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Pubbl. Lun, 6 Mar 2017

La Cassazione ammette la dichiarazione di fallimento sulle società sottoposte a sequestro preventivo antimafia.

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Rita Ciurca


La prima sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 608 del 12 gennaio 2017, ha affermato l’ammissibilità della dichiarazione di fallimento nell’ipotesi di società con patrimonio sottoposto totalmente a sequestro preventivo antimafia.


La confisca è l'atto col quale lo Stato acquisisce senza corrispettivo i beni di un privato. Il nostro ordinamento prevede numerose ipotesi di confisca, la distinzione principale è quella tra confisca penale e amministrativa.
La prima ha come finalità quella di prevenire o reprimere la commissione di reati; la seconda è l'effetto della commissione di illeciti amministrativi e può avere anch'essa finalità preventive o repressive.
Nell'ambito del diritto penale si distingue ulteriormente la confisca come misura successiva alla commissione di un reato e la confisca "preventiva": la prima costituisce una misura di sicurezza reale (art. 240 c.p.), che segue la commissione del reato e presuppone la condanna; la seconda costituisce una misura di prevenzione patrimoniale, che non esige l'accertamento della commissione di un reato, ma soltanto la sussistenza di sufficienti indizi della loro provenienza illecita.

In materia di prevenzione la questione della tutela dei diritti dei terzi è senz’altro fra le più delicate su cui si è a lungo dibattuto.
Essa trae essenzialmente origine dalla circostanza che i beni oggetto delle misure patrimoniali possono essere di proprietà anche di soggetti diversi dai destinatari delle stesse, ovvero che in relazione ai medesimi beni altre persone vantino situazioni giuridiche collegate oppure pretese di natura obbligatoria.
La composizione del conflitto così configurabile, fra l’interesse statuale a sottrarre alle associazioni mafiose tutte le risorse materiali necessarie alla loro esistenza e le ricchezze da esse illecitamente prodotte e l’interesse privato alla protezione dei diritti comunque collegati alla posizione del soggetto prevenuto, in assenza di una organica disciplina legislativa (limitata alla previsione dell’art. 2 ter, 5° co., l. n. 575/1965), è stata per anni affidata alla interpretazione dottrinale e alla elaborazione giurisprudenziale.

In effetti, la normativa dettata espressamente in subiecta materia dal nuovo codice antimafia mostra di recepire sostanzialmente i principi affermati dalla Corte di Legittimità nel corso degli anni. 
Con l’avvento del D.lgs. n. 159/2011, c.d. “Codice delle leggi antimafia”, si è previsto un corpus normativo volto ad apprestare tutela ai titolari di diritti di credito sorti prima del sequestro. 

I requisiti che il terzo deve dimostrare per ottenere il riconoscimento del credito sono i seguenti:
a) anteriorità del diritto rispetto al sequestro;
b) previa escussione del restante patrimonio del proposto e la sua insufficienza al soddisfacimento del credito, salvo per i crediti assistiti da cause legittime di prelazione su beni sequestrati;
c) non strumentalità del credito all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, a meno che il creditore dimostri di avere ignorato in buona fede il nesso di strumentalità;
d) prova del rapporto fondamentale nel caso di promessa di pagamento o di ricognizione di debito;
e) prova da parte del portatore del titolo di credito del rapporto fondamentale e di quello che ne legittima il possesso. 

Con la sentenza del 12 gennaio 2017, n. 608, la Cassazione, inserendosi nel filone della tutela dei terzi creditori del patrimonio, oggetto di misura preventiva, ha affermato la possibilità di emettere sentenza dichiarativa di fallimento nei confronti di società sottoposte a sequestro preventivo antimafia.

La sentenza di appello aveva invece negato tale possibilità sulla base del rilievo secondo cui la natura reale della misura di prevenzione sarebbe di impedimento alla procedura liquidativa del fallimento, allorché tutti i beni della società siano stati sottoposti a sequestro. 

La Corte di Cassazione, nel discostarsi dalla posizione dei giudici di merito, ha espresso il principio secondo cui le due misure si fondano su presupposti applicativi, soggettivi e temporali differenti, con la conseguenza che la natura cautelare e provvisoria della misura preventiva patrimoniale non costituisce un limite impeditivo assoluto all’instaurazione della procedura fallimentare.
In particolare, si afferma che l'art. 63, comma 6, del Codice antimafia (e delle misure di prevenzione), approvato con D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, prevede espressamente la chiusura (non invece la revoca) del fallimento, L.Fall., ex art. 119, allorquando nella massa attiva siano ricompresi esclusivamente beni già sottoposti a sequestro e una regola omologa vige, all'art. 64, comma 7, per il caso di sequestro o confisca sopravvenuti al fallimento.
A sua volta l'art. 63 cit., commi 1 e 4, danno per presupposta la dichiarazione di fallimento, limitandosi a regolare rispettivamente la sua instaurazione e la sorte dei beni già oggetto della misura di prevenzione o anche della confisca; mentre in caso di previo fallimento, è il giudice delegato che, per l'art. 64, comma 1, dispone la separazione dei beni e la loro consegna all'amministratore giudiziario.

A conferma della piena compatibilità anche più generale della procedura fallimentare risiede dunque, per un verso, la constatazione in fatto che la corte d'appello nella fattispecie ha compiuto un esclusivo ma generico riferimento ai beni già costituenti il patrimonio della società, senza aver riguardo ad eventuali azioni proponibili dal curatore ed integrative di detto attivo, come non può escludersi ad esempio per le azioni di responsabilità (infatti il comma 8 dell'art. 63 legittima l'amministratore a proporre le azioni di inefficacia di cui alla sezione 3, capo 3, titolo 2 del R.D. n. 267 del 1942 e l'art. 65, comma 1 prevede che il controllo e l'amministrazione giudiziaria non possano essere disposti su beni compresi nel fallimento).

Per altro verso, alla natura cautelare e provvisoria della citata misura preventiva patrimoniale, una volta emanata, non potrebbe annettersi un limite impeditivo assoluto alla instaurazione del comune concorso fallimentare, posto che infatti la eventuale revoca - tra l'altro oggetto di menzione nelle memorie depositate ex art. 378 c.p.c. - anche solo di quel provvedimento di sequestro così escluderebbe ai creditori l'accesso fruttuoso al concorso stesso, conseguibile mediante la mera riapertura del fallimento e come previsto, non essendo all'evidenza equivalente una instaurazione di esso da provocare ex novo.

Le due procedure si fondano invero su presupposti differenti, tra cui - quanto al fallimento - l'insolvenza, i requisiti soggettivi temporalmente determinati, la non cessazione dell'attività: tutte circostanze il cui accertamento non è ripetibile identicamente ad epoche diverse, giudicandosi pertanto irrazionale una posticipazione della tutela dei creditori a fronte di un interesse pubblico che può nel frattempo divenire recessivo.