Pubbl. Mer, 6 Lug 2016
L'insinuazione al passivo di crediti di lavoro e la sospensione feriale dei termini
Modifica paginaLa sospensione feriale dei termini tra rito lavoristico e rito fallimentare
SOMMARIO
1. IL CASO - 2. L’ORDINANZA INTERLOCUTORIA
1. Il caso
La vicenda prende le mosse dalla sentenza del 13.10.2012 con cui la Corte d’Appello di Palermo ha dichiarato inammissibile, perché tardivo, il ricorso proposto da due lavoratori avverso la decisione di primo grado che aveva respinto l’opposizione ex art. 98 l. fall., da essi proposta per ottenere l’ammissione allo stato passivo del fallimento della società di crediti aventi titolo nel rapporto di lavoro intrattenuto con la società successivamente fallita.
In particolare, secondo il Giudice d’appello il ricorso, proposto dai lavoratori, era tardivo, in virtù del fatto che non opera in materia di lavoro la sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale.
E’ noto che nel rito lavoro, e pertanto in tutte le controversie previste dall’art. 409 c.p.c., ai sensi dell’art. 3 della L. n. 742 del 1969 , non si applica il regime della sospensione feriale dei termini processuali. Tale previsione fa leva sulle caratteristiche di oggettiva urgenza dei diritti del lavoratore, che giustificano l’immediatezza e la concentrazione del rito del lavoro.
Avverso, però, la decisione della Corte d’appello di Palermo hanno proposto ricorso per Cassazione i due lavoratori, deducendo che la Corte territoriale avrebbe fatto errata applicazione dei principi giurisprudenziali enunciati in materia dalla Cassazione, atteso che il giudizio di primo grado si era svolto secondo il rito ordinario e che pertanto, in virtù del principio dell’affidamento, anche l’appello doveva ritenersi soggetto a tale rito.
2. L’ordinanza interlocutoria
La Prima Sezione della Corte Suprema ha ritenuto di dover rimettere alle Sezioni Unite la questione dell’assoggettabilità o meno al regime della sospensione feriale dei termini processuali dei giudizi aventi ad oggetto l’insinuazione allo stato passivo del fallimento di crediti nascenti dal rapporto di lavoro. (Ordinanza interlocutoria n. 8792 del 2016).
In particolare i Giudici di legittimità hanno, innanzitutto, ritenuto che alla controversia in oggetto debba applicarsi il rito disciplinato agli art. 93 e ss. l. fall. e che tale rito sia assoggettabile alla sospensione feriale.
La Corte, nell’ordinanza interlocutoria, ha rammentato che l’orientamento dominante ha costantemente affermato che l’art. 3 della medesima legge, nella parte in cui stabilisce che la sospensione feriale non si applica alle controversie previste dall’art. 409 c.p.c., opera anche nelle cause di accertamento dei crediti di lavoro nel fallimento, in ragione della speciale natura della materia che ne forma oggetto.
Quindi, il fatto che l’art. 3 cit. faccia riferimento alle controversie laburistiche, anziché al processo laburistico, ha indotto la Corte di Cassazione a privilegiare l’approccio ermeneutico che oggi, invece il Collegio intende porre in discussione.
Infatti, la Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 24665 del 2009 aveva già affermato che anche nelle cause di accertamento dei crediti di lavoro nel fallimento non operava la sospensione feriale, privilegiando – così – un “approccio ermeneutico”, secondo cui la natura sostanziale di causa di lavoro prevarrebbe sulla forma del processo, con la conseguente inapplicabilità della sospensione feriale nei giudizi in cui sono in discussione crediti di lavoro, onde assicurarne un rapido soddisfacimento.
Oggi la Corte ha messo in discussione questo suo precedente insegnamento.
Lo ha fatto sulla base di una lettura costituzionalmente orientata (art. 35 Cost.) delle dette disposizioni, tenendo conto della particolarità dei diritti che nascono da un rapporto di lavoro subordinato e dalle caratteristiche del procedimento fallimentare.
In particolare, non avendo il procedimento fallimentare nessuna specifica esigenza di speditezza in tema di ammissione dei crediti di lavoro, non applicare a tale procedimento la sospensione feriale (prevista, invece, per tutti gli altri creditori), finirebbe per svantaggiare proprio i diritti del lavoratore e, dunque, per contraddire la ratio stessa della non applicabilità della sospensione alle controversie di lavoro.
In altri termini, una norma dettata per avvantaggiare il lavoratore apporterebbe, invece, un danno allo stesso, “precludendogli di usufruire di un maggior termine per impugnare il provvedimento di esclusione dallo stato passivo pur non sussistendo quelle esigenze di speditezza che giustificano l’inapplicabilità della sospensione feriale nelle ordinarie controversie di lavoro”, come si ricava dall’ordinanza interlocutoria in commento.
Secondo la Corte, tale lettura non è preclusa neppure dall’art. 92 Ord. Giud., attesa la prevalenza della disciplina fallimentare “che attrae, nel suo ambito, consentendo di includerle nella relativa materia, le impugnazioni allo stato passivo aventi ad oggetto l’accertamento di crediti di lavoro” (ord. cit.).
Per ultimo gli Ermellini si chiedono se la questione abbia ancora rilevanza nei giudizi di impugnazione dello stato passivo dopo l’entrata in vigore della Riforma delle procedure concorsuali, con il d.lgs. gennaio 2006, n. 5, e dell’introduzione dell’art. 36 bis a norma del quale non sono soggetti alla sospensione feriale i soli termini processuali previsti negli artt. 26 e 36 l. fall.
La norma, che sembra porsi come assolutamente speciale e, di conseguenza, prevalente rispetto a quella generale dettata per il rito del lavoro, consentirebbe di concludere, attraverso una interpretazione a contrario, che la sospensione feriale dei termini troverebbe applicazione in ogni procedimento endofallimentare.
Pertanto resta da stabilire se, per la sua specialità, la norma prevale sull’art. 3 della L. n. 742/69, consentendo in tal modo di ritenere che, nel nuovo regime, tutti i giudizi di impugnazione dello stato passivo, ivi compresi quelli aventi ad oggetto l’accertamento di crediti di lavoro, sono soggetti ai termini di sospensione feriale.