• . - Liv.
ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Mar, 25 Ott 2016
Sottoposto a PEER REVIEW

La competenza territoriale in tema di obbligazioni pecuniarie al vaglio delle Sezioni Unite: applicabilità dell’art. 1182, co. 3, c.c. al credito non determinato in contratto.

Modifica pagina

Anna Villani


Con la sentenza del 13 settembre 2016, n. 17989, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno posto fine al contrasto circa l’applicabilità dell’art. 1182, co. 3, c.c. al caso in cui le parti non abbiano provveduto a determinare nel contratto l’importo del corrispettivo dovuto.


Sommario: 1. Premessa 2. La vicenda processuale e la quaestio iuris  3. La soluzione adottata dalle Sezioni Unite

1. Premessa

La questione oggetto della recentissima pronuncia in commento attiene al luogo di adempimento delle obbligazioni pecuniarie. Esse costituiscono una speciale categoria di obbligazioni, oggetto di una specifica disciplina codicistica (artt. 1277-1284 c.c.; artt. 1182, co. 3 e 1224 c.c.), in quanto aventi ad oggetto un bene peculiare, il denaro, che è bene mobile generico e fungibile per antonomasia[1]. Le peculiarità delle prestazioni pecuniarie sono: la natura dell’oggetto della prestazione (di dare), la genericità della prestazione e la sua determinazione quantitativa in termini di un’unità di misura dei valori. Il denaro, infatti, non viene in rilievo solo come res, quanto piuttosto nella sua funzione di strumento di scambio o mezzo di pagamento. La funzione di pagamento del denaro è regolata dal cd. principio nominalistico (art.1277, co. 1, c.c.), secondo il quale, al momento della scadenza, il debitore si libera pagando l’importo originariamente dovuto al tempo in cui è sorta l’obbligazione, non rilevando, quindi, la svalutazione monetaria, a fronte della quale il credito resta immutato[2]. Il principio nominalistico riversa, quindi, sul creditore pecuniario il rischio delle variazioni del potere di acquisto della moneta[3]. La funzione del denaro quale unità di misura dei valori, invece, viene in rilievo quando il debito originario deve essere tradotto in quantità monetarie, come avviene, ad esempio, per l’obbligazione risarcitoria. Sotto tale profilo, la giurisprudenza distingue tra debiti di valuta e debiti di valore[4].  Le obbligazioni sono di valuta quando sin dall’origine hanno ad oggetto una somma di denaro, mentre sono di valore quando l’oggetto originario della prestazione consiste in una cosa diversa dal denaro.

La disciplina speciale delle obbligazioni pecuniarie riguarda anche il luogo di adempimento dell’obbligazione, individuato ai sensi dell’art. 1182, commi 3 e 4, c.c., a mente dei quali “L'obbligazione avente per oggetto una somma di danaro deve essere adempiuta al domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza. Se tale domicilio è diverso da quello che il creditore aveva quando è sorta l'obbligazione e ciò rende più gravoso l'adempimento, il debitore, previa dichiarazione al creditore, ha diritto di eseguire il pagamento al proprio domicilio. Negli altri casi l'obbligazione deve essere adempiuta al domicilio che il debitore ha al tempo della scadenza”.

Dall’esame di questo addentellato normativo si desume la distinzione, diffusa in dottrina, tra obbligazioni portable e querable. Esistono, infatti, i cd. debiti portabili, cioè quelli da adempiere al domicilio del creditore (co. 3, art. 1182 c.c.) e chiedibili (co. 4, art. 1182 c.c.), da adempiere al domicilio del debitore. La regola generale, come si desume anche dal tenore letterale dell’articolo de quo, è che l’obbligazione sia querable, in quanto il creditore deve chiedere la prestazione al debitore nel suo domicilio.

La norma determina il luogo di adempimento dell’obbligazione pecuniaria, rimettendo la scelta innanzitutto alla volontà delle parti, e ponendo una serie di criteri, ordinati gerarchicamente (cd. criteri legali di determinazione), qualora le parti non abbiano provveduto alla relativa indicazione. Il legislatore attribuisce assoluta preminenza al potere dispositivo delle parti, in quanto il primo criterio indicato dall’art. 1182 c.c. è la determinazione contenuta nella convenzione negoziale intervenuta tra i soggetti del rapporto obbligatorio. Solo in mancanza di una volontà espressa, intervengono ulteriori regole, elencate secondo un ordine gerarchico:  gli usi, la natura della prestazione ed altre circostanze. Se il luogo di adempimento non è ricavabile neanche utilizzando i summenzionati criteri generali, si deve far riferimento ai successivi commi della medesima disposizione, concernenti, appunto, i debiti portabili e chiedibili.

Secondo la giurisprudenza[5], quando la norma parla di “obbligazione avente per oggetto una somma di danaro”, fa riferimento solo ai debiti di valuta, aventi quale contenuto la consegna di denaro sin dal momento in cui sorgono e non ai debiti di valore, che hanno ad oggetto una diversa prestazione, convertita poi in obbligazione pecuniaria, qual è, ad esempio, quella del risarcimento da illecito aquiliano (art. 2043 c.c.).

L’art. 1182 c.c., però, non deve essere letto isolatamente, ma necessita di essere coordinato con le disposizioni dettate in materia di competenza per territorio dal codice di procedura civile (Libro I, Capo I, Sezione III, artt. 18 e ss.), soprattutto col dettato dell'art. 20 c.p.c., in materia di "foro facoltativo per le cause relative a diritti di obbligazione".

Tale articolo dispone, all’ultimo comma, che “Per le cause relative a diritti di obbligazione è anche competente il giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi l'obbligazione dedotta in giudizio”.

In altri termini, per quanto concerne le obbligazioni pecuniarie, il creditore, per vedere soddisfatta la propria ragione di credito, può scegliere di agire[6], in linea generale, presso il giudice del luogo in cui il debitore ha la residenza, domicilio o sede, ovvero usufruire dei cd. fori alternativi indicati dal predetto art. 20 c.p.c. (luogo dove è sorta o deve eseguirsi l'obbligazione).

L’art. 1182 c.c., infatti, non è importante solamente per individuare il luogo di adempimento delle obbligazioni pecuniarie, ma anche per l’identificazione del forum destinatae solutionis, ossia il giudice competente per territorio nelle cause aventi ad oggetto l’adempimento delle suddette obbligazioni, nonché ai fini della mora ex re di cui all’art. 1219, co. 2, n. 3, c.c. L’istituto della mora automatica, che scatta per il solo fatto del ritardo, senza giustificato motivo, nell’adempimento dell’obbligazione da parte del debitore e che esonera il creditore dalla preventiva intimazione per iscritto al debitore, si verifica, infatti, in tre casi: 1) quando il debito deriva da fatto illecito; 2) qualora il debitore dichiari per iscritto di non voler adempiere l’obbligazione; 3) quando l'obbligazione è a termine e la prestazione dev'essere eseguita al domicilio del creditore (portable). Quest’ultima ipotesi è quella che ci interessa e che collega l’istituto di cui all’art. 1182, co. 3, c.c., sul luogo di adempimento delle obbligazioni pecuniarie a quello della mora ex re, collegamento che, come si vedrà, è messo in evidenza anche dalla sentenza in commento per giungere alla soluzione del contrasto giurisprudenziale che l’ha riguardata.

2. La vicenda processuale e la quaestio iuris 

Il dibattito giurisprudenziale che ha reso indispensabile l’intervento chiarificatore del Supremo Consesso, trae origine da una controversia avente ad oggetto il mancato pagamento, da parte della società convenuta T.P. s.r.l., del corrispettivo per un servizio di studio e sviluppo di due linee di calzature, posto in essere da un calzaturificio di un Comune rientrante nel circondario giudiziario del Tribunale di Firenze.

Accogliendo l’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dalla convenuta-debitrice, il Tribunale di Firenze si dichiarava incompetente, in favore del Tribunale di Macerata, considerato non solo foro del convenuto e luogo dove era sorta l’obbligazione, ossia foro generale ai sensi dell’art. 19 c.p.c., ma anche luogo del pagamento della somma di denaro in parola, dunque quale foro alternativo a norma dell’art. 20 c.p.c. In particolare, con riferimento all’art. 1182, co. 3, c.c., il Tribunale di Firenze riteneva che, nel caso di specie, non potesse applicarsi la norma de qua, in quanto quest’ultima riguarda esclusivamente le obbligazioni pecuniarie sorte originariamente come tali, ossia quelle aventi ad oggetto sin dall’inizio una somma di denaro determinata, mentre in questa ipotesi non era indicato nel contratto l’importo del corrispettivo spettante al calzaturificio-parte attrice. Di guisa che, per stabilire il luogo di adempimento e radicare la competenza territoriale, doveva farsi riferimento al combinato disposto degli artt. 1182, co. 4, c.c. e 20, ultimo co., c.p.c., ossia al domicilio del debitore (cd. debiti chiedibili, o anche obbligazione querable, come detto sopra).

A questo punto, il creditore proponeva regolamento di competenza e la Sesta Sezione della Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria 23527/2015, promuoveva l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, rilevando un contrasto all’interno della giurisprudenza di legittimità, sul se fosse applicabile o meno l’art. 1182, co. 3 c.c. laddove non sia predeterminato nel contratto l’importo del corrispettivo di una prestazione riguardante un’obbligazione pecuniaria, ma lo stesso sia autodeterminato dall’attore nell’atto introduttivo del giudizio col quale fa valere la propria pretesa creditoria.

La quaestio iuris che ha originato il contrasto giurisprudenziale, quindi, concerne l’individuazione del forum destinatae solutionis nel caso di obbligazioni pecuniarie con credito non determinato convenzionalmente e l’applicabilità o meno, alla suddetta ipotesi, dell’art. 1182, co. 3, c.c.

A tal riguardo, in seno alla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, si sono creati negli anni due distinti orientamenti.

Una prima impostazione ermeneutica è contraria all’applicazione del co. 3 dell’art. 1182 c.c. nell’ipotesi in cui la somma di denaro oggetto dell’obbligazione pecuniaria non sia determinata in contratto dalle parti o comunque, debba essere determinata dal giudice mediante operazioni diverse dal semplice calcolo aritmetico, con la conseguenza che sarebbe applicabile il co. 4 del medesimo art. 1182 c.c., ossia il luogo di domicilio del debitore al tempo della scadenza[7]. Tale orientamento ritiene che il principio sancito dall'art. 1182, comma 3, c.c. si riferisce esclusivamente alle obbligazioni, concernenti crediti liquidi ed esigibili, che dipendono da un titolo giuridico o convenzionale che ne abbia stabilito l'ammontare e la scadenza, in modo che non vi sia bisogno di ulteriori indagini da parte del giudice, se non, al massimo, semplici operazioni di calcolo, quale può essere quella di scomputare dal corrispettivo pattuito gli acconti ricevuti[8].

Un secondo orientamento[9], per converso, ritiene applicabile il forum destinatae solutionis dell’art. 1182, co. 3, c.c., in tutte le cause aventi ad oggetto una somma di denaro qualora l’attore l’abbia comunque determinata nell’atto introduttivo del giudizio, in quanto la minore o maggiore complessità dell’indagine sull’ammontare effettivo del credito attiene alla successiva fase di merito e non  incide sull’individuazione della competenza territoriale. Secondo questa posizione, è sufficiente che l’attore agisca in giudizio per una somma di denaro da lui puntualmente indicata, anche se non convenzionalmente stabilita dalle parti ab origine.

3. La soluzione adottata dalle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite, al fine di risolvere la questione ermeneutica posta alla loro attenzione, sottolineano, in primo luogo, come il contrasto giurisprudenziale attenga non solo all’aspetto processuale della competenza territoriale in tema di obbligazioni pecuniarie ma, ancor prima, allo stesso concetto di “obbligazione pecuniaria” e di “liquidità” del credito, che è alla base dell’applicabilità dell’art. 1182, co. 3, c.c.

L’art. 1182 c.c., infatti, ha come presupposto necessario la liquidità del credito oggetto dell’obbligazione pecuniaria e su tale punto la giurisprudenza è pacifica.

Quel che crea discussione è il modo di intendere tale requisito, se la liquidità attenga a fattori soggettivi, ossia a quanto determinato dall’attore-creditore nell’atto introduttivo del giudizio contro il debitore inadempiente, oppure debba basarsi esclusivamente su fattori oggettivi, già determinati o da potersi comunque desumere dalla convenzione delle parti o dal titolo originario sul quale si basa la pretesa creditoria, senza bisogno di far riferimento ad altro titolo negoziale o giudiziale.

Le Sezioni Unite ribadiscono, in primis, l’irrilevanza dell’eccezione del convenuto riguardo l’inesistenza dell’obbligazione, in quanto, per applicare l’art. 1182, co. 3, c.c., occorre far esclusivo riferimento alla “domanda” proposta dall’attore, come si evince dal combinato disposto degli artt. 10 e 14, co. 1, c.p.c., che, seppur dettati in tema di competenza per valore della causa, sono pacificamente applicabili anche alla competenza territoriale, in quanto principi di portata generale.

Con riguardo, poi, alla precipua questione di diritto sulla quale vengono chiamate a pronunciarsi, le S.U. stabiliscono che occorre dar seguito all’orientamento tradizionale, secondo il quale l’art. 1182 co. 3 c.c. richiede, per la sua applicazione, l’effettiva liquidità del credito. Tra le obbligazioni “portabili” ex art. 1182, co. 3, c.c., quindi, non rientrano quelle illiquide. Tale disposizione, infatti, come già anticipato, è rilevante non solo per individuare il forum destinatae solutionis, ma anche ai fini della mora ex re di cui all’art. 1219 co. 2 n. 3 c.c. Se tra le obbligazioni portabili rientrassero anche quelle illiquide, scatterebbe, assieme alla mora ex re, una responsabilità automatica del debitore ex art. 1224 c.c. anche nel caso in cui la prestazione non sia in concreto possibile, in quanto l’ammontare della prestazione sia ancora incerto. Ed invece, secondo l’art. 1218 c.c., è esclusa la responsabilità del debitore per impossibilità della prestazione a lui non imputabile. L’interpretazione restrittiva dell’art. 1182 co. 3 c.c., inoltre, è coerente col favor debitoris che ispira l’art. 1182, co. 2, n. 4 c.c.

Secondo il Supremo Consesso, la liquidità deve essere ancorata a dati oggettivi e non a quanto indicato dall’attore in giudizio, al quale, altrimenti, sarebbe lasciato l’arbitrio di scegliersi il giudice, violando il principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge (artt. 25 e 111 Cost.). E’ vero che occorre far riferimento a quanto stabilito nella domanda attorea per radicare la competenza, però- precisa la Corte- tale regola non può essere estesa fino al punto di consentire all’attore di dare dei fatti una qualificazione giuridica diversa da quella prevista dalla legge, o di allegare fatti privi di riscontro probatorio, al fine di sottrarre la controversia al giudice naturale.

Di guisa che rientrano nel co. 3 dell’art. 1182 c.c. solo le obbligazioni pecuniarie liquide, il cui ammontare, cioè, risulti dal titolo originario o sia determinato indirettamente da quest’ultimo in base ad un semplice calcolo aritmetico e secondo criteri stringenti ricavabili dal medesimo titolo e non sia necessario, al riguardo, altro e diverso titolo negoziale o giudiziale[10].

In conclusione, quindi, con la suddetta pronuncia, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione giungono a riaffermare il principio secondo cui, ai fini dell’applicabilità del co. 3 dell’art. 1182 c.c., nonché ai fini della mora ex re, è necessario che il debito sia determinato (o comunque, facilmente determinabile) nel suo ammontare, senza che residui alcun margine di scelta discrezionale in capo al creditore-attore.

Note e riferimenti bibliografici
BIANCA, Diritto Civile, L’obbligazione, Giuffrè editore, Milano
CHINE’- FRATTINI- ZOPPINI, Manuale di diritto civile, Terza edizione, Nel Diritto Editore
GAZZONI F., Manuale di diritto privato, XIV edizione, Edizioni Scientifiche Italiane
Santise M., Coordinate ermeneutiche di diritto civile, 2014, Giappichelli Editore – Torino
Santise M., Coordinate ermeneutiche di diritto civile, Aggiornamento 2015, Giappichelli Editore – Torino

[1] Con la conseguenza che dette obbligazioni non sono suscettibili di risoluzione per impossibilità sopravvenuta ex art. 1256 c.c., in ossequio al noto brocardo genus numquam perit.
[2] Di guisa che, in periodi di alto tasso inflattivo, l’obbligazione pecuniaria si presenta altamente svantaggiosa per il creditore, mentre accade il contrario in caso di rivalutazione monetaria.
[3] Tale rischio può essere ridotto attraverso la previsione, nel contratto, di una serie di clausole di adeguamento del valore del denaro, come le clausole cd. di salvaguardia o di indicizzazione dell’importo del debito originariamente pattuito all’andamento di determinati indici-valori (come gli indici Istat dei prezzi al consumo o del costo della vita). Inoltre, è possibile prevedere la facoltà di rinegoziazione del corrispettivo o di recesso in presenza di determinate circostanze.
[4] Distinzione affermata per la prima volta da Cass., Sez. Un. 26 Febbraio 1983, n.1464, al fine di sottrarre alcuni debiti non originariamente pecuniari (cd. di valore), al rigore del principio nominalistico.
[5] Cass., Sezioni Unite 17989/2016.
[6] Fermo restando i fori alternativi indicati per casi specifici (ad esempio, l’art. 637, II e III co. c.p.c. relativo ai crediti professionali.
[7] Cass., Sez. VI, Ord. 12.10.2011, n. 21000. Nello stesso senso, in precedenza: Cass. 22326/2007, Cass. 28.3.2001 n. 4511; Cass. 25.3.1997, n. 2591; Cass. 9.12.1995 n. 12629, Cass. 17.11.72 n. 3422, Cass. 26.1.72 n. 183, Cass. 24.4.71 n. 1189.
[8] Corte App. Firenze, Sez. II, 04.10.2014; Tribunale Bologna, Sez. VI, 31.10.2013; Tribunale Milano, Sez. V, 20.09.2013; Tribunale Salerno, Sez. II, 11.05.2012.
[9] Cass., Sez. VI, Ordinanza, 17.05.2011, n. 10837. Nello stesso senso: Cass., Sez. III, Ord. 21.05.2010, n. 12455; Cass., Sez. III, Ord. 13.04.2005, n. 7674; Cass., Sez. III, 14.10.2005 n. 19958; Tribunale Treviso, Sez. II, 26.01.2015; Tribunale Genova, Sez. I, 11.12.2013.
[10]  Come afferma, infatti, Cass., Sezioni Unite n. 17989/16: “Tra le obbligazioni pecuniarie, invero, quelle illiquide hanno una particolarità: ai fini dell’adempimento del debitore è necessario un passaggio ulteriore, è necessario cioè un ulteriore titolo, convenzionale o giudiziale” .