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Pubbl. Mar, 6 Dic 2016
Sottoposto a PEER REVIEW

Il rating: la responsabilità civile delle agenzie.

Elena Di Fede


L’effettività della tutela dell’investitore tra diritto dell’Unione europea e diritto nazionale.


Sommario: 1. Tipologie, principali ambiti di incidenza sul mercato finanziario e modalità di assegnazione del rating. 2. Il rating: mera opinione o fattore idoneo a influenzare in modo rilevante il processo decisionale dell’investitore, di guisa che sia sindacabile in via giurisdizionale? 3. La disciplina comunitaria sulle agenzie di rating: in particolare la responsabilità civile nei confronti degli investitori. 4. Considerazioni conclusive.

Sommario: 1. Tipologie, principali ambiti di incidenza sul mercato finanziario e modalità di assegnazione del rating. 2. Il rating: mera opinione o fattore idoneo a influenzare in modo rilevante il processo decisionale dell’investitore, di guisa che sia sindacabile in via giurisdizionale? 3. La disciplina comunitaria sulle agenzie di rating: in particolare la responsabilità civile nei confronti degli investitori. 4. Considerazioni conclusive.


1. Tipologie, principali ambiti di incidenza sul mercato finanziario e modalità di assegnazione del rating.

Il rating consiste nella valutazione del merito di credito di un emittente (normalmente una banca o un intermediario finanziario), con riferimento al suo grado di probabilità di pagare regolarmente capitale e interessi di un determinato prestito obbligazionario ovvero alla sua capacità generale di far fronte regolarmente a tutte le proprie obbligazioni. Tale valutazione viene effettuata da un soggetto terzo specializzato (le cc.dd. credit rating agencies: CRA, tra cui le più conosciute sono Moody’s Investor Service, Standar&Poor’s, Fitch Ratings), ed espressa in maniera sintetica in una scala predeterminata di caratteri alfanumerici (da Aaa - Moody’s - o AAA - S&P e Fitch, i quali indicano la più alta qualità, alla C - Moody’s - o alla D - S&P e Fitch, che indicano invece il default dell’emittente).

I cd. “credit rating”, si articolano in varie categorie, a seconda dell’orizzonte temporale cui si riferiscono (breve o lungo termine), della valuta di riferimento (estera o domestica) e dell’oggetto del rating[1]. In ordine ai rating di breve termine, essi esprimono un’opinione su uno strumento di provvista a breve termine, e riguarda più precisamente, i rischi di liquidità che potrebbero impedire al debitore di onorare puntualmente i propri impegni[2]; i rating a lungo termine vengono tradizionalmente distinti in investment grade (rischio debole) e speculative grade (rischio alto). Per quanto riguarda, invece, l’articolazione del rating rispetto al suo oggetto, il giudizio sull’affidabilità dell’emittente può riguardare la capacità generale del debitore di far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni (issuer rating) oppure, solo un determinato titolo di debito, in relazione al grado di rischiosità dello stesso (issue rating); e quindi, quest’ultimo indica la probabilità di regolare pagamento di capitale ed interessi del prestito obbligazionario, da parte dell'emittente; tuttavia in tale caso, è bene precisare che il giudizio tiene conto, anche delle aspettative di recupero sul singolo titolo, in caso di dissesto[3].

Per completezza, occorre ricordare che nel quadro inerente ai credit rating, pur non essendo oggetto del presente articolo, rientra anche il giudizio emesso nei confronti di uno stato sovrano (sovereign credit rating), inteso come capacità di rimborsare le obbligazioni da parte dello stesso, tenendo conto, in tal caso, della stabilità politica e monetaria, del debito pubblico e di altri particolari fattori, sulla base dei quali, valutare la competitività strutturale del paese nel confronto con altri sistemi, in modo da collocare ciascuno in un determinato ordine all’interno del quadro internazionale.

A riguardo degli effetti del rating sul mercato finanziario, negli anni più recenti, non può andare trascurata l’estensione dell’operatività delle agenzie nell’erogazione di tali giudizi ai prodotti di cd. finanza strutturata: una forma di finanziamento, alternativa a quella tradizionale, per l’impresa che scelga di approvvigionarsi di liquidità attraverso forme di ripartizione del rischio, come la cartolarizzazione dei crediti. Operazione questa in cui determinati crediti, individuabili in blocco, vengono ceduti da una o più aziende ad una società-veicolo che, a fronte delle attività cedute, emette titoli negoziabili da collocarsi sui mercati nazionali o internazionali. Quindi, in buona sostanza, con la cartolarizzazione, il rischio di credito viene trasferito dalla banca agli investitori.

In questi casi, il concetto di rating rimane lo stesso; a cambiare sono le caratteristiche dello strumento valutato, in ragione della sua complessità. Sul punto, è possibile precisare il ruolo, decisamente più penetrante, assunto dalle società di rating e, più in particolare, dal giudizio stesso. Da un lato, infatti, le agenzie valutano il merito dell’insieme dei crediti sottostanti ceduti dal finanziatore (società cedente) alla società – veicolo (cessionaria); e dall’altro, in tal modo, esse si rilevano come parti attive nel processo di strutturazione dei prodotti di successiva emissione[4]. In tale sistema, la delineazione del prodotto da offrire al mercato avviene, dunque, tramite l’intesa tra emittente e agenzia di rating, al fine di attribuire allo stesso un giudizio elevato e poterlo meglio collocare nel mercato, visto che l’affidamento dell’investitore nel voto di rating cambia proporzionalmente al grado di opacità del prodotto finanziario[5]. In questo senso, l’alto voto di rating diviene condicio sine qua non per la buona riuscita dell’operazione di collocamento dei prodotti strutturati.

Per quanto riguarda l’assegnazione del rating, essa può avvenire su commissione dell’investitore (pubblico e privato), il quale voglia conoscere la solvibilità di un soggetto terzo o un’indicazione riguardante il grado di rischio legato ad un investimento (modello investors-paid); oppure su commissione dello stesso soggetto (pubblico o privato) valutato (modello issuer-paid), al fine di far conoscere a tutti i potenziali investitori la propria capacità di far fronte ai propri debiti, ed in questi casi si parla di cd. solicited rating, e il giudizio sarà frutto di un’analisi che potrà avere ad oggetto anche informazioni privilegiate, non disponibili al pubblico. Può darsi il caso, però, che l’attività di rating venga autonomamente intrapresa dalla società di valutazione del merito creditizio, senza accordo di tipo negoziale con l’emittente: si tratta del cd. rating non sollecitato (unsolicited rating) per cui l’analisi effettuata dall’agenzia si appunterà su informazioni pubbliche. Tali considerazioni, come si vedrà, si rivelano essere necessarie ai fini di poter verificare la configurabilità ed eventualmente la natura della responsabilità in capo alle agenzie, al rilascio di un rating inesatto.

2. Il rating: mera opinione o fattore idoneo a influenzare in modo rilevante il processo decisionale dell’investitore, di guisa che sia sindacabile in via giurisdizionale?

Il diffuso affidamento della platea degli investitori al rating  è certamente generato dal forte “valore segnaletico” dello stesso. Infatti,  l’espressione con la quale i giudizi vengono formulati, attraverso simboli alfabetici o alfanumerici che segnalano la maggiore o minore affidabilità di un titolo o di un ente sulla base di una scala di valore, consente l’immediata percezione dell’informazione che la formula intende veicolare nell’ambito del mercato finanziario; sistema questo che non va esente da critiche, visto che l’estrema sinteticità della formulazione ne costituisce, più che punto di forza - velocizzando e semplificando la scelta dell’investitore - un limite, perché non permette di distinguere le ragioni del giudizio, né tantomeno il percorso valutativo che lo sorregge[6].

Alla luce delle considerazioni svolte al paragrafo precedente in ordine all’incidenza sempre maggiore del rating sul mercato finanziario, appaiono evidenti le ragioni per cui non può venire trascurato, nell’ipotesi in cui la valutazione sul merito di credito si rivelasse in tutto o in parte infondata, il problema di stabilire se sia configurabile una responsabilità dell’agenzia di rating nei confronti degli investitori, i quali avessero fatto affidamento in buona fede su tale giudizio e avessero subito pregiudizio a causa dell’insolvenza dell’emittente.

Sul punto, la giurisprudenza di merito italiana si è più volte espressa nell’ultimo decennio, anche se non sempre in maniera univoca.

Secondo un primo orientamento, le agenzie di rating non formulano raccomandazioni di investimento, ma emettono semplici pareri sulla capacità di credito di un particolare emittente o di un particolar strumento finanziario ad una determinata data[7]. Da ciò discende che ciascun investitore dovrà effettuare le proprie scelte a suo esclusivo rischio, avvalendosi eventualmente di un promotore finanziario che valuti il rischio con riferimento alla situazione finanziaria del singolo investitore, poiché qualsiasi valutazione dell’agenzia di rating, sebbene sbagliata, non può dar adito ad alcun risarcimento, in quanto mera opinione. Occorre precisare che questa interpretazione richiama sostanzialmente l’orientamento giurisprudenziale delle corti degli Stati Uniti (dove le agenzie hanno avuto origine e hanno ricevuto le prime attenzioni anche da parte del legislatore[8], in ragione della loro sempre più pervasiva attività nel mercato finanziario), secondo il quale le valutazioni sull’affidabilità creditizia di un soggetto costituiscono mere opinioni, assimilabili a quelle espresse dalla stampa finanziaria, le quali ricadono sotto la protezione del Primo emendamento della Costituzione americana che tutela la libertà di espressione.

Secondo altro orientamento, più convincente e maggiormente accreditato, il giudizio delle agenzie di rating crea, negli investitori, un affidamento sul rischio di credito di un titolo o sulla solvibilità o solidità economico-finanziaria di un emittente, che viene tradito o leso quando la valutazione dell’agenzia si riveli erronea, inesatta o incompleta o comunque frutto di un’attività di istruttoria negligente. Ciò compromette la decisione dell’investitore che basa il suo affidamento sulla credibilità e sulla competenza tecnica delle agenzie. Sul punto, sono varie le pronunce della giurisprudenza di merito che sostengono tale impostazione interpretativa in Italia:  il Tribunale di Catania, ad esempio, affermando la responsabilità dell’intermediario convenuto per non aver comunicato la mancanza di rating dei titoli, sottolinea che la valutazione espressa dalle agenzie di rating costituisce fattore idoneo a influenzare in modo rilevante il processo decisionale dell’investitore[9] (allo stesso modo anche Corte appello Milano, 17 maggio 2012; Trib. Prato, 4 novembre 2011).

Non può sottacersi, comunque, che già a partire dal 2009, l’importanza delle valutazioni di affidabilità creditizia era stata riconosciuta anche a livello normativo dal legislatore comunitario, nel suo primo intervento volto ad introdurre una regolazione specifica in capo alle agenzie di rating , nel settore finanziario. Infatti, già nel primo considerando del Regolamento CE n. 1060/2009  viene affermato che “i rating del credito hanno un impatto significativo sul funzionamento del mercato e sulla fiducia degli investitori e dei consumatori”[10].

3. La disciplina comunitaria sulle agenzie di rating: in particolare la responsabilità civile nei confronti degli investitori.

L’Unione europea, ad oggi, ha emanato tre regolamenti aventi come specifico oggetto il rating, nell’ambito  delle misure destinate ad assicurare l’efficienza e la stabilità dei mercati finanziari. Si tratta del:

  • Reg. (CE) n. 1060/2009 (c.d. CRA I);
  • Reg. (UE) n. 513/2011 (c.d. CRA II);
  • Reg. (UE) n. 462/2013 (c.d. CRA III).

Concentrando l’analisi solo sugli aspetti riguardanti la responsabilità civile nei confronti degli investitori, il regolamento più recente, contiene una specifica disposizione, l’art. 35 bis, volta ad introdurre regole armonizzate in materia di responsabilità extracontrattuale delle agenzie di rating.

Il suddetto articolo stabilisce che “se un’agenzia di rating del credito ha commesso intenzionalmente o per colpa grave una delle violazioni di cui all’allegato III che ha inciso sul rating del credito, l’investitore o l’emittente possono chiedere all’agenzia di rating il risarcimento dei danni subiti a causa della violazione. Un investitore può chiedere il risarcimento dei danni ai sensi del presente articolo qualora provi di aver ragionevolmente riposto affidamento, in conformità dell’art. 5 bis, paragrafo 1, o, in ogni caso con la dovuta diligenza, su un rating del credito per assumere la decisione di investire, detenere o cedere uno strumento finanziario oggetto del rating del credito[11].

La prospettiva extracontrattuale della responsabilità delle agenzie di rating verso gli investitori sembra sia quella maggiormente condivisa dal legislatore europeo nella disciplina contenuta nel Reg. n. 462/2013.

Tuttavia, è necessario precisare che la qualificazione della responsabilità configurabile in capo alle agenzie risulta apprezzabile a seconda dei soggetti che si rivelano danneggiati. Le differenze principali si ricollegano alla sussistenza - o meno - di un rapporto contrattuale, in quanto idoneo a mutare la tipologia stessa di responsabilità.  Nonostante, ad oggi, il mercato del rating sia dominato dal modello c.d. issuer-pays (“l’emittente paga”), sarebbe erroneo ritenere la variante contrattuale prerogativa unica per gli emittenti e, per converso, la variante extracontrattuale destinata ad informare soltanto il rapporto con gli investitori. A fronte di tale regola generale, infatti, esistono rilevanti eccezioni: basti pensare ai danni cagionati alle imprese da rating non sollecitati, ovvero alle ipotesi in cui sia lo stesso investitore a commissionare all’agenzia una determinata valutazione[12].

Tornado all’esame dell’art 35 bis, al par. 1 viene subito in rilievo una duplice limitazione: la prima  fa riferimento alla previsione per cui sono perseguibili solo  quei comportamenti posti in essere con dolo o colpa grave, e la seconda, che ne identifica l’ambito di rilevanza esclusivamente nelle violazioni di cui all’allegato III dello stesso regolamento.

La ratio di questa scelta normativa viene giustificata, secondo parte della dottrina straniera[13], in forza del fatto che un regime di responsabilità oggettiva potrebbe facilmente alimentare la fiducia incondizionata degli investitori nei confronti dei rating e, allo stesso tempo, favorire una proliferazione non controllabile di ricorsi giudiziali nei singoli Stati membri. Nondimeno, circoscrivere l’area della responsabilità civile delle agenzie alle sole violazioni contenute all’allegato III del regolamento in esame non pare essere una scelta del tutto condivisibile.

L’allegato in questione risulta diviso in tre sezioni, a seconda che le violazioni riguardino inosservanze legate alla disciplina organizzativa e sui conflitti di interesse; alla disciplina inerente ai rapporti con l’autorità di vigilanza; alla disciplina informativa.

La possibilità di restringere i casi di responsabilità alle sole ipotesi descritte si concretizza, in un vantaggio, privo di sufficiente giustificazione, per le agenzie di rating. Gli obblighi contenuti nell’allegato III, infatti, hanno natura esclusivamente “procedurale”, poiché prescrivono comportamenti che le agenzie debbono porre in essere al fine di evitare un’influenza esterna sul rating. In altri termini, non vi è modo, sulla base di tali obblighi, di considerare un’agenzia responsabile, qualora essa si sia attenuta alle prescrizioni dell’allegato III ma, ad esempio, abbia errato nell’utilizzo dei modelli per l’elaborazione del giudizio, ovvero abbia mal interpretato e valutato alcuni fattori economici[14].

Il sistema così approntato sembra sostanzialmente impedire, laddove risultino ex ante rispettate tutte le prescrizioni dell’allegato de quo, il prezioso rilievo di eventuali risultanze ex post, che possano attestare errori sistematici nell’emissione di rating, al fine di fornire la prova di una condotta negligente.

Anche a riguardo dell’onere della prova e del nesso causale non sembra che l’intervento europeo abbia sostenuto, in maniera efficace, il fronte della tutela dell’investitore. Secondo l’art. 35 bis, par. 2, “spetta all’investitore o all’emittente fornire elementi informativi precisi e dettagliati che indichino che l’agenzia di rating del credito ha violato il presente regolamento e che la violazione ha avuto un impatto sul rating emesso”.

La disposizione pone in capo agli investitori un duplice onere probatorio, che riguarda sia la sussistenza della violazione da parte dell’agenzia, sia la presenza del nesso causale tra la violazione stessa e l’erroneità del rating. Da ciò discende che l’investitore potrà vedere giudizialmente accertato il suo diritto al risarcimento del danno, in quanto lo stesso provi il mancato rispetto, da parte dell’agenzia, di alcuna delle regole contemplate dall’allegato III, nonché il suo impatto sul rating.  Al riguardo, però, occorre tenere presente che gli obblighi di disclosure (divulgativi) posti in capo alle medesime nei confronti degli investitori non coprono certamente tutte le ipotesi di violazione di cui all’allegato III del regolamento, di talché, in taluni casi, risulterà concretamente impossibile per questi ultimi verificare la violazione commessa. Senza dimenticare che, peraltro, la necessità di provare, contestualmente alla proposizione della domanda, l’esistenza del nesso eziologico, potrebbe esporre gli investitori a spese non indifferenti, al fine di ottenere l’opinione di esperti in materia.

Occorre specificare, inoltre, che il nesso eziologico summenzionato non coincide assolutamente con il nesso di causalità materiale di cui all’art. 2043 c.c. Quest’ultimo, infatti, in quanto elemento oggettivo dell’illecito, pone in relazione il fatto generatore con il danno. Come correttamente osservato dalla dottrina, nel caso della responsabilità extracontrattuale delle agenzie di rating, il nesso causale in senso civilistico si sostanzia nel vincolo che unisce la condotta dell’agenzia, la quale ha portato all’emissione di un giudizio erroneo, da un lato, e il pregiudizio derivante dalla perdita (totale o parziale) dell’investimento, dall’altro. L’investitore, pertanto,  dovrà fornire l’ulteriore prova, ex art. 2043 c.c.[15].

4. Considerazioni conclusive.

Alla luce delle considerazioni svolte, sebbene l’art. 35 bis rappresenti il primo passo legislativo volto ad uniformare le regole concernenti la responsabilità civile delle agenzie nei confronti degli investitori attraverso l’introduzione di disposizioni armonizzate valevoli per gli Stati membri, non sembra che la portata di tali disposizioni riesca a far fronte all’intera gamma dei problemi fisiologicamente connessi alla responsabilità extracontrattuale delle società di rating rispetto ai singoli ordinamenti nazionali.

A fronte del silenzio conservato dal regolamento al riguardo, è da ritenersi che tali questioni dovranno essere affrontate sulla base del diritto nazionale di volta in volta applicabile, così come individuato dalle disposizioni internazionalprivatistiche. Ciò significa che, a titolo meramente esemplificativo, elementi quali il livello di diligenza concretamente richiesto al rater, per determinarne la responsabilità,  cambieranno in ragione dello Stato membro la cui legge sarà ritenuta applicabile alla singola controversia.

È agevole osservare, pertanto, come le “interferenze” esistenti tra la normativa europea (parzialmente) armonizzata e la normativa nazionale siano in grado di complicare notevolmente l’attività di applicazione del diritto, con ripercussioni sull’effettività della tutela dell’investitore non poco rilevanti.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] MANCINELLI L., L’assegnazione di rating da parte delle agenzie: significato, implicazioni e principali aspetti critici, in Bancaria, 2005.
[2] Che Cos’è il Rating? – Sotto la lente – www.borsaitaliana.it
[3] Ibidem
[4] P. SANNA, La responsabilità delle agenzie di rating nei confronti degli investitori, Napoli, 2011, p. 34
[5] Ibidem
[6] A. BENEDETTI, Certezza pubblica e “certezze” private. Poteri pubblici e certificazioni di mercato, Milano, 2010, p. 76 e ss.
[7] Così in Tribunale Roma, 17 gennaio 2012,  n. 835
[8] Cfr. le origini e le funzioni delle agenzie su P. GIUDICI, La responsabilità civile nel diritto dei mercati finanziari, Milano, 2008, p. 410
[9] Trib. Catania 5 Maggio 2006 consultabile su www.ilcaso.it
[10] Primo considerando del Reg. (CE) n. 1060/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 settembre 2009.
[11] Art. 35bis del Reg. (UE) n. 462/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2013.
[12] Risso G., “Interferenze” tra diritto dell’UE e diritto nazionale nei casi di responsabilità civile delle agenzie di rating, in Le Società 4/2016, pp. 439 e ss.
[13] J.C. Coffee Jr., Gatekeepers failure and reform: the challenge of fashioning relevant reforms, in Boston Uni. Law Rev., 2004, pag. 301 e ss.; e in Rating reforms: the Good, the Bad, and the Ugly, in Columbia Law and Economics working papers, n. 375, 2010, pag. 27 e ss.
[14] Risso G., op. cit., p. 445.
[15] G. Facci, Il rating e la circolazione del prodotto finanziario: profili di responsabilità, in Resp. civ. prev., 2007, 912 ss.