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Pubbl. Lun, 29 Ago 2016

Autonomia privata e destinazione patrimoniale

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Paola Romito


Le nuove frontiere dell´autonomia privata nell´emergente fenomeno della destinazione patrimoniale: caratteristiche comuni e ratio legis


Negli ultimi tempi si assiste sempre più di frequente ad una nuova prospettiva di autonomia privata, in base alla quale si consente ai privati di regolamentare i propri traffici giuridici avvalendosi di uno strumento ad hoc che consenta loro di separare una data massa patrimoniale e vincolarla ad uno scopo predefinito.

Tale moderno ed innovativo fenomeno non reca con sé un’unica disciplina o definizione, differenziandosi invero in base alle caratteristiche ravvisabili in concreto, come del resto evincibile dall’utilizzo da parte del legislatore di una moltitudine di locuzioni accomunate da una sorta di equivalenza semantica: destinazione patrimoniale, segregazione patrimoniale, autonomia patrimoniale, ecc.

Sono molteplici le applicazioni di destinazione patrimoniale introdotte nell’ordinamento, a sostegno della grande piega che sta assumendo tale fenomeno.

In disparte il mandato ad alienare ed il negozio fiduciario che, pur non condividendo talune peculiarità del patrimonio destinato non ne riproducono la relativa ratio né la univoca finalità, è possibile menzionare alcune ipotesi previste da leggi speciali e dal codice civile.

Rientrano nella prima categoria le leggi in materia di cartolarizzazione dei crediti e degli immobili, le disposizioni in materia di liquidazione concorsuale e quelle in materia di fondi comuni di investimento.

Numerose sono, altresì, le ulteriori ipotesi previste dal codice civile, frutto di un progressivo adeguamento alle esigenze emergenti ed allo stesso tempo di aggiornamento rispetto all’impianto codicistico originario, essendo in gran parte l’esito di modifiche normative intervenute nell’ultimo ventennio. Difatti, salvo la disciplina delle persone giuridiche previste nel titolo II del libro I, che costituiscono la prima forma di separazione patrimoniale prevista dall’ordinamento e caratterizzata da una dualità soggettiva oltre che patrimoniale, ci si è mossi negli ultimi tempi verso la ricerca di strumenti che consentissero di creare una separazione patrimoniale mantenendo, però, un’unicità soggettiva di più agevole regolamentazione  ed al contempo più economicamente vantaggiosa.

A titolo esemplificativo si pensi alla disciplina dell’eredità giacente ex artt. 528 ss. cc.; a quella inerente ai fondi speciali per la previdenza ed assistenza prevista dall’art. 2117 cc.; all’istituto del fondo patrimoniale regolato dagli artt. 167 ss. cc.; ai patrimoni destinati ad uno specifico affare ex art. 2447 bis ss. cc. e, da ultimo, alla disciplina prevista dall’art. 2645-ter cc. nonché, con alcune precisazioni,  a quella del trust.    

È possibile individuare delle caratteristiche comuni alle varie forme di separazione patrimoniale previste dal legislatore.

La prima di queste è data dalla circostanza per cui su una determinata massa di beni del patrimonio viene impresso un vincolo dalla legge o, qualora possibile, dall’autonomia privata. I beni sottoposti al vincolo predetto sono generalmente indisponibili, salvo valutare caso per caso la compatibilità di atti di vario genere.

Senza dubbio, però, la caratteristica principale è legata alla limitazione di responsabilità per i creditori nascente da tale vincolo destinatorio. Si parla a tal proposito di “incomunicabilità” tra beni e massa creditoria, che può essere:

  • unilaterale qualora incida esclusivamente sul patrimonio destinato, così da precludere ai creditori generici l’aggressione alla massa patrimoniale destinata, consentendo invece ai creditori speciali del patrimonio destinato il soddisfacimento dei propri crediti anche sul patrimonio generale e non coperto dal vincolo;
  • bilaterale se consente ad entrambe le categorie di rifarsi esclusivamente sui beni inerenti al patrimonio di riferimento.

Il legislatore, tipizzando le ipotesi di destinazione patrimoniale, dimostra una tendenziale titubanza verso questo fenomeno, che consente di immobilizzare una determinata massa patrimoniale derogando al principio dispositivo.

Si crea, inoltre, un evidente sacrificio della massa creditoria che vede sostanzialmente attenuata la propria garanzia generica. Viene, cioè, scardinato il principio della integralità e universalità della garanzia patrimoniale ex art. 2740 cc., seppur mitigato dal 2740 co. 2 cc. che consente una limitazione di responsabilità purché prevista dalla legge.      

Tale previsione codicistica ha segnato il progressivo adeguamento da parte del legislatore alle prassi pretorie incardinatesi in merito all’art. 1948 del codice civile del 1865 che, al contrario, non ammetteva deroghe alla garanzia patrimoniale personale.

Ciò, del resto, riflette il passaggio da una visione prettamente patrimonialista ad una più spiccatamente antropologica in cui assume sempre più centralità l’uomo ed il suo grado di sviluppo come singolo e nelle formazioni sociali di cui all’art. 2 Cost. ed in cui perde rilevanza la concezione della proprietà come perno attorno al quale ruota il mercato e tramite cui si manifesta e si proietta l’individuo.

Da ciò deriva ulteriormente il passaggio da una concezione di universalità patrimoniale ad una di segmentazione di patrimoni a cui consegue un nuovo concetto di proprietà “funzionalizzata”  e non piena; un nuovo potere del proprietario di destinazione quale species del genus disposizione; una nuova tipologia di negozio giuridico a metà strada tra negozio ad efficacia reale e negozio ad efficacia obbligatoria.

Una parte della dottrina, alla luce di ciò, suggerisce una rilettura del fenomeno all’interno del contesto ordinamentale istituendo questa specializzazione della responsabilità quale tecnica di separazione che prende il posto dell’opposto parametro della universalità  della responsabilità.

In tal modo, si sostiene, si darebbe vita ad un efficiente strumento di allocazione di risorse  e  razionalizzazione dei rischi perché il creditore sarebbe preventivamente edotto dei limiti della sua garanzia. Ciò, però, non toglie il risultato di sfavore che si realizzerebbe per il creditore, ragion per cui si  tende a minimizzarne l’utilizzo, affidando all’esclusiva volontà del legislatore la regolamentazione di tale disciplina.