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Pubbl. Ven, 30 Gen 2015

Immobile destinato a casa familiare: in caso di separazione a chi resta?

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Angela Cuofano


Un immobile adibito a casa familiare concesso a titolo di comodato. Due coniugi separati. Un innocente genitore. Quid iuris?


Con la sentenza n. 20448 del 29 settembre 2014, la Suprema Corte di Cassazione(1) torna ad occuparsi di una delle problematiche giuridiche più spinose degli ultimi tempi. Affronta, infatti, la delicata questione concernente la natura di un contratto di comodato (concluso con un figlio), avente ad oggetto un immobiledestinato a casa familiare e rimasto, in sede di separazione, a disposizione del coniuge non comodatario, affidatario dei figli minori.

Posta la grandissima frequenza di casi del genere nella società di oggi, la sentenza in commento si prospetta interessante, in quanto chiarisce alcuni aspetti relativi all’individuazione del regime contrattuale che caratterizza tale particolare forma di comodato.
La Cassazione è senz’altro cristallina, dopo aver esaminato le varie tipologie di comodato, nel ritenere che quello relativo ad immobile oggetto di accordo (in sede di separazione coniugale) per soddisfare le esigenze abitative della famiglia del comodatario, va ricondotto alla disciplina prevista dall'art. 1809 c.c., caratterizzandosi, perciò, per la contemplazione della facoltà del comodante di esigere la restituzione immediata solo in caso di sopravvenienza di un urgente ed imprevisto bisogno.
Quindi, considerata la destinazione dell’immobile quale casa familiare, a prescindere dall’eventuale, futura possibilità di separarsi, il contratto deve considerarsi sorto per realizzare un uso determinato e per un tempo determinabile (ancorché) per relationem.
Tale ricostruzione(2) implica che il comodatario, o coniuge separato affidatario della prole, che opponga alla richiesta di rilascio l'esistenza -con riferimento all'immobile (assegnatogli in godimento in sede di separazione)- di un contratto di comodato di casa familiare con scadenza non predeterminata, ha, in ogni caso, l'onere di riscontrare che tale era stata la pattuizione attributiva del diritto personale di godimento (e, quindi, del titolo che lo abilitava a proseguirne l'utilizzazione), con la conseguenza che -una volta assolto tale onere probatorio- si deve tener conto innanzitutto della necessità del soddisfacimento dei bisogni della prole affidata al coniuge comodatario.
In definitiva, risulta confermato il principio secondo cui il provvedimento, pronunciato nel giudizio di separazione o di divorzio, di assegnazione in favore del coniuge affidatario dei figli minori o maggiorenni non autosufficienti della casa coniugale non modifica né la natura, né il contenuto del titolo di godimento dell'immobile già concesso in comodato da un terzo per la destinazione a casa familiare; pertanto, la specificità della destinazione, per effetto della concorde volontà delle parti, è incompatibile con un godimento contrassegnato dalla provvisorietà e dall'incertezza, che caratterizzano il comodato cosiddetto precario, e che legittimano la cessazione "ad nutum" del rapporto su iniziativa del comodante, con la conseguenza che questi, in caso di godimento concesso a tempo indeterminato, è tenuto a consentirne la continuazione anche oltre l'eventuale crisi coniugale, salva l'ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed imprevisto bisogno.

1) Nella sua massima composizione nomofilattica.
2) Confermativa del precedente orientamento giurisprudenziale stabilito con la sentenza n. 13603/2004