Pubbl. Mar, 4 Apr 2017
Il maltrattamento degli animali è un REATO. Non si tratta più solo di un ´delitto contro il patrimonio´.
Modifica pagina
Simona Iachelli
Analisi e riflessione sulla normativa penale posta a tutela degli animali.
Sommario: 1. Premessa. 2. Analisi delle fattispecie principali: uccisione, maltrattamento di animali, spettacoli e manifestazioni vietate. 3. Considerazioni conclusive.
Premessa
La tutela penale degli animali è stata oggetto di un lungo e travagliato iter normativo caratterizzato dal susseguirsi di diversi interventi legislativi.
In origine, tale tutela era piuttosto blanda, essendo assicurata soltanto dalla contravvenzione di cui all'art. 727 c.p. che tutelava il sentimento di pietà degli esseri umani verso gli animali, considerando quest'ultimi non come soggetti di diritto quanto oggetto di tutela.
L'apparato sanzionatorio predisposto dalla precedente versione dell'art. 727 c.p. ben presto si rivelò insufficiente per la repressione delle forme più odiose di vessazione nei confronti degli animali, considerato che puniva con la sola pena dell'ammenda le condotte di maltrattamento dirette contro gli animali.
L'infelice scelta sanzionatoria aveva l'effetto pratico di “bagatellizzare” il reato, rendendo la contravvenzione sempre oblazionabile e neutralizzando del tutto l'apparato costituito dalle numerose pene accessorie. [1]
L'esigenza di rafforzamento delle norme poste a tutela degli interessi degli animali, accompagnata dal mutamento della sensibilità sociale, hanno gettato le basi di un percorso volto a riconoscere una seppur minima soggettività all'animale. Così nel 1993, il legislatore ha, da un lato, riformulato l'art. 727 c.p., mediante l'eliminazione della possibilità di sottoporre a tortura gli animali per necessità, dall'altro, ha introdotto nuove fattispecie contravvenzionali.
Ma soltanto nel 2004 si è giunti alla riforma più significativa con l'emanazione della Legge n. 189 del 20 luglio 2004, recante “Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento di animali nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate”, la quale ha parzialmente abrogato l'art. 727, riformulando alcune delle fattispecie incriminatrici ivi previste ed inserendole in un nuovo titolo (IX bis) del libro secondo del codice penale. In tal modo, il legislatore ha inteso configurare gli illeciti in materia di animali come delitti, anziché come contravvenzioni, con riflessi sull'elemento soggettivo e, pertanto, sulla sfera di operatività della norma. È, infatti, del tutto evidente che, nel silenzio della legge, le condotte integranti gli estremi di reato debbono essere caratterizzate dall'elemento psichico del dolo. Pertanto, non saranno più punibili i fatti colposi, con conseguente restrizione dell'ambito di applicabilità della norma incriminatrice, ad eccezione delle ipotesi contravvenzionali disciplinate dal nuovo art. 727.
L'intervenuta trasformazione in delitti e il conseguente inasprimento sanzionatorio rappresentano senza dubbio chiari indici della volontà del legislatore di rafforzare in maniera concreta l'effettività delle norme penali a tutela degli animali, nonché di introdurre nuove fattispecie incriminatrici tese a contrastare alcune attività della criminalità organizzata aventi ad oggetto il loro sfruttamento.
I nuovi delitti incriminano, per lo più, le singole condotte già delineate dal previgente art. 727. Le uniche fattispecie di reato prima non previste sono rappresentate dall'uccisione di animali ex art. 544 bis c.p., la quale si configura, ad oggi, come reato autonomo, anziché come aggravante, nonché dal combattimento tra animali, ora espressamente vietato ai sensi dell'art. 544 quinquies. In proposito la Suprema Corte ha osservato che tra il previgente art. 727 e gli artt. 544 bis ss. c.p. sussiste continuità normativa sia con riferimento al bene protetto sia per quanto attiene alle condotte.
Discussa è l'individuazione del bene giuridico tutelato dall'intero titolo IX bis.
Secondo l'impostazione tradizionale, oggetto di tutela sarebbe il "sentimento per gli animali", ossia "il sentimento umano di pietà e compassione per la sofferenza degli animali". In quest'ottica, quindi, l'animale costituiva solo l'oggetto materiale del reato, e non il bene giuridico protetto.[2]
Viceversa, per un diverso orientamento, la normativa de qua appronterebbe una tutela diretta degli animali, in quanto autonomi esseri viventi (6) . Quest’ultimo orientamento è quello accolto dalla giurisprudenza di legittimità, la quale, durante la vigenza del vecchio art. 727 c.p., aveva delineato un quadro normativo alla luce del quale anche gli animali, quali autonomi esseri viventi, costituiscono bene protetto dalla norma. In particolare, secondo la Suprema Corte, gli animali hanno una propria sensibilità psico-fisica e sono in grado di reagire agli stimoli del dolore qualora questi superino la soglia di normale tollerabilità.[3]
Ciò posto, occorre rilevare che la scelta operata dal legislatore del 2004, consistente nel denominare il nuovo titolo IX bis "Dei delitti contro il sentimento degli animali", sembrerebbe porsi in linea con l'orientamento tradizionale, nonostante le tendenze già emerse con la riforma del 1993 e anticipate da talune prese di posizione giurisprudenziali che reclamavano forme di tutela direttamente calibrate sulla sensibilità degli animali vittime dell'uomo.
In ogni caso, non può non apprezzarsi la nuova previsione dell’uccisione di animali quale reato autonomo anziché circostanza aggravante, per effetto della quale si riconosce il valore giuridico della vita dell'animale, che è soggetto passivo del reato e non mero oggetto materiale, seppur in una prospettiva di unità dell'ordinamento che esclude qualsivoglia conflitto con le attività lecite che sono espressione della natura e della cultura umana. Infatti, il legislatore ha previsto tra gli elementi oggettivi del fatto l'assenza di "necessità" e la "crudeltà" che, anche oltre i limiti delle scriminanti in senso stretto, escludono il potenziale conflitto con altri beni giuridici gravitanti attorno all'uomo.
Analisi delle fattispecie principali: uccisione, maltrattamento di animali, spettacoli e manifestazioni vietate.
Come già anticipato, una delle novità di maggior rilievo apportate dalla riforma del 2004 è l'inserimento nel tessuto codicistico dell'art. 544 bis c.p., il quale incrimina l'uccisione di animale, punendo chiunque (trattasi di reato comune) cagiona la morte di un animale per crudeltà o senza necessità. [4]
Con tale disposizione il legislatore ha colmato un'inspiegabile ed irragionevole lacuna del precedente assetto normativo, nel quale la morte dell'animale era contemplata esclusivamente quale circostanza aggravante della condotta base di maltrattamento descritta dal vecchio art. 727 c.p. , ovvero quale evento tipico del diverso reato previsto dall'art. 638 c.p., posto a tutela di interessi esclusivamente patrimoniali estranei alla sfera del soggetto agente. Ne derivava, dunque, una situazione paradossale in cui l'uccisione gratuita dell'animale proprio, ovvero res nullius, non era autonomamente sanzionata, sfuggendo addirittura del tutto al rimprovero penale se non integrata dalle modalità tipiche del maltrattamento disegnate dall'art. 727 c.p.
Da un punto di vista materiale, la descrizione della condotta incriminata ricalca quella del delitto di omicidio, a tal punto che tra i primi commentatori della riforma si è proposto il ricorso al neologismo “animalicidio” per indicare il nuovo reato. Si tratta, quindi, di una fattispecie a forma libera o causalmente orientata, che, pertanto, può essere integrata anche da una condotta omissiva.
È evidente comunque il carattere speciale della fattispecie che si ricava da due elementi qualificatosi che devono accompagnare il comportamento che causa la morte: la crudeltà e l'assenza di necessità.
Quanto al primo, è necessario che la condotta sia attuata con modalità che comportino inutili patimenti per chi la subisce. Invero, nonostante l'espressione “per crudeltà” impiegata dal legislatore possa far pensare ad una condotta posta in essere con modalità e per motivi che urtano la sensibilità, deve ritenersi che essa si riferisca a quei fatti che comportino l'inflizione di gravi sofferenze fisiche senza apportare alcun'apprezzabile utilità al perseguimento delle attività umane.
Per quanto riguarda, invece, l'assenza di necessità, la dottrina e la giurisprudenza prevalenti ritengono che la nozione di necessità che viene qui in rilievo non deve confondersi con quella che emerge dalla scriminante di cui all'art. 54 c.p., dovendo essere intesa in senso relativo, cioè che rende non punibile la condotta umana se posta in essere per soddisfare un bisogno umano (alimentazione) o per fini produttivi (se realizzati nel rispetto delle sue norme disciplinatorie).
Sotto il profilo soggettivo, nel silenzio della legge, il delitto in esame è punibile solo a titolo di dolo, a differenza di quanto accadeva precedentemente in presenza di un illecito configurato come contravvenzione. Peraltro, la presente fattispecie, per la sua struttura oggettiva, è ontologicamente incompatibile con la colpa.
È opportuno segnalare che sono stati sollevati dubbi di legittimità della norma in esame, per contrasto con il principio di tassatività, in ordine alla scelta di utilizzare concetti quali l'assenza di necessità e la crudeltà, atteso che sono alquanto indeterminati ed il legislatore non ha fornito alcun parametro che ne definisca il contorno preciso.
Si è, altresì, rilevato come l'alternativa tra crudeltà e assenza di necessità renda imputabile l'uccisione di animali, in situazioni di necessità, eseguita, però, in modo crudele. È questa l'ipotesi, ad esempio, di abbattimento di animali malati.
Le osservazioni finora svolte possono essere integralmente riferite anche alla figura di maltrattamento di animali introdotta dal nuovo art. 544- ter c.p., il quale incrimina chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale, ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche. [5]
La novità consiste nell'introduzione della condotta di lesioni che, al pari di quanto accade per l'art. 544 bis, è penalmente rilevante laddove sia stata commessa “per crudeltà o senza necessità”; per tali concetti si rinvia, pertanto, a quanto detto con riferimento alla fattispecie precedente.
La norma configura un reato d'evento a forma libera e, pertanto, assume rilievo qualsiasi comportamento umano, attivo od omissivo, che abbia causato all'animale una lesione o sofferenza. In tale prospettiva, si è quindi osservato che possono rientrare nell'ambito operativo della fattispecie in esame anche le condotte che non comportano sofferenza alcuna per l'animale, perché indolori o perché precedute dalla somministrazione di antidolorifici o anestetici .
In particolare, il primo evento tipico della condotta di maltrattamento consiste nella produzione di una vera e propria lesione ai danni dell'animale. Quest'ultima sembra doversi intendere nello stesso senso fatto proprio dagli artt. 582 e 590 c.p. , vale a dire come una malattia incidente sull'integrità fisica dell'essere senziente.
Allo stesso modo, anche la sottoposizione a sevizie o a comportamenti - di cui le fatiche e i lavori sembrano rappresentare delle mere esemplificazioni - insopportabili per le caratteristiche etologiche evocano il patimento di una grave sofferenza fisica, con ciò ribadendo la necessità di tale elemento quale espressione concretamente lesiva della sensibilità dell'animale. [6]
Carattere di innovatività rappresenta, senza dubbio, il co(gradi)mma 2 della norma in esame, che punisce la somministrazione di sostanze stupefacenti o vietate, ovvero la sottoposizione dell'animale ad un trattamento dal quale derivi un danno alla salute.
Per consolidata giurisprudenza, oggetto di tutela qui sembra essere direttamente l'animale, sanzionando la norma alternativamente due condotte di cui la prima sembra essere di pericolo, mentre la seconda di danno. Invero, viene punita la mera somministrazione di sostanze stupefacenti o vietate a prescindere dall'accertamento dell'avvenuta realizzazione di un danno alla salute dell'animale. Ne consegue che trattasi di reato a pericolo presunto se si ha riguardo al bene giuridico della salute dell'animale, atteso che il legislatore non richiede alcuna verifica in ordine alle conseguenza della somministrazione. Laddove si ritenga, invece, che la salute dell'animale sia tutelata solo in via riflessa, secondo la concezione antropocentrica, il reato dovrà qualificarsi di danno, atteso che viene leso il sentimento di pietà che l'uomo nutre per gli animali.
Dal punto di vista soggettivo, i reati in esame sono punibili a titolo di dolo generico.
Infine, con l'introduzione degli artt. 544- quater (spettacoli o manifestazioni vietati)[7] e 544- quinquies c.p. (divieto di combattimento tra animali)[8], la legge 189/2004 interviene a sanzionare condotte che, pur avendo ad oggetto fatti connessi allo sfruttamento degli animali, sembrano piuttosto riferirsi a talune attività tipiche della criminalità organizzata.
In particolare, l'art. 544- quater c.p., sanzionando la condotta di chiunque organizza o promuove spettacoli che comportino sevizie o strazio per gli animali, riproduce in parte il 4 comma del previgente art. 727 c.p.
L'autonoma configurazione di tale disposizione - la cui condotta potrebbe in astratto già rientrare nella fattispecie di maltrattamento di animali - si giustifica con la volontà del legislatore di irrogare, nei confronti di quei soggetti che assumono un ruolo preminente nell'organizzazione di attività che determinano gravi lesioni agli interessi degli animali, una pena più severa di quella derivante dalla semplice applicazione dell'aggravante prevista dall'art. 112 comma 1 n. 2 c.p.
Tale impostazione trova conferma nella previsione di una serie di aggravanti tipicamente dirette a reprimere le attività del crimine organizzato.
La norma che maggiormente è indirizzata a contrastare l'illecito sfruttamento degli animali è l’art. 544- quinquies c.p. Invero, la norma punisce la condotta di chiunque promuove, organizza o dirige combattimenti o competizioni tra animali non autorizzate tali da metterne in pericolo l'integrità fisica.
Ancora una volta, dunque, le condotte di organizzazione sono messe al centro della fattispecie, la quale, però, prima ancora di guardare al livello del pericolo - da ritenersi concreto - cui sono esposti gli interessi animali, criminalizza i combattimenti o le manifestazioni non regolarmente autorizzate. Tale aspetto della norma rende evidente lo scopo del legislatore di perseguire soprattutto i contesti clandestini dove solitamente ha luogo lo sfruttamento criminale degli animali e, al contempo, di lasciare esenti da pena le manifestazioni regolarmente autorizzate che pure possono comportare rischi per questi ultimi.
Considerazioni conclusive.
Dall’esame delle singole disposizioni si evince che la maggiore attenzione alla salvaguardia della sensibilità dell'animale non ha determinato l'attribuzione di diritti in capo ai medesimi, secondo le più moderne istanze del cosiddetto. “animal rightism”.
Il legislatore ha adottato la concezione del cosiddetto “animal welfare”, recepita dal documento elaborato dal Comitato nazionale di bioetica del 19 settembre 2003 relativo all'ammissibilità delle macellazioni rituali, nel quale si afferma che l'innegabile superiorità della specie umana non può certo giustificare la sopraffazione arbitraria di tutte le altre specie animali, bensì impone all'uomo un dovere di cura degli altri viventi coinvolti nelle sue attività, che devono essere svolte minimizzando le sofferenze imposte agli animali e garantendone, per quanto possibile, il benessere.
In tale prospettiva si comprende che la tutela degli animali, per quanto la si voglia definire diretta, si rivela pur sempre relativa, nel senso che la sua ampiezza varia a seconda di ciò che l'uomo considera necessario - o, forse, anche solo utile o opportuno - nell'esercizio di tutte quelle attività che coinvolgono gli animali.
L'individuazione del bene giuridico protetto nel diritto degli animali alla vita e a non soffrire non trova riscontro nel tenore letterale delle norme. Invero, occorre considerare che persino le fattispecie dirette a reprimere le condotte più gravemente lesive degli interessi degli animali fanno riferimento a valori e necessità pur sempre riferibili all'uomo.
Pertanto, il bene che giustifica l'incriminazione delle condotte dirette contro gli animali continua ad essere la sensibilità diffusa nella collettività, alla quale ripugna l'inflizione di sofferenze non necessarie ad esseri senzienti, i quali riceveranno una tutela soltanto mediata, riflesso dell'avanzamento di tale sentimento.[9]
In conclusione, sarebbe auspicabile una nuova riforma legislativa che riconosca agli animali la titolarità di autentici diritti rispetto ai quali l’ordinamento dovrà predisporre la più rigorosa ed effettiva tutela diretta.
Note e riferimento bibliografici:
[1] P. Ardia, “LA NUOVA LEGGE SUL MALTRATTAMENTO DEGLI ANIMALI: SANZIONI E AMMENDE PER I COMBATTIMENTI CLANDESTINI E PER CHI ABBANDONA” in Dir. Pen. e Processo, 2004, 12, 1462
[2] Cass. pen., sez. III, 24 ottobre 2007, n. 44822, in DeJure, secondo cui "la norma è volta a proibire comportamenti arrecanti sofferenze e tormenti agli animali, nel rispetto del principio di evitare all'animale, anche quando questo debba essere sacrificato per un ragionevole motivo, inutili crudeltà ed ingiustificate sofferenze. (...) In tali disposizioni l'oggetto di tutela è il sentimento di pietà e di compassione che l'uomo prova verso gli animali e che viene offeso quando un animale subisce crudeltà e ingiustificate sofferenze. Scopo dell'incriminazione è quindi di impedire manifestazioni di violenza che possono divenire scuola di insensibilità delle altrui sofferenze".
[3] Cass. Pen., sez. III, n. 184162 del 14 marzo 1990.
[4] Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da quattro mesi a due anni.
[5] Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro (1).
La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi.La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell'animale.
[6] P.Ardia, cit.
[7] Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque organizza o promuove spettacoli o manifestazioni che comportino sevizie o strazio per gli animali è punito con la reclusione da quattro mesi a due anni e con la multa da 3.000 a 15.000 euro.
La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti di cui al primo comma sono commessi in relazione all'esercizio di scommesse clandestine o al fine di trarne profitto per sè od altri ovvero se ne deriva la morte dell'animale.
[8] Chiunque promuove, organizza o dirige combattimenti o competizioni non autorizzate tra animali che possono metterne in pericolo l'integrità fisica è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 50.000 a 160.000 euro.
La pena è aumentata da un terzo alla metà:
- se le predette attività sono compiute in concorso con minorenni o da persone armate;
- se le predette attività sono promosse utilizzando videoriproduzioni o materiale di qualsiasi tipo contenente scene o immagini dei combattimenti o delle competizioni;
- se il colpevole cura la ripresa o la registrazione in qualsiasi forma dei combattimenti o delle competizioni.
Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato, allevando o addestrando animali li destina sotto qualsiasi forma e anche per il tramite di terzi alla loro partecipazione ai combattimenti di cui al primo comma è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 5.000 a 30.000 euro. La stessa pena si applica anche ai proprietari o ai detentori degli animali impiegati nei combattimenti e nelle competizioni di cui al primo comma, se consenzienti.
Chiunque, anche se non presente sul luogo del reato, fuori dei casi di concorso nel medesimo, organizza o effettua scommesse sui combattimenti e sulle competizioni di cui al primo comma è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 5.000 a 30.000 euro.
[9] P. Ardia, cit.