Nascere in Euro. Parte 3 di 4: Bond, Eurobond
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Saverio Setti
Analisi storica, economica e politologica dello sviluppo dell´Unione monetaria e dell´opposizione politica ad essa in due casi di studio: la Lega Nord ed il Movimento 5 Stelle.
Questo contributo fa parte di una serie di articoli di approfondimento sull'Euro:
Parte 1 - “La democrazia è la forma politica del capitalismo”
Parte 2 - "È destino che la società libera sia più produttiva"
Parte 3 - "Bond, Eurobond"
Parte 4 - "Paradigma dell'economista? Non spacciarsi da profeta"
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Durante il 2006, l’economia europea aveva ripreso a crescere, al traino dell’espansione americana. Questa dipendenza le è costata cara nel 2007, in seguito alla crisi dei mutui subprime. Ma il problema principale è la divergenza crescente nella performance delle economie che fanno parte dell’Unione. Valutata in base alla crescita del PIL, la dispersione di performance è rimasta su valori simili a quelli antecedenti il lancio della moneta unica[1]. In Germania, ad esempio, la domanda estera ha contribuito alla crescita per oltre quattro punti in più rispetto al resto d’Europa. Lo scarto inflazionistico tedesco rispetto alla media euro è costantemente negativo, mentre l’opposto si verifica per Irlanda, Grecia e Spagna. In un’unione monetaria, differenze persistenti nei tassi d’interesse nazionali non sono senza conseguenze. Da un lato non favoriscono Paesi con crescita più bassa, dall’altro favoriscono nettamente i Paesi forti che non vedono la moneta sopravvalutata. La crisi finanziaria esplosa nell’agosto 2007 ha rapidamente mutato le prospettive di crescita globale dopo un periodo di espansione prolungata e sostenuta. Conseguenza macroeconomica[2] è stata la mancata soluzione degli squilibri dei pagamenti internazionali contrassegnati dal crescente surplus commerciale di Brasile, India e Cina e il simmetrico peggioramento del deficit corrente degli Stati Uniti dovuto all’ingente accumularsi di liquidità al di fuori del mercato americano.
Tutto ciò ha alimentato spinte di forte reazione alla liberalizzazione degli anni passati ed al concetto stesso di moneta unica.
Nell’opinione di chi scrive l’idea di uscire dall’euro è sbagliata. Primo perché, come dimostra il grafico sottostante, la crisi attuale è sistemica nel senso mondiale, quindi non è derivante dall’impianto della moneta unica. Secondo perché la moneta unica è riuscita a proteggere le economie europee ed a mantenere il proprio valore nei confronti della prima moneta mondiale, cosa che ha garantito stabilità.
Ma volendo analizzare la cosa sul piano controfattuale, e possibile chiedersi cosa succederebbe se un Paese volesse uscire dall’euro. La risposta che viene dall’Europa è categorica: l’euro non è una porta girevole[3]. Anche perché la possibilità non è nemmeno contemplata nei Trattati.
Ma nella storia moderna ci sono almeno due esempi: la guerra civile americana e la rottura monetaria dell’Impero Austroungarico.
Se un Paese dunque decidesse di uscire dall’euro per prima cosa dovrebbe iniziare a stampare una nuova moneta e nel frattempo introdurre misure di controllo sui capitali e sui viaggi all’estero, per impedire una fuga valutaria. Per fare ciò sarebbe necessario una misura estremamente drastica: il congelamento dei conti correnti, fino alla completa conversione, per evitare che i correntisti ritirino in massa base monetaria per preservarla in quanto moneta forte. Questo genererebbe panico e malcontento nella società, che diverrebbe difficilmente controllabile.
Il tasso di cambio euro/nuova moneta, sarebbe poi deciso arbitrariamente dalle autorità di quel Paese. Ma è chiaro che una moneta appena nata, da un Paese che è uscito da un sistema monetario sicuro, sarebbe praticamente carta straccia. Per operare una riconversione il Parlamento dovrebbe attuare leggi particolari, che non solo non riuscirebbero a calmierare la caduta di valore della nuova moneta ma, essendo prevedibilmente restrittive sul piano economico, aumenterebbero il malcontento di una società già impossibilitata a far uso del proprio denaro.
Gravissima sarebbe la situazione debitoria: i debiti sarebbero riconvertiti velocemente nella nuova valuta, al fine di evitare un default generalizzato, ma i redditi delle famiglie sarebbero ridotti al minimo, in virtù dello scarso valore delle nuove banconote. Le unità in deficit estero si troverebbero ad avere debiti in euro e crediti in moneta molto svalutata. Sul piano internazionale la situazione sarebbe apocalittica. I titoli di Stato non potrebbero essere riconvertiti, poiché posseduti da partner europei ed ivi residenti fiscalmente. Lo Stato, dunque, non potrebbe dichiarare il default e sarebbe costretto a pagare enormi somme nella sua nuova moneta indebitandosi ulteriormente, anche perché vedrebbe certamente cadere verticalmente i commerci con i vecchi partner europei. L’unica soluzione sarebbe quella di sospendere il pagamento degli interessi dei bond verso i creditori nazionali, ma a quel punto la situazione sociale diverrebbe completamente incontrollabile. UBS calcola che il danno effettivo pro-capite sarebbe tra i 9.500 e gli 11.500 euro l’anno[4].
Chi scrive non ha la pretesa di offrire soluzioni al problema del futuro dell’euro. Tuttavia rimane convinto del fatto che la resilienza economica dell’UEM sia tra le migliori mai viste nella storia.
Due guerre mondiali hanno indubbiamente lasciato in eredità il compito di ricondurre la sovranità statale entro un qualche ordine giuridico e il metodo economico è stato finora vincente. In meno di quattro anni e mezzo l’Europa è passata dall’estremo di cambio fluttuante a quello fisso, il “Re” ha agito.
Il mercato finanziario internazionale ha cominciato a «quotare» ciascun Paese in base alla presunta capacità di rispettare i criteri di convergenza, i privati hanno agito.
Ed è sorprendente la rapidità con cui un evento tanto eccezionale nella storia politica ed economica sia stato, in genere, accettato, pur con alcune opposizioni.
Si è detto come uno dei modi più rapidi ed efficaci per mantenere saldi i mercati dell’eurozona e riallineare gli spread a cifre più realistiche è la creazione di titoli di debito pubblico di Stati dell’area euro: gli Eurobond.
In effetti in questo senso sono state avanzate più proposte, dunque conviene esaminare, almeno in modo riassuntivo, le principali.
Il 2 maggio 2010 la Bruegel pubblicò un saggio[5] contenente la proposta dei Blue bond. Secondo questa proposta, gli Stati dell’eurozona avrebbero condiviso fino al l 60% del PIL come debito nazionale senior, sotto garanzia della responsabilità proporzionale e solidale, riducendo così il costo per questa quota del debito. A tutto ciò che supera la quota di allocazione dei Blue bond, i governi nazionali avrebbero fatto fronte con emissioni di titoli di debito nazionale junior, per il quale sarebbero previste rigide procedure per un default finanziario controllato. Il costo marginale del debito pubblico sarebbe aumentato, spingendo i Paesi meno virtuosi ad un maggior rigore nella politica di bilancio. Il progetto, però, non ricevette una buona accoglienza.
Un anno dopo[6] Prodi e Quadrio Curzio esposero, in una lettera a «Il Sole 24 Ore» la proposta di creare del solidi EuroUnionBond garantiti senior dalle riserve auree detenute dai Paesi dell’area euro e junior dal diritto di garanzia reale su azioni di società controllate o di proprietà statale.
La stessa Commissione non è rimasta insensibile alla questione. In un libro verde del novembre 2011[7] essa espone due orientamenti generali alla questione:
- Eurobond completi con responsabilità solidale: il completo swap tra bond nazionali ed europei. La Commissione riporta: « This option would accordingly have strong potential positive effects on stability and integration. But at the same time, it would, by abolishing all market or interest rate pressure on Member States, pose a relatively high risk of moral hazard and it might need significant Treaty changes.»[8];
- Eurobond parziali:
- Con responsabilità solidale: emissione contemporanea di bond sovrani ed europei, questi ultimi sarebbero garantiti solo fino ad una certa percentuale di PIL mentre il restante sarebbe coperto dai bond sovrani. Un approccio di questo tipo ridurrebbe il moral hazard alla percentuale di PIL suddetta, perché la copertura condivisa giungerebbe da un fondo creato ad hoc;
- Senza responsabilità solidale: emissione contemporanea come nell’approccio precedente, ma senza copertura congiunta. Questa condizione dovrebbe necessariamente imporre condizioni molto stringenti all’emissione, poiché il titolo sarebbe prezzato sulla fiducia. Pertanto la redistribuzione dei vantaggi tra Paesi di rating diverso sarebbe limitata. Tant’è che il giudizio della Commissione è poco entusiasta: « This option would therefore probably have only smaller effects on stability and integration, and the risk of moral hazard for the conduct of economic and fiscal policies in Member States would seem very limited.»[9]
Intuitivamente è facile comprendere come mentre Stati con rating più bassi abbiano accolto favorevolmente la proposta degli eurobond, i Paesi più quotati abbiano espresso posizioni contrarie anche se in modo né pregiudizievole né netto[10]. Secondo questi ultimi, infatti, non solo l’introduzione degli eurobond avrebbe effetti negativi sulle passività, ma favorirebbe politiche economiche azzardate che potrebbero portare a forti spinte inflazionistiche cui la Bundesbank, per chiari motivi storici, è sempre stata fortemente contraria.
Esistono, in effetti, delle problematiche da affrontare. La prima è di carattere giuridico. Il Trattato di Lisbona[11], con la nota clausola del no bail-out, vieta il salvataggio di uno Stato membro in crisi, non solo attraverso la diretta assunzione di debiti sovrani da parte dell’Unione o di altri Stati membri, ma anche per mezzo di qualsiasi sostegno finanziario sotto forma di prestiti, garanzie, linee di credito, acquisto di titoli pubblici o accettazione degli stessi in garanzia. Gian Luigi Tosato[12], a tal proposito, scrive: "Ma è così che l’art. 125 va interpretato? Intanto non è quello che si desume dal testo letterale. La norma si limita a dire che l’Unione e gli Stati membri non sono responsabili e non subentrano nei debiti di un altro Stato membro. In altri termini, i debiti di quest’ultimo non si estendono all’Unione e agli altri Stati membri; rimangono solo ed esclusivamente dello Stato che li ha contratti. Più oltre la formulazione dell’art. 125 non si spinge. In particolare, non vi è traccia del preteso divieto di ogni e qualsiasi sostegno finanziario. Una lettura del genere sarebbe peraltro incompatibile con i canoni dell’Interpretazione sistematica. Non si concilia infatti con l’art. 122 Tfue, che autorizza esplicitamente l’assistenza finanziaria di uno Stato in speciali circostanze; ancor di più contrasta con il principio di solidarietà enunciato fin dal preambolo del Trattato sull’Unione europea (Tue) e inserito poi nell’art. 3 Tue. È evidente che un principio così fondamentale non può essere contraddetto da un’interpretazione dell’art. 125 Tfue tale da escludere qualsiasi forma di solidarietà nell’Unione verso uno dei suoi membri in crisi.[13]".
Ulteriore problema è il tempo necessario all’armonizzazione delle legislazioni nazionali per l’emissione del nuovo titolo.
È, però, innegabile che anche considerando un relativo ritardo di efficacia gli effetti sarebbero positivi. Si consideri, ad esempio, come una semplice evoluzione delle drastica delle prospettive finanziarie determinata da un eventuale raggiungimento del consenso, sarebbe da sola in grado di ripercuotersi positivamente sui mercati finanziari, che si adatterebbero immediatamente alle mutate condizioni: i benefici, in questo caso, inizierebbero subito a ricadere sui costi di finanziamento dei debiti nazionali, ancor prima della effettiva sostituzione, parziale o totale, ad opera degli eurobond. Conviene evidenziare, inoltre, come il mero annuncio dell’avvio dell’”operazione eurobond” comporterebbe una netta posizione rialzista dell’intero bacino di mercati euro ed in particolare di tutte le operazioni futures che, essendo derivati, aumenterebbero il loro valore esponenzialmente al mercato regolare. L’”operazione eurobond” sarebbe ben vista anche dai cassettisti, perché l’allestimento di un mercato obbligazionario su vasta scala in una sola valuta offrirebbe un’opportunità sicura, liquida e superiore, in termini di PIL e dunque di garanzia, rispetto al dollaro. Il rafforzamento valutario conseguente consentirebbe un maggiore equilibrio del sistema finanziario mondiale, in grado di poter contare su due valute d’ancoraggio.
Attraverso l’economia, l’Europa ha compreso e introiettato la sua nuova missione civilizzatrice. La potenza civile deve essere il modo nuovo di agire sul piano internazionale ed ha funzionato pienamente con quanti sono emersi dal crollo del socialismo reale. Le esperienze di esportazione militare della democrazia hanno dimostrato quanto difficilmente l’hard power possa condurre a risultati efficienti sul lungo termine. Il potere militare deve riconfigurarsi e divenire pienamente difensivo, una volta resosi conto del fatto che la convergenza volontaria verso criteri unici ed estranei all’ottica statalista dell’ottimo paretiano nel contesto internazionale, che l’effetto spillover e che il riallineamento verso la pace e la democrazia devono passare attraverso il benessere di chi lo subisce, più che dal calibro 5,56 dei proiettili NATO.
Note e riferimenti bibliografici
[1] P. Guerrieri e C. Padoan, Istituzioni…, cit., p. 69.
[2] Posto che la caduta del mercato immobiliare è stata la rottura dell’anello debole della catena.
[3] Articolo Merkel: «Nessun Paese dovrà uscire dall’euro» ne «l’Unità» del 9 gennaio 2012, disponibile a questo link.
[4] Articolo Analisi di UBS sui costi di uscita dall’euro del 7 settembre 2011 riportato dal blog finanziario banknoise.com, disponibile a questo link. Si veda anche l’articolo Dal Portogallo: “Il debito è l’unica arma che abbiamo” del 16 dicembre 2011 riportato dal sito Wallstreetitalia.com, disponibile a questo link.
[5] J. Delpla e J von Weizsäcker, The Blue Bond Proposal, Bruegel Policy Brief, vol. 3, maggio 2012, saggio interamente disponibile a questo link.
[6] Si veda l’articolo di R. Prodi e A. Quadro Curzio, EuroUnionBond per una nuova Europa, ne «Il Sole 24 Ore» del 23 agosto 2011.
[7] European Commission Green Paper on the feasibility of introducing Stability Bonds, del 23 novembre 2011, interamente disponibilea questo link.
[8] Ovvero «questo avrebbe potenzialmente forti effetti positivi sulla stabilità e sull'integrazione. Ma allo stesso tempo, abolendo ogni pressione sugli stati membri da parte dei mercati e dei tassi di interesse, questa soluzione pone un rischio relativamente alto di azzardo morale e potrebbero essere necessari notevoli modifiche ai Trattati».
[9] Ovvero «questa opzione dunque avrebbe probabilmente solo effetti minori sulla stabilità e sull’integrazione, ed il rischio di moral hazard per la condotta delle politiche economiche e fiscali degli Stati membri sembra molto limitato».
[10] Si veda l’articolo di A. Tarquini, Vittoria tedesca, frena la Bce, ne «La Repubblica» del 2 agosto 2012.
[11] Articolo 125.
[12] Gian Luigi Tosato è professore ordinario di Diritto dell’Unione europea, Università «La Sapienza» di Roma.
[13] Si veda l’articolo Il salvataggio della Grecia rispetta i trattati? in «Affari internazionali», del 21 maggio 2010, disponibile a questo link.