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Pubbl. Mer, 15 Feb 2017

Il principio di personalità della responsabilità penale: analisi critica e profili problematici

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Antonella Storti


L´interpretazione dell´articolo 27 della Costituzione nell´evoluzione giurisprudenziale della Corte Costituzionale


Il principio di colpevolezza rinviene il proprio fondamento normativo nell'art. 27 della Carta Costituzionale, il cui primo comma afferma che la responsabilità penale è personale.

Sul punto, la dottrina si è a lungo interrogata circa la portata del carattere personale della responsabilità penale. Secondo una prima tesi, più rigida, la norma in commento disporrebbe soltanto un divieto di responsabilità penale per fatto altrui. La tesi maggioritaria, al contrario, ravvisa nel comma 1 dell'art. 27 un carattere più garantista, in virtù del quale andrebbe esclusa la responsabilità penale qualora non sia possibile muovere un rimprovero all'autore materiale del fatto. In sostanza, il principio di responsabilità personale si tradurrebbe in un principio di responsabilità colpevole, ossia richiederebbe la colpevolezza quale logico presupposto della responsabilità penale, da cui discenderebbe l'evidente contrasto della responsabilità oggettiva con i precetti costituzionali.

La Consulta, con la storica sentenza n. 364/1988, in esplicazione del principio in commento ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 5 c.p. nella parte in cui non considera scusabile l'ignoranza inevitabile, interpretando estensivamente l'art. 27 Cost. quale fondamento del principio di colpevolezza; in particolare, la Corte costituzionale ha affermato espressamente che, il disposto dell'art. 27 non si riduce a mero divieto di responsabilità penale per fatto altrui, ma implica la possibilità di muovere, sotto il profilo psicologico, un rimprovero all'autore del fatto, con riguardo a tutti gli elementi più significativi della fattispecie.

Occorre,altresì, interpretare la norma in esame sistematicamente, ponendola in collegamento con il suo comma terzo. In questo modo, si comprende che la stessa funzione rieducativa della pena richiede, quale elemento basilare, almeno la colpa dell'agente, in relazione agli elementi più significativi della fattispecie tipica. In caso contrario, infatti, non avrebbe senso la rieducazione stessa.

Il principio di personalità, pertanto, implica sì il divieto della responsabilità oggettiva, ma non si tratta di un divieto tassativo, qualora la responsabilità oggettiva ricomprenda ipotesi in cui anche un solo elemento del fatto non sia coperto da dopo o colpa dell'agente (c.d. responsabilità oggettiva spuria o impropria). Vietata è soltanto la responsabilità oggettiva c.d. pura o propria, relativa alle situazioni in cui gli elementi più significativi della fattispecie non siano coperti almeno dalla colpa dell'agente, mancando, quindi, ogni tipo di rapporto psichico tra soggetto e fatto.

I principi esposti nella sentenza poc'anzi citata hanno avuto un significato fondamentale per l'ordinamento penale nazionale, soprattutto se si consideri che il codice Rocco presenta numerose ipotesi costruite su criteri di responsabilità oggettiva, che si rinvengono sia nelle norme di parte generale che in quelle di parte speciale. Non a caso, si sono registrate, negli anni, numerose riforme legislative in tal senso, volte a positivizzare e consolidare i principi espressi dalla Consulta. Lo sforzo interpretativo della giurisprudenza  si è tradotto, fondamentalmente, in un richiamo alla necessità di un nesso psicologico consistente nella prevedibilità dell'evento non voluto. Dopo la sentenza del 1988, anche altre numerose pronunce hanno concordato nel ritenere il principio di colpevolezza un vero e proprio vincolo per il Legislatore, nonché un criterio interpretativo per il giudice.

Gli istituti maggiormente interessati all'adeguamento con il principio di colpevolezza sono stati, in particolare, l'aberratio delicti, i delitti aggravati dall'evento e l'omicidio preterintenzionale.

Su questa linea, è opportuno menzionare alcune delle più note sentenze della Consulta, volte a garantire il rispetto del principio costituzionale in commento.

  • Sentenza n. 42 del 1965: La Corte Costituzionale, in riferimento all'art. 116 c.p., ai fini dell'imputazione della responsabilità per il reato diverso e più grave al concorrente ignaro, ha richiesto l'accertamento del nesso eziologico, ma anche di un nesso di causalità psichica, tale da consentire l'attribuibilità del reato diverso e più grave al concorrente; in particolare, quest'ultimo deve poter rappresentarsi alla psiche del reo quale sviluppo logicamente prevedibile del fatto voluto.
  • Sentenza n. 322 del 2007: La Corte Costituzionale, con riguardo all'art. 609-sexies c.p., in materia di irrilevanza dell'errore sull'età della vittima infraquattordicenne nei delitti contro la libertà sessuale, ha rilevato il contrasto della disciplina in esame con il principio di colpevolezza, richiedendo in ogni caso un accertamento del giudice in ordine alla rimproverabilità del fatto al suo autore. In particolare, la Consulta ha sottolineato che l'errore sull'età è scusabile qualora sia inevitabile ai sensi dell'art. 5 c.p.

Il principio della personalità della responsabilità penale è stato, tra l'altro, maggiormente ampliato grazie agli interventi garantisti della Corte EDU, che lo hanno esteso a tutte le sanzioni significativamente afflittive. A tal proposito, rilevante è la sentenza n. 27 del 2005 con cui è stata dichiarato illegittimo l'art. 126-bis del Codice della strada, nella parte in cui prevedeva che la decurtazione dei punti dalla patente venisse effettuata a carico del proprietario del veicolo in caso di mancata individuazione del conducente responsabile del fatto illecito. La sanzione in esame, come ha evidenziato la Consulta, ha carattere strettamente personale ed è quindi inaccettabile, che non sia ricollegata in alcun modo ad un comportamento illecito posto in essere dal proprietario del veicolo.

In conclusione, il principio della personalità della responsabilità penale si articola su due livelli.

In primo luogo, affinché il fatto imputato sia legittimamente punibile, deve necessariamente essere imputabile all'agente, quantomeno a titolo di colpa, in relazione agli elementi più significativi della fattispecie tipica. Il fatto punibile proprio dell'agente, in sostanza deve essere inteso in accezione ampia.

In secundis, bisogna tener presente che il comma 1 dell'art. 27 va letto sistematicamente agli altri commi della stessa norma, in particolare al terzo: non vi è possibilità di realizzare un'effettiva rieducazione del reo se il fatto commesso gli sia imputato a titolo di responsabilità puramente oggettiva. La rieducazione sul reo ha effetto soltanto quando sia concretamente possibile muovergli un rimprovero per la propria condotta. In caso contrario, infatti, la funzione stessa della pena verrebbe svilita, avendo valore meramente intimidatorio e deterrente.