nazionali ed europee" non può protrarsi dunque "oltre la soglia dei 34 anni", età a partire dalla quale "lo stato di non occupazione del figlio maggiorenne non - può - più essere considerato quale elemento ai fini del mantenimento, dovendosi ritenere che, da quel momento in poi, il figlio stesso possa, semmai, avanzare le pretese riconosciute all'adulto". Il Tribunale fornisce anche alcuni spunti interessanti in merito alla valutazione delle circostanze che giustificano la ricorrenza o il permanere dell'obbligo dei genitori al mantenimento dei figli maggiorenni, asserendo che la valutazione del giudice deve essere orientata in modo da “escludere che la tutela della prole, sul piano giuridico, possa essere protratta oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, al di là dei quali si risolverebbe, com'è stato evidenziato in dottrina, in "forme di vero e proprio parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani".

4. Pronunce rilevanti sul diritto al mantenimento del figlio maggiorenne che perde il lavoro dopo aver raggiunto l'autonomia economica.

In relazione alle ultime pronunce della giurisprudenza di legittimità, va invece richiamata una recente pronuncia della Cassazione, (Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 12 aprile 2016, n. 7168) in cui viene sancito che l’obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli maggiorenni, secondo le regole dettate dagli artt. 147 e 148 cod. civ., cessa a seguito del raggiungimento, da parte di quest’ultimi, di una condizione di indipendenza economica che si verifica con la percezione di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita ovvero quando il figlio, divenuto maggiorenne, è stato posto nelle concrete condizioni per poter essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta. Quindi la giurisprudenza concentra la propria attenzione sui limiti del concetto di indipendenza del figlio maggiorenne, statuendo che non qualsiasi impiego o reddito (come il lavoro precario, ad esempio) fa venir meno l'obbligo del mantenimento (Corte di Cass. n. 18/2011), sebbene non sia necessario un lavoro stabile, essendo sufficienti un reddito o il possesso di un patrimonio tali da garantire un'autosufficienza economica (Cass. n. 27377/2013). In particolare la giurisprudenza di merito ha avuto modo di specificare che l'obbligo del genitore – separato e/o divorziato – di concorrere al mantenimento del figlio maggiorenne può ritenersi estinto solo esclusivamente a seguito del comprovato raggiungimento da parte del figlio medesimo di un'effettiva e stabile indipendenza economica ovvero della sua dimostrata colposa inerzia nell'attuazione o prosecuzione di un valido percorso di formazione e/o studio. In particolare, il Tribunale di Savona ha osservato che la percezione da parte del figlio di somme di denaro di modesta entità a seguito dell'espletamento di attività lavorative saltuarie e/o "a chiamata" non può integrare il presupposto dell'indipendenza economica, atteso che gli emolumenti sono rimessi di fatto alla determinazione unilaterale del datore di lavoro” (Tribunale Savona 27 gennaio 2016). In relazione invece ai profili che riguardano l’acquisizione di una professionalità del figlio ed una collocazione nel mondo del lavoro adeguata alle sue aspirazioni, la giurisprudenza, ritiene pacifico, già da tempo, che, affinché venga meno l'obbligo del mantenimento, lo status di indipendenza economica del figlio può considerarsi raggiunto in presenza di un impiego tale da consentirgli un reddito corrispondente alla sua professionalità e un'appropriata collocazione nel contesto economico-sociale di riferimento, adeguata alle sue attitudini ed aspirazioni (v. Cass. n. 4765/2002; n. 21773/2008; n. 14123/2011; n. 1773/2012). Correlativamente quindi, se il figlio coltiva delle aspirazioni e voglia intraprendere un percorso di studi per il raggiungimento di una migliore posizione e/o carriera, ciò non può non fa venir meno il dovere al mantenimento da parte del genitore (Cass. n. 1779/2013). È esclusa, invece, dalla Cassazione l'attribuzione del beneficio ricondotta a "perdita di chance" perché la stessa travisa l'interpretazione dell'istituto del mantenimento che è destinato a cessare una volta raggiunto uno status di autosufficienza economica con la percezione di "un reddito corrispondente alla professionalità acquisita in relazione alle normali e concrete condizioni di mercato" (Cass. n. 20137/2013). Inoltre, nell’ipotesi in cui il figlio, ancora non autosufficiente economicamente, contragga matrimonio, l’obbligo di mantenimento da parte del genitore non si interrompe in modo automatico, ma è sempre necessaria una sentenza di revisione delle condizioni di separazione/divorzio rispetto a cui il genitore ha l’onere di provare “che il figlio ha raggiunto l’indipendenza”, oppure “che è stato posto nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua (discutibile) scelta”. (Tribunale di Perugia, sentenza 27 luglio 2015). Va dato conto, in ultimo, anche dell’ipotesi in cui, venute meno le circostanze poste a presupposto del mantenimento del figlio maggiorenne, a seguito del raggiungimento della piena autosufficienza economica del figlio maggiorenne, si verifichi la sopravvenienza di circostanze ulteriori che determinano l'effetto di renderlo momentaneamente privo di sostentamento economico. In tale ipotesi, secondo la giurisprudenza consolidata, non può risorgere l'obbligo "potendo sussistere al massimo, in capo ai genitori, un obbligo alimentare" (Cass. n. 2171/2012; n. 5174/2012; n. 1585/2014). Nell’analisi della tematica del mantenimento del figlio maggiorenne va anche ricostruito il rilevante profilo che attiene alla interruzione dell’obbligo di mantenimento quando ciò avvenga a causa di una condotta del figlio stesso. Infatti, per indirizzo costante e unanime della giurisprudenza e della dottrina, l'obbligo perdura sino a quando il mancato raggiungimento dell'autosufficienza economica, non sia causato da negligenza o non dipenda da fatto imputabile al figlio. Per cui, è configurabile l'esonero dalla corresponsione dell'assegno, laddove, posto in concreto nelle condizioni di raggiungere l'autonomia economica dai genitori, il figlio maggiorenne abbia opposto rifiuto ingiustificato alle opportunità di lavoro offerte (Cass. n. 4765/2002; Cass. n. 1830/2011; Cass. n. 7970/2013), ovvero abbia dimostrato colpevole inerzia prorogando il percorso di studi senza alcun rendimento (nella fattispecie la Corte, con sentenza n. 1585/2014, ha escluso il diritto al mantenimento del figlio ventottenne che aveva iniziato ad espletare attività lavorativa, ancorché saltuaria, e non frequentava con profitto il corso di laurea a cui risultava formalmente iscritto da più di otto anni). Con l’introduzione dell’art. 155 quinquies c.c. (L. n. 54/2006 c.d. Legge sull’affido condiviso), il Legislatore aveva previsto che l’assegno di mantenimento in favore del figlio maggiorenne non economicamente indipendente fosse versato direttamente all’avente diritto. Sul punto, la Corte di Cassazione si era pronunciata più volte chiarendo che il Giudice, laddove, sia stato richiesto il versamento diretto al figlio maggiorenne non è tenuto per legge a concederlo; la decisione è sempre affidata alla discrezionalità del Giudice e alla valutazione del caso concreto (Cass. n. 20408, 2011). Inoltre, la giurisprudenza aveva anche statuito che la madre potesse agire personalmente per ottenere il contributo al mantenimento del figlio maggiorenne da parte dell’altro genitore, in quanto titolare di un diritto proprio ad essere sostenuta economicamente nel mantenimento del figlio non economicamente indipendente, con lei convivente nella casa familiare (Cass. n. 19607/2011). Infine la Cassazione aveva stabilito che il Giudice potesse disporre il versamento diretto del mantenimento al figlio maggiorenne solo su istanza del figlio stesso, (Cass. n. 25300/2013). Era evidente quindi che l’orientamento era volto a stabilire che il coniuge obbligato al mantenimento non può chiedere di versarlo direttamente al figlio. La questione è stata definitivamente risolta nel 2014, con l’abrogazione dell’art. 155 quinquies c.c. (con D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154); in tal modo è stato fugato ogni dubbio sulla questione, escludendo la possibilità che il genitore obbligato al mantenimento possa automaticamente, al compimento del diciottesimo anno di età del figlio, iniziare a versare l’assegno direttamente allo stesso. Pertanto, attualmente solo il figlio maggiorenne può, ove lo desideri, chiedere al Giudice di disporre il versamento diretto a sé del proprio mantenimento. Tutto ciò è, evidentemente, finalizzato ad evitare che il versamento diretto al figlio maggiorenne da parte del genitore onerato possa essere strumentalizzato per sottrarsi al proprio obbligo al mantenimento. Una questione controversa in dottrina e in giurisprudenza è quella inerente il soggetto legittimato a far valere in giudizio il diritto del figlio maggiorenne al mantenimento, considerato che l'art. 155-quinquies c.c. disponeva il versamento dell'assegno "all'avente diritto". La Cassazione (Cass. n. 18844/2007; n. 23590/2010) mostrava un atteggiamento di favore riguardo all'intervento del figlio maggiorenne ma non autonomo nel giudizio (di separazione o divorzio) pendente tra i propri genitori al fine di far valere il proprio diritto al mantenimento (realizzando così un "simultaneus processus"). Va detto che, sia in vigenza del regime precedente che di quello attuale, l'orientamento maggioritario ritiene "tuttora sussistente la legittimazione del coniuge convivente ("concorrente" o "straordinaria") ad agire iure proprio nei confronti dell'altro genitore, in assenza di un'autonoma richiesta da parte del figlio" per richiedere il versamento dell'assegno (Cass. n. 9238/1996; Cass. n. 11320/2005; cass. n. 359/2014; Cass. n. 921/2014; Cass. n. 1805/2014). In una recente pronuncia di merito sul punto, la giurisprudenza asserisce che “Il diritto alla separazione è stato riconosciuto dalla giurisprudenza come situazione giuridico-soggettiva che realizza la personalità dell'individuo e quindi si tratta di un diritto personalissimo; anche in regime di amministrazione di sostegno, il beneficiario, può compiere atti personalissimi, poichè la misura non comporta la perdita della titolarità di tali diritti e di conseguenza neppure l'esercizio. Non è necessario disporre l'integrazione del contraddittorio nei confronti del figlio maggiorenne in quanto costui, pur essendo legittimato ad intervenire nel procedimento al fine di formulare in suo favore apposita domanda di riconoscimento di tale contributo nonchè di pagamento diretto dello stesso a norma dell'art. 337-septies cc, facoltà che non ha ritenuto di esercitare, non può ritenersi litisconsorte necessario bensì titolare di una legittimazione alternativa e concorrente con quella della madre”. (Tribunale Bari, sez. I, 7 ottobre 2015, n. 4205). Ai fini dell'esenzione dall'obbligo di mantenimento è necessario un provvedimento del giudice (Cass. n. 13184/2011; Tribunale di Modena 23 febbraio 2011). L'onere probatorio, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, spetta al genitore che chiede di essere esonerato dall'obbligazione ex lege, il quale deve fornire "la prova che il figlio è divenuto autosufficiente, ovvero che il mancato svolgimento di attività lavorativa sia a quest'ultimo imputabile (Cass. n. 2289/2001; Cass. n. 11828/2009). Recentemente, la giurisprudenza ha precisato che “Il dovere di mantenimento del figlio maggiorenne cessa non solo quando il genitore onerato dia prova che il figlio abbia raggiunto l'autosufficienza economica, ma anche quando lo stesso genitore provi che il figlio, pur posto nelle condizioni di addivenire ad una autonomia economica, non ne abbia tratto profitto, sottraendosi volontariamente allo svolgimento di una attività lavorativa adeguata e corrispondente alla professionalità acquisita” (Cass. civ., sez. I, 1 febbraio 2016, n. 1858). In ordine al quantum, rilevano inoltre i principi sanciti dalla S.C., con sentenza n. 22255/2007, la quale ha statuito che l'assegno va adeguato, oltre che alla differenza di reddito dei due coniugi separati o divorziati, anche al reddito percepito dai figli come corrispettivo dell'attività lavorativa svolta, aumentando o diminuendo in base al grado di autonomia dai medesimi conseguito. Infine, se il raggiungimento della maggiore età dei figli non rappresenta lo spartiacque per l'obbligo dei genitori di contribuire al loro mantenimento, d'altro canto non si tratta di un dovere protratto all'infinito, essendo soggetto al parametro generale del raggiungimento di un'autosufficienza economica tale da provvedere autonomamente alle proprie esigenze di vita.

5. Raggiungimento dell'indipendenza economica, perdita dell'impiego e diritto agli alimenti dei figli maggiorenni.

La giurisprudenza ha più volte definito i limiti del concetto di indipendenza del figlio maggiorenne, statuendo che non qualsiasi impiego o reddito (come il lavoro precario, ad esempio) fa venir meno l'obbligo del mantenimento (Cass. n. 18/2011), sebbene non sia necessario un lavoro stabile, essendo sufficienti un reddito o il possesso di un patrimonio tali da garantire un'autosufficienza economica (Cass. n. 27377/2013). È pacifico che, affinché venga meno l'obbligo del mantenimento, lo status di indipendenza economica del figlio può considerarsi raggiunto in presenza di un impiego tale da consentirgli un reddito corrispondente alla sua professionalità e un'appropriata collocazione nel contesto economico-sociale di riferimento, adeguata alle sue attitudini ed aspirazioni (v. Cass. n. 4765/2002; n. 21773/2008; n. 14123/2011; n. 1773/2012). In merito, è orientamento uniforme quello per cui la coltivazione delle aspirazioni del figlio maggiorenne che voglia intraprendere un percorso di studi per il raggiungimento di una migliore posizione e/o carriera non fa venir meno il dovere al mantenimento da parte del genitore (Cass. n. 1779/2013). Una volta venuti meno i presupposti del mantenimento, a seguito del raggiungimento della piena autosufficienza economica del figlio maggiorenne, "la sopravvenienza di circostanze ulteriori che determinano l'effetto di renderlo momentaneamente privo di sostentamento economico" non può far risorgere l'obbligo "potendo sussistere al massimo, in capo ai genitori, un obbligo alimentare" (Cass. n. 2171/2012; n. 5174/2012; n. 1585/2014). Infatti, il dovere di mantenimento del figlio maggiorenne, gravante sul genitore separato non convivente sotto forma di obbligo di corresponsione di un assegno ex art. 156 cod. civ., cessa all'atto del conseguimento, da parte figlio, di uno "status" di autosufficienza economica consistente nella percezione di un reddito corrispondente alla professionalità - quale che sia - acquisita in relazione alle normali e concrete condizioni di mercato. Ne consegue che, una volta che sia provata la prestazione di attività lavorativa retribuita, resta rimessa alla valutazione del giudice del merito l’eventuale esiguità del reddito percepito, al fine di escludere la cessazione dell'obbligo di contributo al mantenimento del figlio a carico del genitore non affidatario (Cass. civ., Sez. I, 17 novembre 2006, n. 24498; idem Cass. civ., Sez. I, 12 giugno 2006, n. 13584). Tale impostazione risulta conforme al principio in forza del quale il mantenimento del figlio maggiorenne convivente è da escludere quando quest'ultimo, ancorché allo stato non autosufficiente economicamente, abbia in passato iniziato ad espletare un'attività lavorativa, così dimostrando il raggiungimento di un’adeguata capacità e determinando la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento a carico del genitore, senza che possa avere rilievo il sopravvento di circostanze ulteriori (come, ad esempio, lo stesso abbandono dell'attività lavorativa da parte del figlio) le quali, se pure determinano l'effetto di renderlo privo di sostentamento economico, non possono far risorgere un obbligo di mantenimento i cui presupposti erano già venuti meno (Cass. civ., 5 agosto, 1997, n. 7195; Cass. civ., 7 luglio 2004, n. 12477) nel senso - esattamente che il fondamentale diritto del coniuge convivente a percepire l'assegno de quo risiede, oltre che nell'elemento oggettivo della convivenza (il quale lascia presumere il perdurare dell'onere del mantenimento), nel dovere dell'altro coniuge di assicurare al figlio un'istruzione ed una formazione professionale rapportate alle capacità di quest'ultimo (oltreché alle condizioni economiche e sociali dei genitori), così da consentire al medesimo una propria autonomia economica, onde tale dovere cessa con l'inizio appunto dell'attività lavorativa da parte di quello (Cass. civ., 4 marzo 1998, n. 2392). In particolare, la Corte di Cassazione con la pronuncia del 22/11/2010 n. 23590 precisa che una volta che un figlio si sia reso autonomo, non sono più ipotizzabili né un suo rientro o una sua permanenza in famiglia nella posizione dell'incapace d'autonomia, né un ripristino in suo favore di quella situazione di particolare tutela che il legislatore ha inteso predisporre in favore dei soli figli i quali ancora la detta autonomia non abbiano conseguito per difetto di requisiti personali o di condizioni ambientali, e ciò in quanto proprio il fatto di un'avvenuta stabile collocazione nel mondo del lavoro sta a dimostrare la ricorrenza degli uni e delle altre e, quindi, l'insussistenza dei presupposti per un'ulteriore applicabilità della normativa di particolare favore de qua; nell'ipotesi, quindi, in cui venga meno, per qualsiasi causa, la già conseguita indipendenza economica, la tutela apprestata dall'ordinamento in favore del soggetto rimasto privo di mezzi, sempre che l'evento negativo non risulti a lui imputabile, è quella del diritto agli alimenti, ed è un diritto che l'alimentando, ricorrendone le condizioni, delle quali è tenuto a fornire la prova, deve azionare jure proprio, in quanto il far valere pretesa siffatta implica valutazioni strettamente personali e morali nell'ambito del rapporto familiare con l'obbligato che nessuna norma, per tal motivo, rimette ai terzi nè a questi consente di azionarla in surrogazione (tesi già affermata nella giurisprudenza di merito e confermata da Cass. civ., 5 agosto 1997, n. 7195). Ebbene, con l’ordinanza del 14 marzo 2017, n. 6509, la Suprema Corte di Cassazione ribadisce un orientamento ormai consolidato secondo il quale: “L’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne non rivive se quest’ultimo perde il lavoro. Invero nel momento in cui il figlio raggiunge la capacità economica e conseguentemente l’indipendenza economica,  perde definitivamente il diritto a ricevere il mantenimento dal genitore. Infatti, l’obbligo del genitore di versare l’assegno di mantenimento dei figli maggiorenni cessa nel momento in cui questi ultimi, trovando un’occupazione, raggiungono l’indipendenza economica a prescindere dalle successive vicende del rapporto lavorativo”. Dello stesso tenore la Corte d’Appello di Catania la quale, con decreto del 26 novembre del 2014 statuiva che: “Una volta conseguita da parte del figlio maggiorenne l’autonomia economica, mediante espletamento di un’attività lavorativa che dimostri una capacità adeguata, è da escludere che possa rilevare la sopravvenienza di circostanze ulteriori che, pur determinando l'effetto di renderlo momentaneamente privo di sostentamento economico, non possono far risorgere un obbligo di mantenimento, i cui presupposti erano già venuti meno. (Cass. 26259/2005; Cass. 1761/2008; Cass.1585/2014). In simili casi, stabiliva la Corte d’Appello, può eventualmente sorgere il diritto agli alimenti, basato su differenti presupposti. Quindi, una volta che il figlio maggiorenne sia divenuto economicamente autonomo (ad esempio poiché ha iniziato a svolgere un lavoro), l’obbligo del genitore al mantenimento viene a cessare. Se nella separazione o nella sentenza di divorzio era stato stabilito un assegno di mantenimento a favore del figlio, questo deve esser revocato dalla stessa Autorità giudiziaria. Spesso, infatti, il genitore obbligato al mantenimento si domanda se la cessazione dell’obbligo avvenga automaticamente nel momento in cui il figlio diventi autonomo o se invece sia necessaria una pronuncia del Tribunale. Ebbene è necessaria una richiesta del genitore obbligato al giudice. Questi, pertanto, dovrà necessariamente chiedere una modifica delle condizioni di separazione o di divorzio per ottenere la revoca del mantenimento. Inoltre, nel caso in cui il figlio maggiorenne, in un secondo momento, perda l’impiego, per un qualsiasi motivo, per giurisprudenza costante, il diritto al suo mantenimento non rivive in capo al genitore che precedentemente aveva l’obbligo di mantenerlo quando non era autonomo. Quindi per esempio, nel caso in cui il figlio maggiorenne abbia perso, anche dopo breve tempo e per qualunque ragione, il lavoro che lo aveva reso autonomo economicamente, egli potrà solamente rivolgersi ai genitori per richiedere loro gli alimenti (art. 433 c.c.) e non per richiedere l’assegno di mantenimento. L’assegno alimentare è cosa ben diversa rispetto a quello di mantenimento. Il primo, infatti, può essere richiesto nel caso in cui il soggetto versi in stato di bisogno, cioè sia privo dei mezzi di sussistenza. Quindi l’assegno alimentare servirà solo a coprire le spese strettamente necessarie alla “sopravvivenza”, a differenza dell’assegno di mantenimento il quale deve assicurare al figlio un contributo utile a soddisfare tutte le sue esigenze di studio, di salute, di svago ed in generale di crescita. In materia di contributo al mantenimento dei figli maggiorenni, l’obbligo del genitore cessa nel momento in cui questi ultimi raggiungono l’indipendenza economica reperendo un lavoro. Una volta raggiunta la capacità lavorativa, e quindi l’indipendenza economica, la successiva perdita dell’occupazione non comporta la reviviscenza dell’obbligo del genitore al mantenimento (conf. le pronunce della Corte di Cassazione del 28/1/2008, n. 1761 e del 2/12/2005, n. 26259). Infine, un figlio maggiorenne, che lascia un lavoro a tempo indeterminato per trovare poi una occupazione a tempo determinato, una volta perso il lavoro non potrà pretendere che il genitore continui a versagli il mantenimento in precedenza dovuto. Non è solo l’età di per sé considerata a determinare l’esclusione di ogni tipo di mantenimento, semmai è l’aver conseguito un’occupazione lavorativa stabile a determinare la  caducazione definitiva del diritto a ricevere l’assegno di mantenimento. E questa conclusione vale anche allorquando la decisione di cambiare il lavoro dipende da problemi psichici del figlio. Di talché, al di là delle condizioni di salute, l’obbligo di mantenimento non rivive se il figlio maggiorenne perde il lavoro. Così ha deciso, infatti, la Suprema Corte quando ha confermato la sentenza della Corte d’appello che, dopo avere considerato l’età in sé della figlia, ha argomentato in ogni caso rilevando che, interpretando quanto dichiarato dalla madre in sede di audizione presidenziale, si doveva ritenere che la figlia avesse lasciato il precedente lavoro a tempo indeterminato, per trovare poi un’occupazione a tempo determinato, da qui l’applicazione del principio secondo cui, una volta raggiunta la capacità lavorativa, e quindi l’indipendenza economica, la successiva perdita dell’occupazione non comporta la reviviscenza dell’obbligo del genitore al mantenimento (conf. le pronunce della  Corte di  Cassazione del 28/1/2008, n. 1761 e del 2/12/2005, n. 26259).

Fonti:

Trib. Novara sentenza n. 238/2011;
Corte di Cassazione, sentenza n. 18076 del 2014;
Corte di Cassazione,  SS.UU., sentenza n. 20448 del 2014;
Corte di Cassazione, sentenza n. 26259 del 2005;
Corte di Cassazione, sentenza n. 18/2011;
Corte di Cassazione, sentenza n. 27377/2013;
Tribunale Savona, sentenza del 27 gennaio 2016;
Corte di Cassazione, sentenza  n. 4765/2002;
Corte di Cassazione, sentenza n. 21773/2008;
Corte di Cassazione, sentenza n. 14123/2011;
Corte di Cassazione, sentenza n. 1773/2012;
Corte di Cassazione, sentenza n. 1779/2013;
Corte di Cassazione, sentenza n. 20137/2013;
Tribunale di Perugia, sentenza 27 luglio 2015;
Corte di Cassazione, sentenza  n. 2171/2012;
Corte di Cassazione, sentenza n. 5174/2012;
Corte di Cassazione, sentenza n. 1585/2014;
Corte di Cassazione, sentenza n. 1830/2011;
Corte di Cassazione, sentenza n. 7970/2013;
Corte di Cassazione, sentenza n. 1585/2014;
Corte di Cassazione, sentenza  n. 20408, 2014;
Corte di Cassazione, sentenza n. 19607/2011;
Corte di Cassazione, sentenza n. 25300/2013;
Corte di Cassazione, senenza n. 18844/2007;
Corte di Cassazione, sentenza n. 23590/2010;
Corte di Cassazione, sentenza n. 9238/1996;
Corte di Cassazione, sentenza n. 11320/2005;
Corte di Cassazione, sentenza n. 359/2014;
Corte di Cassazione, sentenza n. 921/2014;
Corte di Cassazione, sentenza n. 1805/2014;
Tribunale Bari, sez. I, 7 ottobre 2015, n. 4205;
Corte di Cassazione, sentenza n. 13184/2011;
Tribunale di Modena 23 febbraio 2011;
Corte di Cassazione, sentenza n. 2289/2001;
 Corte di Cassazione, sentenza n. 11828/2009;
 Corte di Cassazione, civ., sez. I, 1 febbraio 2016, n. 1858;
Corte di Cassazione, sentenza n. 4765/2002;
Corte di Cassazione, sentenza n. 21773/2008;
 Corte di Cassazione, sentenza n. 14123/2011;
Corte di Cassazione, senenza n. 1773/2012;
Corte di Cassazione, sentenza n. 1779/2013;
Corte di Cassazione, sentenza n. 20137/2013;
Corte di Cassazione, sentenza n.1585 del 2014;
Corte di  Cassazione del 28/1/2008, sentenza n. 1761;
Corte di Cassazione del 2/12/2005, sentenza n. 26259;
Corte di Cassazione, civ., Sez. I, 17 novembre 2006, n. 24498;
Corte di Cassazione, civ., Sez. I, 12 giugno 2006, n. 13584;
Corte di Cassazione, civ., 4 marzo 1998, n. 2392;
Corte di Cassazione, sentenza del 22/11/2010 n. 23590;
Corte di Cassazione,  civ., 5 agosto 1997, n. 7195;
Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 12 aprile 2016, n. 7168;
Corte di Cassazione, ordinanza del 14 marzo 2017, n. 6509Altalex, 10 gennaio 2017. Nota di Chiara Ingenito tratta da Il Quotidiano Giuridico Wolters Kluwer;
Nota a sentenza, Rocchina Staiano, Altalex del 10.12.2010;
Sito:https://www.personaedanno.it/mantenimento-alimenti/il-figlio-maggiorenne-perde-il-lavoro-non-rivive-il-diritto-al-mantenimento-app-catania-decr-26-11-2014;
Sito: Il mantenimento dei figli maggiorenni alla luce delle più significative sentenze della Corte di Cassazione (www.StudioCataldi.it).