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Pubbl. Lun, 27 Mar 2017

La nuova responsabilità della struttura sanitaria e del medico: rapporti e peculiarità.

Enrica Contino


Partendo dall´analisi della responsabilità extracontrattuale e della responsabilità contrattuale, il presente articolo ne illustra le differenze e pone l’attenzione sul regime di responsabilità della struttura sanitaria e dei medici che prendono in cura il paziente, nonché sui rapporti tra le rispettive responsabilità.


La responsabilità extracontrattuale, detta “aquiliana”, è quella che consegue quando un soggetto viola un dovere generico indicato dalla dottrina con l’espressione “neminem laedere”.

La responsabilità extracontrattuale, detta “aquiliana”, è quella che consegue quando un soggetto viola un dovere generico indicato dalla dottrina con l’espressione “neminem laedere”.

La norma di riferimento è l'art. 2043 c.c., in base al quale “qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”; pertanto, il fondamento della responsabilità extracontrattuale si rinviene in “qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto”.

Il carattere generico di tale espressione indice a considerare la stessa alla stregua di una clausola generale dell'ordinamento, giungendo alla caratterizzazione della c.d. atipicità dell'illecito civile.

Invero, spetta all'autorità giudiziaria decidere se un dato comportamento può ritenersi lesivo o meno della regola base di convivenza pacifica, verificando, altresì, la sussistenza di tutti gli elementi strutturali individuati dall'art. 2043 c.c., cioè il fatto illecito, il danno ingiusto, il nesso di causalità tra questi, la colpevolezza dell'agente e l'imputabilità del fatto lesivo.

Il fatto illecito è qualunque fatto, atto o comportamento umano doloso o colposo in grado di cagionare ad altri un danno ingiusto; in esso possono farsi rientrare sia le condotte commissive che omissive, purché riconducibili, secondo il nesso di causalità, all'evento dannoso ove esista un vero e proprio obbligo giuridico di impedire lo stesso.

Nell'ordinamento civile l'illecito è atipico, nel senso che ogni violazione del principio del neminem laedere in grado di provocare un danno ingiusto ad altri va risarcita; spetta al giudice individuare, di volta in volta, se un fatto, sulla base degli elementi strutturali individuati dall'art. 2043 c.c., possa ritenersi idoneo ad integrare la responsabilità aquiliana.

L'interpretazione fornita da dottrina e giurisprudenza (cfr. nota sentenza Cass., SS.UU., n. 500/1999) ha ampliato negli anni la nozione di “ingiustizia del danno” aldilà della sola funzione sanzionatoria della violazione dei precetti preesistenti nell'ordinamento giuridico, ricomprendendovi qualsiasi condotta colpevole di aver determinato un danno ingiusto ad una posizione di interesse giuridicamente apprezzabile e meritevole di tutela da parte dell'ordinamento, sia sotto il profilo del danno patrimoniale che non patrimoniale.

Il danno ingiusto è escluso nel caso in cui sussista una causa di giustificazione, come lo stato di necessità o la legittima difesa.

Affinché sorga l'obbligo del risarcimento del danno è necessario che lo stesso sia causalmente riconducibile al fatto illecito cioè che sussista un rapporto di causa-effetto tale che l'evento dannoso possa dirsi provocato dal fatto compiuto.

Con riferimento alla causalità giuridica, l'art. 1223 c.c. stabilisce che il danno risarcibile deve essere la conseguenza diretta e immediata della condotta illecita, mentre per quanto concerne la causalità materiale si fa riferimento alle teorie sviluppate in ambito penalistico.

Altro requisito dell'illecito aquiliano è quello della colpevolezza, cioè del nesso psichico che ricollega la condotta all'agente.

Ai fini della configurazione della responsabilità extracontrattuale l'art. 2043 c.c. distingue, gli elementi della colpa e del dolo, senza fornire, peraltro, nessuna definizione; pertanto, a tal fine tornano utili le definizioni fornite dalla disciplina penalistica secondo la quale l'evento doloso è quello previsto e voluto dal soggetto come conseguenza della propria azione o omissione, mentre l'evento colposo è quello non voluto dall'agente, ancorché previsto, che si verifica per negligenza, imprudenza e imperizia ovvero per violazione di specifiche regole di condotta.

Esistono tuttavia delle fattispecie nelle quali non è necessaria la sussistenza della colpevolezza; si tratta della c.d. “responsabilità oggettiva” che si caratterizza per il fatto che le conseguenze dannose di un determinato evento lesivo vengono poste a carico di un determinato soggetto esclusivamente sulla base del nesso eziologico con la condotta dell'agente, prescindendo da qualsiasi indagine in ordine al profilo della colpevolezza.

Ulteriore requisito per l'addebito della responsabilità extracontrattuale è l'imputabilità, ovvero la riconduzione della condotta colpevole ad un soggetto fornito di adeguata capacità di intendere e di volere; ai sensi dell'art. 2046 c.c., infatti, “non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la capacità di intendere e di volere al momento in cui lo ha commesso, a meno che lo stato di incapacità derivi da sua colpa”.

A differenza della disciplina penale, invero, in ambito civilistico, il requisito di incapacità è più elastico e va valutato in concreto caso per caso dal giudice civile sulla base delle regole di comune esperienza, delle nozioni scientifiche fornite dagli esperti, correlando la sanzione al tipo di illecito, alla gravità del fatto e alla personalità del suo autore.

Nella responsabilità extracontrattuale spetta a chi agisce per ottenere il risarcimento dover dimostrare non solo i fatti costitutivi della sua pretesa, ma altresì la riconducibilità agli stessi del comportamento del convenuto; ciò implica che, in presenza di un fatto storico qualificabile come illecito civile ai sensi dell'art. 2043 c.c. incombe in capo alla parte danneggiata l'onere della prova degli elementi costitutivi di tale fatto, del nesso di causalità, del danno ingiusto e della imputabilità soggettiva.

La prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento del danno determinato da fatto illecito decorre dal momento in cui il danno si manifesta all'esterno divenendo oggettivamente percepibile e conoscibile; è noto, infatti, che laddove la percezione del danno non sia manifesta ed evidente, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito, cosi come di quello dipendente da responsabilità contrattuale, sorge non dal momento in cui il fatto del terzo determina ontologicamente il danno all'altrui diritto, bensì dal momento in cui la produzione del danno si manifesta all'esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile.

Sebbene parte della dottrina si muova verso il superamento della distinzione tradizionale tra le due tipologie di responsabilità, contrattuale ed extracontrattuale, nel senso di una uniformità di disciplina, le stesse differiscono in ordine a diversi profili.

La responsabilità contrattuale consiste nella violazione di uno specifico dovere, proveniente da un preesistente vincolo obbligatorio rimasto inadempiuto; essa è disciplinata dall'art. 1218 c.c., il quale dispone che “il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l'inadempimento o il suo ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”. 

Il debitore che, nonostante abbia agito con la diligenza richiesta, non abbia potuto adempiere all'obbligazione, sarà comunque esonerato dalla responsabilità risarcitoria. La diligenza cui fa riferimento il primo comma dell'art. 1176 c.c. è quella media del “buon padre di famiglia”, mentre quella di cui al secondo comma, relativa all'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, va valutata con riguardo alla natura dell'attività esercitata.

Nella responsabilità contrattuale, in ragione di una ingiustizia del danno in re ipsa, causato dall'inadempimento sanzionato a prescindere dalla verifica della sussistenza dell'elemento psicologico del dolo o della colpa, si assiste ad una inversione dell'onere probatorio.

Infatti, trova applicazione il principio della presunzione della colpa, spettando al creditore solo l'onere della prova dell'inadempimento e dell'entità del danno, mentre, di converso, al debitore spetterà, per sottrarsi all'obbligo risarcitorio, dimostrare l'impossibilità sopravvenuta della prestazione per cause a lui non imputabili.

Il risarcimento del danno dovuto all'inadempimento o al ritardo deve comprendere sia la perdita subita dal creditore (danno emergente) che il mancato guadagno (lucro cessante), in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta; ove l'inadempimento o il ritardo non abbiano natura dolosa, il risarcimento è limitato al solo danno prevedibile al tempo in cui è sorta l'obbligazione.

All'illecito contrattuale si applica l'art. 2946 c.c. che prevede il termine ordinario di decorrenza decennale, salvo i tempi più brevi previsti per specifiche tipologie di contratti.

La prima differenza fra i due tipi di responsabilità concerne la valutazione del danno.

In materia di responsabilità extracontrattuale l'art. 2056 c.c. contiene un espresso rinvio all'art. 1223 c.c., all'art. 1226 c.c. e all'art. 1227 c.c.; l’ art. 2056 c.c. non richiama, invece, l'art. 1225 c.c., applicabile, di contro, per i casi di responsabilità contrattuale. Tale disposizione limita il risarcimento al danno che poteva prevedersi al tempo in cui è sorta l'obbligazione, allorché non sia ravvisabile, nella condotta del debitore, né dolo, né colpa.

L'orientamento unanime, in proposito, è che il legislatore abbia volutamente tralasciato di richiamare l'art. 1225 c.c. e che pertanto il criterio della prevedibilità del danno non si applichi alla responsabilità extracontrattuale.

Altra differenza degna di nota è rinvenibile in materia di onere della prova. Mentre nella responsabilità extracontrattuale, ai sensi dell'art. 2697 c.c., spetta al danneggiato dimostrare l'esistenza di tutti gli elementi indefettibili del fatto illecito, compreso l'atteggiamento soggettivo dell'autore, in quella contrattuale il legislatore ha introdotto una presunzione relativa di colpevolezza del debitore che si rende inadempiente, esonerando l'attore dal relativo onere probatorio. La relatività della presunzione consente al debitore di liberarsi da ogni responsabilità provando l'assenza di una qualsiasi colpa propria, essendo l'impossibilità di adempiere derivata da causa a lui non imputabile.

Un'ulteriore differenza di disciplina può rinvenirsi in merito all'istituto della mora. Solo nella responsabilità contrattuale tale figura non opera mai al semplice verificarsi del ritardo, ammettendosi un certo grado di tolleranza del creditore; nella responsabilità extracontrattuale, al contrario, la mora opera automaticamente, poiché non è tollerato alcun ritardo.

Altra differenza concerne le regole applicabili in materia di prescrizione. L'articolo 2947 c.c. prevede il termine breve di cinque anni per il risarcimento del danno da illecito extracontrattuale, riducendolo a due anni per i danni da circolazione di veicoli. In campo contrattuale, invece, l’art. 2946 c.c. prevede un lasso di tempo di dieci anni, quale termine prescrizionale generale, fatta eccezione per alcuni contratti di cui agli articoli da 2949 a 2952 c.c..

Autorevole dottrina, infine, sottolinea una rilevante differenza in tema di capacità richiesta ai fini dell'imputabilità della responsabilità: nella responsabilità contrattuale è necessaria quella di agire, mentre in quella extracontrattuale basta quella naturale, ossia la capacità di intendere e di volere al momento della commissione del fatto.

Nel corso degli anni, dottrina e giurisprudenza hanno analizzato la natura della responsabilità del medico e della struttura sanitaria; in particolare, hanno distinto la responsabilità della struttura sanitaria da quella del singolo medico, che concretamente, con la sua condotta ha provocato lesioni o, nei casi più gravi, la morte del paziente.

E’ ormai consolidato, l’orientamento giurisprudenziale, condiviso anche dalla dottrina prevalente, che qualifica la responsabilità della struttura sanitaria come responsabilità contrattuale ex art 1218 c.c.; tale orientamento, si basa sulla circostanza che l’accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto atipico, il c.d. contratto di spedalità o di assistenza sanitaria, che comprende prestazioni primarie di carattere medico-sanitario e prestazioni accessorie quali vitto, alloggio ed assistenza.

Quanto invece alla responsabilità del singolo medico, vi sono stati diversi dubbi interpretativi, circa la natura di tale responsabilità, in particolare ci si chiede che tipo di responsabilità vada ascritta al medico nel momento in cui il paziente si è rivolto ad una struttura sanitaria, ed è stato occasionalmente curato da un medico, il quale a sua volta ha un rapporto di lavoro con tale ente ed ha causato un danno al paziente.

Dopo diversi dibattiti, la Suprema Corte di Cassazione ha segnato una svolta, affermando per la prima volta la natura contrattuale della responsabilità medica, precisando che, nel momento in cui il paziente si reca in ospedale e il medico lo prende in cura, si configura una sorta di obbligazione senza prestazione che trova la sua fonte nel c.d. contatto sociale.

Poiché l’art. 1173 c.c. dispone che le obbligazioni derivano da contratto, fatto illecito o da ogni altro atto o fatto idonee a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico, in quest’ultima espressione potrebbe ritenersi incluso il contatto sociale come fonte delle obbligazioni.

Continua a parlarsi di responsabilità di natura contrattuale, nonostante l’intervento normativo sulla responsabilità medica operato dal c.d. Decreto Legge Balduzzi n.158/2012, convertito in legge 189/2012.

L’art. 3 del D.L. Balduzzi dispone che l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene alle linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, non risponde penalmente per colpa lieve. Precisa, inoltre che in tali casi, resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c..

Il richiamo espresso dalla legge Balduzzi all’art. 2043 c.c., norma dettata in tema di responsabilità extracontrattuale, pone ulteriori dubbi circa la qualificazione della natura della responsabilità medica.

La Cassazione ha costantemente inquadrato la responsabilità dell'ente ospedaliero nella responsabilità contrattuale, rilevando che l'accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto.

L’orientamento più recente della giurisprudenza pone a fondamento della responsabilità della struttura sanitaria la figura del contratto atipico c.d. di spedalità o di assistenza sanitaria.

Il rapporto che si instaura con il paziente ha fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell’obbligazione al pagamento del corrispettivo, insorgono a carico dell’ente, accanto a quelli di tipo alberghiero, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell’apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze.

Ne consegue che la responsabilità dell’ente nei confronti del paziente ha natura contrattuale, e può conseguire, ai sensi dell’art. 1218 c.c., all’inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonché, ai sensi dell’art. 1228 c.c., all’inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale.

Attualmente, da un lato vi è un orientamento giurisprudenziale minoritario, il quale sostiene la natura extracontrattuale ex art. 2043 c.c. della responsabilità medica e la natura contrattuale della responsabilità della struttura sanitaria; secondo tale orientamento, incorre in responsabilità aquiliana il soggetto che viola il dovere giuridico del non ledere l’altrui sfera giuridica e in virtù dell’art. 2043 del c.c., la colpa del danneggiante deve essere sempre provata da chi agisce in giudizio quale danneggiato o da chi ne pretende il risarcimento ex art. 2697 c.c.. e il relativo diritto al risarcimento del danno, si prescrive in cinque anni, secondo la regola generale dell’art. 2043 c.c..

La giurisprudenza prevalente, d’altro canto, predilige la natura contrattuale della responsabilità del singolo sanitario, precisamente da “contatto sociale”, responsabilità solidale con la struttura sanitaria ai sensi del combinato disposto degli art. 1218 e 1228 c.c..

La responsabilità del medico si estende alla struttura sanitaria ove lo stesso opera e nella cui organizzazione è inserito, ai sensi dell’art. 1228 c.c. il quale esplica una forma di responsabilità indiretta, secondo cui “il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro”.

Tuttavia, qualora la struttura sanitaria volesse dimostrarsi esente da tale responsabilità, dovrà provare di aver predisposto in maniera eccellente e tempestiva tutti i servizi richiestile e di essersi avvalsa di personale idoneo e competente.

Da quanto sopra esposto emerge come per la consolidata giurisprudenza maggioritaria, il medico risponda di responsabilità contrattuale da contatto sociale qualificato, il quale viene ad esistenza quando il paziente si sottopone ad una prestazione medica, quale visita, cura, trattamento o intervento ai fini della guarigione.

Tuttavia, è opportuno precisare come l’obbligazione del medico e quella del professionista in generale, si configurino come un’obbligazione non di risultato, bensì di mezzi, nel senso che il paziente non potrà mai rivendicare e pretendere la guarigione, ma potrà solo esigere che l’attività professionale sia ottemperata in modo diligente.

Quanto all’onere probatorio, in caso di responsabilità contrattuale, al paziente  basterà meramente dimostrare che a seguito delle prestazioni mediche abbia subito un aggravamento delle sue condizioni psicofisiche, mentre il medico sarà onerato dalla prova relativa alla diligenza della sua specifica opera professionale e alla riconducibilità degli esiti negativi e peggiorativi della salute del paziente ad eventi imprevedibili.

Il medico sarà dunque responsabile qualora il suo operato non sia stato esplicato in modo diligente; tuttavia occorre precisare che il livello di garanzia richiesto è quello indicato nell’art. 1176 comma 2, cioè quello di diligenza qualificata previsto in caso di attività professionale, rapportata alla natura dell’attività esercitata.

Prima dell’intervento delle SS. UU. del 2001, nell’ambito della responsabilità medica vi era una distinzione rilevante sul piano dell’allocazione dell’onere della prova fra due tipologie di interventi; gli interventi routinari, che comportano una guarigione sicura e gli interventi complessi caratterizzati da un’alea dove vi è un rischio rilevante per l’esito infausto.

Per gli interventi semplici si affermava che vi fosse in capo al soggetto creditore l’obbligo di provare la routinarietà dell’intervento; ne conseguiva che si presumeva che l’esito infausto non potesse che essere conseguenza di un errore terapeutico visto che nella normalità dei casi, a fonte di un intervento diligente non vi sarebbe stato esito infausto. Pertanto, il creditore non era tenuto a provare l’errore, perché presunto e competeva al medico dimostrare di aver osservato integralmente le misure di diligenza da lui esigibili.

Diversamente, negli interventi complessi si affermava che la presunzione di cui sopra non operasse e che il paziente avrebbe dovuto provare l’errore compiuto dal medico nel corso dell’intervento.

Questa differenziata allocazione dell’onere della prova venne superata dalle Sezioni Unite nel 2001 e, ad oggi, secondo l’orientamento ormai costante, il creditore deve provare la fonte del diritto e le conseguenze della lesione, ivi compreso il rapporto causale tra inadempimento e danno.

Il principio della vicinanza della prova, ossia la maggiore facilità di provare il fatto positivo dell’adempimento piuttosto che il fatto negativo dell’inadempimento e il principio di persistenza presuntiva del diritto, per cui il diritto di credito si presume non estinto fino a quando non si dimostri l’estinzione con il pagamento, sono i due principi che fondano il regime probatorio sancito dalle Sezioni Unite.

Le obbligazioni di mezzi, diventano sostanzialmente delle obbligazioni di quasi risultato sul piano del regime sostanziale e probatorio. Affermato che la responsabilità si presume e che il debitore deve provare di aver adempiuto correttamente, nella generalità dei casi il meccanismo dell’obbligazione dei mezzi funzionerà come obbligazione di risultato.

La giurisprudenza ha precisato che l’inversione dell’onere probatorio che impone al medico di provare la sua diligenza, fa sì che il paziente alleghi con sufficienza e specificità l’errore del medico, così rendendo chiaro l’oggetto della controprova esigibile dal medico. 

Il 28 febbraio 2017,la Camera ha operato un'importante modifica della disciplina della responsabilità medica, con l'approvazione del DDL Gelli.

Oggetto principale del disegno di legge è la sicurezza delle cure. Questa dovrà passare attraverso l’attivazione in ogni Regione di un Centro per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente, che si occuperà della raccolta dei dati su rischi ed eventi avversi e su cause, entità, frequenza e onere finanziario del contenzioso. Tali informazioni dovranno essere trasmesse all’Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità, ente da istituire, che dovrà individuare progetti per la sicurezza delle cure e per la formazione del personale. Con la nuova disciplina, le direzioni sanitarie dovranno trasmettere entro sette giorni la documentazione sanitaria richiesta dall’interessato e le strutture sanitarie dovranno pubblicare sui loro siti internet i dati relativi ai risarcimenti erogati negli ultimi cinque anni.

La nuova disciplina, inoltre, rivede il regime della della responsabilità professionale, introducendonel Codice penale il nuovo articolo 590 sexies, intitolato “Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario” con il quale viene escluda la punibilità, nel caso in cui l’evento si sia verificato a causa di imperizia e il professionista abbia rispettato le raccomandazioni previste dalle linee guida validate da società scientifiche accreditate e pubblicate online dall’Istituto superiore di sanità. Dal punto di vista civile, invece, viene previsto un doppio regime di responsabilità: da un lato, la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, anche per i danni derivanti dalle condotte dolose o colpose degli esercenti le professioni sanitarie; dall'altro quella, sempre contrattuale, di ogni professionista che abbia agito nell’adempimento di un’obbligazione contrattuale con il paziente.
Diversamente, riveste natura extracontrattuale la responsabilità civile degli esercenti le professioni sanitarie quando chiamati in causa. 

Il DDL introduce, inoltre, la procedura di conciliazione obbligatoria per chiunque intenda esercitare un’azione di responsabilità civile, pena la non procedibilità della domanda di risarcimento. 

Infine, la nuova legge introduce l'obbligo di copertura assicurativa su tutte le strutture pubbliche e private, anche per i danni attribuibili al personale a qualunque titolo operante; tale misura viene affiancata dall'istituzione di un fondo di garanzia destinato a coprire eventuali danni che non troverebbero altrimenti copertura.