Pubbl. Lun, 24 Ott 2016
Bancarotta fraudolenta: le novità 2016 dalla Cassazione
Modifica paginaPosizione della Corte di Cassazione su possibili condotte distrattive da parte dell´aministratore nell´esercizio delle sue funzioni. Focus sulle sentenze 34991/2016, in tema di trasferimento dei diritti reali sugli immobili a favore dei figli e 35000/2016 sul mancato versamento nelle casse della società di denaro ricevuto in contanti dai clienti
Sommario: 1. Premessa - Il reato di bancarotta semplice e fraudolenta; 2. Sentenza della Corte di Cassazione 18 agosto 2016 n. 34991- Il caso; 3. Motivazione della Corte di Cassazione; 4. Sentenza della Corte di Cassazione 18 agosto 2016 n. 35000 - Il caso; 5. Posizione della Corte di Cassazione.
1. Premessa - Il reato di bancarotta semplice e fraudolenta
Per una analisi sistematica del fenomeno, senza alcuna pretesa di esaustività della disciplina dei reati fallimentari, si ritiene opportuno offrire una panoramica nozionistica d'insieme.
La bancarotta è il reato fallimentare disciplinato dal titolo VI della L.F., che suddivide il reato in due fattispecie con effetti sanzionatori diversi a seconda della gravità del fatto commesso dal fallito (o fallendo) in qualità di imprenditore commerciale, società o amministratore/liquidatore che rappresenta la società. La principale distinzione all’interno della bancarotta è tra bancarotta semplice e bancarotta fraudolenta, relativa ad una differente intensità della gravità oggettiva e soggettiva. In particolare, la bancarotta è definita semplice, ovvero patrimoniale, (ex art. 217 L.F.) quando "il fallito abbia fatto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica, abbia consumato una parte notevole del patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti, abbia compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento, abbia aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa, o non abbia soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare", viceversa, viene definita bancarotta fraudolenta (ex art. 216 L.F.) quando la frode dell'imprenditore è diretta ad aggravare l’insolvenza a danno delle legittime aspettative dei creditori tramite "distrazione, occultatazione, dissimulazione, distruzione o dissipazione, in tutto o in parte, dei propri beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, abbia esposto o riconosciuto passività inesistenti o ha sottratto, distrutto, falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sè e agli altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari". [1][2][3]
Le pene previste si differenziano a seconda del reato commesso e prevedono la reclusione da tre a dieci anni nella fattispecie della bancarotta fraudolenta e la reclusione da sei mesi a due anni per la bancarotta semplice.[4]
2. Sentenza della Corte di Cassazione 18 agosto 2016 n. 34991- Il caso
Con la sentenza resa all’esito di rito abbreviato in data 31 ottobre 2013, confermata dalla Corte d’appello di Trento, il Gup del Tribunale di Trento condannava i due imputati alla pena di giustizia per i delitti di bancarotta fraudolenta per distrazione uno solo e bancarotta semplice documentale entrambi in relazione al fallimento della loro società, dichiarato con sentenza del 4 luglio 2012; gli imputati, in qualità rispettivamente di socio e amministratore di fatto della società e socio illimitatamente responsabile ed amministratrice formale, erano ritenuti responsabili:
1) della distrazione della nuda proprietà della quota di beni immobili di proprietà della società, ceduti in assenza di corrispettivo, asseritamente ad estinzione di parte di un debito che la cedente aveva contratto nei confronti dei figli e dell’amico e socio, in tal modo alterando la par condicio creditorum;
2) dell’omessa tenuta del libro giornale, ovvero dell'annotazione delle operazioni gestionali; omessa tenuta del libro degli inventari e omessa redazione dell'inventario annuale per gli anni 2010 e 2011.
Contro la sentenza proponevano ricorso per Cassazione gli imputati.
3. Motivazione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte è concisa nell’affermare che si possa parlare di bancarotta per distrazione nell’ipotesi in cui intervenga la cessione della nuda proprietà di beni immobili in favore dei figli, tra l’altro senza alcuna prova di un debito contratto con loro dal genitore.
Tra le motivazioni della condanna, emerge l’aver appunto distratto una nuda proprietà della quota di beni immobili della società, a estinzione di parte di un debito che l'imputato affermava di aver contratto nei confronti dei figli, in comune con l’altro imputato, e verso un amico e socio, in tal modo alterando la par condicio creditorum.
Alle stesse conclusioni, peraltro, pervenivano anche le sentenze di merito affermando che i debiti del socio avevano origine da prelievi di somme di denaro che provenivano dalle casse di altre società diversa da quella in oggetto e il debito verso il figlio trovavano fondamento solo attraverso delle scritture private che non garantivano una certezza in merito al contenuto e alla data di redazione. In aggiunta non vi è stata fornita la prova del passaggio originario di tali somme di denaro dal figlio a favore dei genitori.
Per tutto ciò, la Corte di Cassazione ha ribadito che, nonostante la decisione isolata presa con Sentenza 47502/2012, la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione è reato di pericolo a dolo generico, per la cui sussistenza, pertanto, non è necessario che l’agente abbia consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa, né che abbia agito allo scopo di recare pregiudizio ai creditori (Cass. 3229/2013 e 232/2013).[5][6]
4. Sentenza della Corte di Cassazione 18 agosto 2016 n. 35000 - Il caso
La Corte di appello di Firenze confermava la sentenza del tribunale di Firenze, con cui aveva condannato l’imputato alle pene in relazione al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, commesso nella qualità di amministratore e liquidatore della società, dichiarata fallita dal tribunale di Firenze, distraendo la somma di € 205.128,15, relativa a pagamenti effettuati dai clienti della società a fronte di forniture di legname.
Avverso la sentenza di condanna, l'imputato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando la violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del reato affermando, il ricorrente, che non si era verificata alcuna distrazione, perché le somme erano state versate in contanti dai debitori della società nelle mani dell’amministratore, contravvenendo al divieto sancito dalla normativa antiriciclaggio di cui alla L. 5 luglio 1991, n. 197. A fronte di ciò, i pagamenti non si sarebbero potuti considerare una forma legittima di adempimento delle obbligazioni nei confronti della fallita.
5. Posizione della Corte di Cassazione
La Corte precisa che il denaro contante versato direttamente nelle mani dell'amministratore in base a forniture regolarmente fatturate fa entrare a pieno titolo tale disponibilità nel patrimonio sociale e pertanto non può essere distratto essendo destinato al soddisfacimento dei creditori sociali secondo il principio della par condicio creditorum.
A tal proposito, secondo la Corte, risulterebbe privo di fondamento l'impianto difensivo secondo la quale l’adempimento dell’obbligazione civilistica non era valido per la violazione delle norme antiriciclaggio di cui alla L. 5 luglio 1991, n. 197, la quale poneva il divieto di effettuare pagamenti mediante trasferimento di denaro contante e titoli al portatore per somme superiori ad €12.500.
Il ragionamento offre l'occasione per ribadire un principio di diritto già espresso dalla stessa Corte di Cassazione in altre situazioni analoghe: in tema di reati fallimentari, la bancarotta fraudolenta non è esclusa dal fatto che i beni distratti o dissipati derivino da un’attività contra legem, poichè una volta entrati nel patrimonio, a prescindere dai modi della sua formazione, i beni diventano cespiti sui quali i creditori possono soddisfare le loro ragioni.
In conclusione la Corte afferma che i pagamenti ricevuti dalla società fallita, seppur in violazione della normativa sulla circolazione del denaro contante, devono considerarsi pienamente efficaci sul piano dell’adempimento dell’obbligazione assunta dai debitori della società; le somme di denaro che ne costituiscono l’oggetto vanno considerate a pieno titolo una delle componenti del patrimonio sociale, la cui distrazione ha integrato il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, imputabile nella figura dell'amministratore.[7][8]
Riferimenti bibliografici:
[1] - Legge fallimentare R.D. 16 marzo 1942, n. 267 artt. 216, 217, 223 e 224
[2] - Legge fallimentare esplicata IX edizione, Simone editore, 2015
[3] - Diritto fallimentare. Manuale breve, Giuffrè, 2013
[4] - Bancarotta, AltalexPedia, Marani S., 2012
[5] - Guida alla Contabilità & Bilancio / Il Sole 24 Ore Numero, Patrizia Galvagni e Elisabetta Pisani ottobre 2016
[6] - Corte di Cassazione, 18 agosto 2016, n.34991
[7] - Corte di Cassazione, 18 agosto 2016 n.35000
[8] - Il Sole 24 Ore, Norme e Tributi, pag.32, Edizione del 19 agosto 2016