Pubbl. Sab, 21 Gen 2017
Camminodiritto verso la guerra. #1: i bombardamenti atomici
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Saverio Setti
Prima puntata di una serie di episodi scelti per un´analisi del diritto dei conflitti armati.
Sommario: 1. Introduzione; 2. Antefatto e fatto; 3. Il giudizio della legge (ad oggi); 4, I responsabili?
1. Introduzione
Con questo primo episodio si apre una serie di testi dedicati all’analisi delle vigenti disposizioni in materia di diritto internazionale dei conflitti armati. Si tratta di una materia assai tecnica, che ricomprende nozioni di diritto internazionale pubblico e privato, di diritto umanitario, di diritto pubblico e di diritto e procedura penale interni ed internazionali.
Al fine di rendere più fruibile anche a chi legge occasionalmente, si è deciso di esporre il tutto in una forma il più possibile vicina anche a chi ha basi limitate di diritto. La struttura degli articoli, infatti, sarà di stampo divulgativo e si prenderanno in analisi alcuni grandi eventi della storia per poterli giudicare secondo lo ius in bello oggi vigente.
La struttura degli articoli vedrà una prima parte descrittiva. In essa il lettore sarà accompagnato nella comprensione delle motivazioni politico strategiche che hanno portato l’operazione sul campo. Questa verrà descritta agilmente, mettendo, però, in luce tutti gli aspetti necessari alla comprensione della parte successiva, core business di questi scritti. Qui, prendendo spunto dal fatto storico, verranno analizzati uno o più principi di diritto dei conflitti armati oggi vigente, che si caratterizza per essere un diritto sostanzialmente consuetudinario e solo limitatamente basato su convenzioni internazionali, la cui forza cogente si è, spesso, dovuta arrendere alla proiezione di potenza dello Stato.
Naturalmente, per ogni approfondimento, nella parte retrostante è disponibile il contatto dell’Autore del testo, cui è possibile inviare anche proposte di battaglie o di altri eventi interessanti in merito.
2. Antefatto e fatto
L’attacco aeronavale alla forza statunitense di Pearl Harbour, condotto a sorpresa da una imponente task force[1] al comando dell’Ammiraglio Yamamoto, condusse il Governo nordamericano alla dichiarazione di guerra nei confronti delle potenze dell’Asse.
L’entrata in guerra degli USA comportò un netto spostamento della bilancia strategica della guerra nel teatro europeo a favore degli alleati: il 1942 segna il punto di massima forza espansiva delle divisioni italotedesche, la cui avanzata si dovette attestare e poi deflettersi in difensiva alla luce della pressione esercitata dall’operazione Overlord ad ovest e dal riversarsi di una miriade di divisioni dell’Armata rossa ad est.
Nel teatro Pacifico, tuttavia, la resistenza giapponese all’attacco alleato era estremamente pervicace. L’impero giapponese era in possesso non solo di armi navali ed aeree all’avanguardia, ma era in grado di formare combattenti il cui sprezzo del pericolo ed acume tattico formavano una micidiale controspinta agli attacchi americani; questi, ove avevano successo, costavano prezzi altissimi in termini di vite umane e consumo di materiali bellici.
La necessità di porre termine alla guerra anche nel Pacifico era però sempre più stringente.
Nel corso di una riunione di guerra[2] vennero suggeriti, come obiettivi, le cittài Kyōto, Hiroshima, Yokohama, Kokura e Nagasaki oppure gli arsenali militari. Nel corso della riunione si decise di non utilizzare la bomba atomica esclusivamente su un obiettivo militare perché un obiettivo spaziale ridotto avrebbe richiesto un lancio assai preciso, reso difficoltoso dalla presenza della contraerea. Nella decisione finale dovevano difatti essere tenuti in maggior conto gli effetti psicologici che l'utilizzo della bomba atomica doveva avere sul governo giapponese. Inoltre era opinione diffusa che la nuova bomba dovesse avere un effetto sufficientemente “spettacolare” affinché fosse riconosciuta a livello mondiale. Il 6 ed il 9 agosto del 1945, le città di Nagasaki ed Hiroshima furono dilaniate dall’unico bombardamento nucleare finora utilizzato in guerra, con un bilancio complessivo di circa 240mila vittime civili.
3. Il giudizio delle legge (ad oggi)
Alla luce del vigente diritto internazionale dei conflitti armati, fu quell’atto lecito?
È, per prima cosa, necessario valutare la liceità dell’attacco statunitense, prescindendo che questo sia stato portato a termine mediante l’utilizzo dell’arma nucleare.
Orbene gli Stati Uniti d’America, a prescindere dalla effettiva dichiarazione di guerra, furono oggetto d attacco armato a Pearl Harbour. Ebbene, la legittima difesa è espressamente prevista nell’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, quale eccezione al divieto dell’uso della forza nelle relazioni internazionali.
Disaccordo dottrinale (e fattuale) c’è sul momento a partire dal quale si può agire in legittima difesa. La questione sarà trattata a fondo nei prossimi episodi, per ora basti evidenziare che le interpretazioni sono due. La dottrina maggioritaria ritiene che il diritto di difendersi non possa che nascere dopo che lo Stato difendente abbia subito un attacco armata. La dottrina minoritaria (in particolar modo statunitense) sostiene che il diritto alla legittima difesa possa sorgere anche nell’imminenza dell’attacco, cioè prima che un attacco armato colpisca lo Stato che sta per difendersi, ben potendo questi mettere in atto la c.d. legittima difesa preventiva.
Nulla quaestio in questo caso: gli USA furono attaccati da forze armata di uno Stato estero, dunque legittimamente avevano il diritto di difendersi dall’attacco.
Per entrare nello specifico, poteva essere effettuato un bombardamento aereo (sempre prescindendo dalla qualificazione nucleare di questo)?
Ebbene anche oggi la disciplina della guerra aerea è piuttosto scarna; occorre dunque far riferimento ai principi generali ed alle poche regole pattizie in vigore.
Le prime manifestazioni di questa disciplina si ebbero con la Dichiarazione dell’Aja del 1907, che proibiva il lancio di proiettili esplosivi dagli aerostati. Si tratta di una convenzione che, se correttamente applicata in analogia, proibisce i bombardamenti. Com’è evidente, si tratta di una regola ampiamente smentita dalla prassi, dunque caduta in desuetudine.
Quindi è lecito, in senso assoluto, bombardare. Cosa?
Oggetto di attacco possono essere i soli obiettivi militari. Naturalmente la dottrina (giuridica e militare) discute sull’esatta definizione di obiettivo militare. Certo è che obiettivo militare possono essere sia le persone che le cose. Riguardo alle persone certamente rientrano nella definizione di obiettivo i combattenti legittimi, come definiti dalle Convenzioni di Ginevra e dal regolamento dell’Aja, ovvero:
- I membri delle Forze Armate e delle milizie volontarie;
- I membri della resistenza
- La levata di massa[3]
Obiettivi militari, ai sensi del I Protocollo addizionale[4], sono le cose che contribuiscono efficacemente all’azione militare e la cui conquista (ovvero distruzione o neutralizzazione) consente di ottenere, nel caso concreto, un preciso vantaggio militare.
A mente di questa ricostruzione, ad oggi, un bombardamento a tappeto, come quello qui in analisi, è illegittimo.
Per prima cosa, infatti, lo scopo primario dell’attacco, come su riportato, era l’abbattimento del morale non solo delle truppe, ma dell’intero Paese nipponico, per costringere l’imperatore alla resa. Ebbene il morale è un bene immateriale, intangibile che non può essere oggetto di attacco[5]. Si deve inoltre considerare che l’abbattimento del morale del nemico non è un vantaggio militare diretto. Esso, infatti, si riflette sulla capacità di combattimento, che ne viene fiaccata, diminuendo conseguentemente la resistenza ad un successivo attacco, più probabilmente vittorioso. L’indiretto vantaggio militare di un attacco finalizzato alla distruzione psicologica, rende illecito un bombardamento a tappeto. A ciò deve aggiungersi che il bombardamento di città indifese, cioè prive di contraerea in grado di danneggiare un velivolo è specificamente previsto[6], fatti salvi i casi in cui si ponga in essere un mirato attacco di opere militari, con danni collaterali minimi. L’illegittimità dell’attacco emerge anche, è appena il caso di dirlo, sulla considerazione ratione personarum. La vaporizzazione di 90mila persone a Hiroshima configura un attacco indiscriminato a personale civile e militare presente nell’area, tipologia di attacco oggi vietata[7] e costituente crimine di guerra.
È, poi interdetto il bombardamento di monumenti o luoghi di culto che costituiscono l’eredità culturale e spirituale del popolo[8].
Il bombardamento qui in analisi fu, dunque, illecito ex se. Ha rilevanza la qualificazione nucleare dell’attacco?
Quell’attacco, nel diritto di guerra oggi vigente, sarebbe illecito anche perché atomico. In capo alla forza attaccante[9] grava l’obbligo di avvertire in tempo utile e con mezzi efficaci quando l’attacco possa colpire i civili. A quand’anche ciò non fosse possibile è necessario che l’azione sia condotta con proporzionalità, ovvero non si può condurre un attacco che possa incidentalmente portare danni ai civili che risulterebbero eccessivi rispetto al concreto vantaggio militare previsto. Già s’è detto che gli attacchi nucleari a Hiroshima e Nagasaki avevano un obiettivo militare indiretto, certamente raggiungibile con altri tipi di attacchi (ad es. un bombardamento a tappeto di un porto militare, ovvero di un aeroporto, o anche una azione nucleare “dimostrativa”). In questo senso l’attacco è stato non solo rivolto contro i civili, ma incondizionato, finalizzato ad un vantaggio indiretto e sproporzionato, quindi illecito.
È bene precisare che l’utilizzo di armi nucleari, di per sé, non è illecito (la questione verrà, però, approfondita in un prossimo episodio).
4. I responsabili?
Assai complessa è la risposta a questa domanda. Ci è spesso chiesti quali fossero le responsabilità morali e giuridiche di quanti, a vario titolo, parteciparono a quell’attacco.
Sul piano prettamente giuridico, per quanto qui di interesse ed in maniera semplice e riassuntiva, la questione riguarda la responsabilità alla luce della legislazione odierna, nel caso in cui gli equipaggi fossero stati appartenenti alle nostre Forze Armate. Si parla di equipaggi perché gli studiosi del progetto Manhattan, pur avendo dato un contributo, sarebbero stati scriminati per mancanza di nesso causale.
In linea di principio i militari non dispongono di sindacato di legittimità sull’ordine impartito dal superiore, per cui degli ordini risponde il soggetto emittente[10]. Questa regola generale è però derogata nei casi in cui l’ordine sia manifestamente reato, ovvero sia manifestamente rivolto contro le istituzioni dello Stato.
Di questo problema si è occupata la Cassazione penale[11] nella procedimento a carico di Priebke, stabilendo che non potrà essere chiamata ad attenuare la responsabilità penale l’esecuzione dell’ordine, quando questo “indiscutibilmente, macroscopicamente ed immediatamente criminoso nell’opinione comune radicata nel tipo medio di persona”.
Stando così le cose, ad oggi, non commetterebbe il reato di disobbedienza (173 c.p.m.p.) colui che disobbedisse all’ordine di commettere un crimine di guerra.
In conclusione, l’attacco nucleare di Hiroshima e Nagasaki fu un pieno successo strategico: esso portò in breve tempo la resa della nazione nemica, con un costo per l’attaccante tutto sommato irrisorio.
Sul piano giuridico è umano fu però un atto estremante grave che ebbe l’unico vantaggio di chiudere il “secolo breve” e portare prepotentemente all’attenzione della comunità internazionale la necessità di una più rigorosa regolamentazione dei conflitti.
Note e riferimenti bibliografici:
[1] La squadra navale contava 6 portaerei, 2 corazzate, 3 incrociatori, 9 cacciatorpediniere, 23 sommergibili e circa 400 aerei, fonte: Basil Liddell Hart, Storia militare della seconda guerra mondiale, Milano, Mondadori, 2009, p. 218.
[2] tenutasi negli Stati Uniti a maggio 1945, di cui abbiamo il verbale (Verbale di seduta: Memorandum For: Major General L. R. Groves, Summary of Target Committee Meetings on 10 and 11 May 1945, 12 maggio 1945, disponibile su http://www.dannen.com/decision/targets.html).
[3] Ovvero la popolazione civile che, all’approssimarsi di un contingente nemico, prende le armi ed inizia ad organizzarsi per combattere, pur senza assumere la forma di una forza armata regolare.
[4] Art. 52, p. 2.
[5] Come specificato dai protocolli interpretativi addizionali al I Protocollo prodotti dal Comitato Internazionale della Croce Rossa.
[6] Art. 2, IX Conv. Aja.
[7] Art. 51, par. 3 del I Protocollo.
[8] Art. 53, ivi.
[9] Art. 57 del Regol. IV Con. Aja.
[10] Per una approfondita analisi, S. Setti, Legge e ordine, in Rassegna dell’Esercito, 5/2015.
[11] Sez. I, 1 dicembre 1998.