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Pubbl. Ven, 21 Apr 2017

Il ricorso abusivo al concordato preventivo

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Ugo Bisogno


L´utilizzo dello strumento concordatario al mero fine dilatorio determina l´inammissibilità della domanda di ammissione alla procedura per la violazione dei principi fondamentali della buona fede e della lealtà processuale


Il concordato preventivo è un istituto giuridico, previsto e disciplinato dagli artt. 160 e ss. della Legge Fallimentare, predisposto dall'ordinamento per risolvere lo stato di crisi dell'impresa ed evitare la dichiarazione di fallimento.
Con la procedura di concordato preventivo, l'impresa in crisi può sottoporre ai propri creditori, in seguito alla delibazione di ammissibilità da parte del Tribunale, un accordo mediante il quale provvedere al pagamento in percentuale di tutti i debiti.
Tale accordo può prevedere la divisione in classi diverse dei creditori sociali e, conseguentemente, una diversa misura percentuale del pagamento del debito, pur sempre però nel rispetto della par condicio creditorum
Una volta verificata la sussistenza dei requisiti previsti dagli artt. 160 e 161 L.F., il Tribunale dichiara aperta la procedura di concordato e convoca tutti i creditori, affichè questi possano esprimere il proprio assenso o dissenso alla proposta del debitore.
L'accettazione del piano concordatario da parte dei creditori e la valutazione positiva della fattibilità da parte del Tribunale consentono l'omologazione del concordato preventivo e l'apertura della fase successiva, volta alla liquidazione delle poste attive dell'impresa ed al conseguente pagamento dei debiti accertati nel piano. 

Il motivo del successo di tale misura concorsuale, particolarmente utilizzata nella realtà, è duplice: da un lato, ai sensi dell'art. 167 L.F., durante la procedura di concordato, il debitore conserva il possesso e l'amministrazione dei propri beni, anche se sotto il vigile controllo del Commissario Giudiziale; dall'altro, ai sensi del successivo art. 168, a far data dalla pubblicazione nel Registro delle Imprese del ricorso per l'ammissione alla procedura di concordato, non possono essere iniziate o proseguite azioni esecutive e/o cautelari sul patrimonio del debitore. 
Tali cautele sono naturalmente previste per consentire l'elaborazione del piano concordatario nell'ottica della migliore soluzione possibile della crisi e per conservare il patrimonio dell'impresa al fine di liquidarlo nell'interesse di tutti i creditori. 

Talvolta, però, il concordato preventivo è utilizzato esclusivamente allo scopo di beneficiare delle tutele accordate dalla legge per procrastinare il più possibile la dichiarazione di fallimento, mantenendo il possesso dei propri beni, e paralizzando le procedure esecutive.

Sul punto, si è pronunciata recentemente la Suprema Corte, la quale con sentenza n. 5677 del 07 marzo 2017, ha ribadito l'inammissibilità della domanda d'ammissione alla procedura di concordato preventivo quando si sostanzi in "un abuso del diritto del debitore, essendo funzionale ad allungare i tempi tesi a pervenire alla regolazione dello stato di dissesto".
Ad avviso dei Giudici di legittimità, la declaratoria d'inammissibilità diviene conseguenza logica e necessaria allorquando lo strumento parafallimentare venga utilizzato non per regolare la crisi d'impresa tramite l'accordo con i creditori, ma per differire l'inevitabile dichiarazione di fallimento.
La valutazione sull'ammissibilità della domanda d'ammissione al concordato dipende, oltre dalla ricorrenza dei requisiti previsti dagli art. 160 e 161 L.F., anche dalla buona fede del ricorrente che dovrà, pertanto, essere oggetto di accertamento da parte del Tribunale.
Il concordato preventivo è stato concepito come un strumento per consentire all'impresa in crisi di dismettere tutto il proprio patrimonio e soddisfare i creditori sociali, secondo i canoni di buona fede e correttezza, al fine di evitare la dichiarazione di fallimento, evidentemente negativa sia per il debitore, che per i creditori.  
Il ricorso alle cautele previste dagli artt. 167 e 168 L.F., infatti, non deve prevaricare le finalità per le quali l'ordinamento le ha predisposte, altrimenti si avrebbe un abuso del processo, che ricorre, come nel caso di specie, quando v'è la violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede e dei principi di lealtà processuale e del giusto processo. 
La sentenza in esame si pone in continuità con l'orientamento maggioritario della Suprema Corte, segnato dalla famosa sentenza n. 9935 del 15 maggio 2015, ove la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha espressamente sancito che il ricorso allo strumento concordatario è inammissibile quando è finalizzato a ritardare la dichiarazione di fallimento dell'impresa, perchè integra gli estremi di un abuso del processo, oltre a violare i canoni generali di correttezza e buona fede ed i principi di lealtà processuale.