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Pubbl. Sab, 2 Lug 2016

Società e diritto, la sua eredità (prima parte)

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Raffaele Giaquinto
Analista InformaticoUniversità degli Studi di Salerno



Molti istituti del diritto moderno affondano in concetti di antiche discipline. Nel diritto che ci appartiene, si nasconde un processo evolutivo che dura da millenni. In questa serie di articoli proviamo ad analizzare le origini, valutandone le trasformazioni.


Il concetto di diritto

Con il termine diritto s'intende quell'insieme di norme giuridiche che regolano i rapporti tra le persone, aggiungerei, in un contesto socialmente organizzato. Questo (in modo riassuntivo) è quello che troviamo scritto in qualsiasi libro di "diritto" e che uno studente di giurisprudenza legge al primo anno accademico.
Il diritto però nasconde eccezioni e sfumature, il termine in se dice poco o nulla ed è usato con accezioni differenti, il prof. Stefano Rodotà ne da la seguente definizione: "Il diritto è un apparato simbolico che struttura un'organizzazione sociale anche quando si sa che alcune sue norme sono destinate a rimanere inapplicate".

Quindi è la norma che caratterizza il diritto, ed è sempre la norma che lo determina. La norma di fatti è una regola da osservare, un comando a cui una persona deve attenersi per non incorrere in sanzioni.

E fin qui nulla di anormale, piuttosto semplice, la norma regola i comportamenti ed il diritto contiene quell'insieme di norme che definiscono il "modus operandi" di una società.

Quindi chi nasce (in un qualsiasi momento) non può sapere o conoscere le norme che regoleranno il suo comportamento, gli saranno spiegate e insegnate negli anni della crescita, fino a raggiungere una maturità giuridica che gli permetterà di poter scegliere se rispettare o non quella prescrizione, e le conseguenze che il suo comportamento potrà avere.

Anche questo è palese, ma forse non è così scontato come sembra.

L'osmosi nel diritto

I meccanismi che regolano il comportamento di un individuo sono complessi e determinano "implicazioni" morali prima che giuridiche, meccaniche comportamentali molto elaborate e singolari, differenti quindi, da una persona ad un'altra. Se non fosse così, tutti avremmo un atteggiamento sincrono davanti ad un fatto o un'azione. Sotto certi aspetti, basterebbe dettare la norma senza doverla imporre con la minaccia di una sanzione o una pena, oppure per assurdo, ci potrebbe non essere una norma scritta.

Allora perchè non è così?
Perchè la norma per essere rafforzata (e imperativa) deve essere stabilita e (come nel diritto penale) minacciare una conseguenza punitiva? 

Anche questo è intuitivo, ognuno di noi percepisce una uguale norma in modo diverso, ne elabora i principi in modo "personale" e lo fa senza "coscienza", lo fa perchè la sua struttura mentale (e percettiva) si rapporta con il principio edittale secondo dei parametri che si attivano "meccanicamente", secondo un processo cognitivo originale e differente da soggetto a soggetto; la base è l'istruzione che ha ricevuto, il contesto sociale in cui è cresciuto e ancora per "osmosi", ovvero, per influenza tra soggetti che si condizionano l'uno con l'altro. 

Anche nel pensiero dei giuristi le idee non concordano, interi trattati ruotano intorno alla natura del diritto, ma per ora atteniamoci alla "storicità" e affrontiamo il ragionamento nell'esaminare la norma (e quindi il diritto stesso) come quella decisione imperativa che promana dal sovrano come sua volontà nel far rispettare una regola (o più regole) al fine di migliorare la convivenza dei suoi sudditi.

Nei secoli successivi il concetto stesso di sovrano muta, e da singolarità passa a pluralità, intesa quest'ultima come volontà del popolo attraverso i suoi rappresentanti. Lo scopo rimane immutato, cambiano i soggetti che promanano la norma, ma il fine rimane identico.

Da questa breve analisi sembra che sia indispensabile la presenza di un ente superiore (sovrano o parlamento che sia) che obblighi un comportamento, che muava le fila per organizzare e istruire un popolo. E sotto certi aspetti è proprio così, ricordiamoci del principio "osmotico", il comportamento può essere influenzato, per analogia quindi, il modo di pensare o percepire una norma può essere condizionato dalla norma stessa.

Forse in quest'ultima parte ritroviamo la ragione (o le ragioni) del perchè, in un certo momento storico, la struttura di uno stato o il pensiero di un popolo si differenzia da un'altro in base alle sue regole, o meglio, in base ai principi a cui si rifanno le sue regole. L'identità di un popolo è definita da regole che sono seguite da tutti i soggetti in esso appartenenti, e che si identificano in tutto questo in un contesto sociale che è limitato solo dai confini geografici e pertanto nazionali o statutari.

A ragione di tale ipotesi, possiamo azzardare un paragone. Se un inglese pensa e si comporta in modo differente da un tedesco e questi a sua volta da un italiano è colpa (o merito) del suo diritto?
Si, probabilmente si, anzi, certamente è colpa (o merito) di centinaia di anni di regole su dettami comportamentali che di fatto hanno forgiato il "modus operandi" di quel popolo ed in ultimo di quel singolo individuo, proprio perchè influenzato da comportamenti simili di chi, vicino a lui (e prima di lui), costituiva e costituisce l'umus della società inglese, o tedesca che sia.

Quindi in un cotesto di analisi analogica, un Salernitano somiglia nei suoi comportamenti ad un Napoletano, ma solo se gli stessi vengono assoggettati in un insieme regionale e paragonati come Campani ai Piemontesi, ed ancora, un Piemontese somiglierà al Calabrese, ma solo se assoggettati in un confronto transnazionale e così via, fino a poter identificare un Europeo da un Asiatico o Americano.

E potremmo fare un ragionamento inverso fino a raggiungere e confrontare i componenti di un nucleo familiare, o forse, i comportamenti di un'identico soggetto innanzi ad uno stesso fatto in condizioni diverse. 

Il diritto quindi, non solo regola comportamenti tramite le norme in esso contenute, ma è strumento efficace a formare la personalità di un popolo e (come conseguenza) del singolo individuo appartenente ad esso.

Quindi potremmo dire: in principio era il "diritto"?
Qualcuno sussulterà dalla comoda potrona da cui sta leggendo questo testo, è dirà: "...ma non era la luce?"

Ma sotto certi aspetti, è proprio così: in principio era il diritto!.
Il diritto agisce e ci conforma a tutti quei comportamenti che ci permettono di convivere gli uni con gli altri, nel rispetto di quella "bolla" immaginaria che ognuno di noi possiede a patto che venga riconosciuta. In mancanza di una tutela per tale riconoscimento si violano quei principi assoluti che portano alle peggiori nefandezze umane.

Se torniamo per un attimo a valutare il leggiferante, appare necessario dover differenziare il sovrano (che emana una legge per come lui percepisce e regola i rapporti) e il parlamento (in uno Stato parlamentare) dov'è il popolo che impone (una volta era così [ndr]) una regola e sulla base di questa si "autoregola".

E' importante questa distinzione, perchè ci pone in un contesto dove il diritto può uniformare il comportamento dei popoli senza tener conto dei confini Statali. In effetti è il diritto che sulla base di una globalizzazione uniforma gli Stati e fa si che le "singolarità" si adeguino, colmando di fatto il divario nel rapporto tra istituti del diritto fino ad oggi (ed in alcuni casi) profondamente diversi tra una nazione e l'altra.

Anche nel caso di macro valutazioni, possiamo affermare come l'influenza della comunicazione, dell'informatizzazione, dei continui interscambi culturali, avvicina sempre di più le discipline e gli istituti giuridici, tanto da poter concepire un "ordine" globale sempre più permeate e presente nella vita dei consociati.

Una prima avvisaglia di tutto questo è l'UE, che sulla base di rapporti commerciale (prima) e regolamentazioni del diritto "comune" sempre più stringenti (dopo) ha portato le nazioni aderenti ai trattati a uniformare il loro diritto "interno" e di fatto rinunciando sempre di più a "pezzi" di sovranità a favore del bene comune. Ed anche in quest'ultimo caso possiamo parlare di "osmosi", l'influenza o influenzabilità di uno Stato in un rapporto alla pari con altri Stati.

La reticenza e l'inevitabile condizione di diffidenza, giocano ancora ruoli importanti e sono motivo di rallentamento dell'evoluzione del diritto "globale" ma solo perchè retaggi antichi hanno una naturale resistenza ai cambiamenti. Il 23 Giugno scorso ne abbiamo avuto una prova illuminante, con il Regno Unito che abbandona la UE sulla base di un consenso popolare all'isolamento.

Iniziamo a verificare le origini del diritto e, a ritroso nel tempo, cercheremo di capire la sua evoluzione storica.

Storia del diritto

Fino a questo punto abbiamo parlato di un diritto "positivo" e (possibilmente) condiviso, che all'interno di un contesto sociale agisce e confoma i suoi appartenenti definendone la stessa struttura sociale. E' pur vero che secondo alcune tesi esiste ed è altrettanto forte un diritto non scritto, che in assenza di un precetto agisce in silenzio ed è osservato dalla pluralità dei soggetti senzienti, questo è il così detto diritto naturale e muove nei concetti del giusnaturalismo.

Lo ius naturale non può essere solo identificato in una corrente di pensiero filosofica, che assogetta un pensiero ad una condotta universale e immutabile, lo stesso Bobbio identifica il termine naturale come ambiguo, il conflitto esistente tra diritto naturale e diritto positivo, (secondo alcune linee di pensiero) nasce da un mancato adattamento di quest'ultimo al diritto naturale.

Gottfried Achenwall nella prima metà del settecento individua una sussidiarietà del diritto naturale alle lacune del diritto scritto. Lacune che nascono dai limiti del potere dello Stato nell'idetificare la coscienza dell'uomo come quella massima espressione nel regolarsi e regolare comportamenti sociali.

L'età classica del diritto "naturale"

Prima di disturbare la "scuola moderna" del diritto naturale che muove i suoi primi passi nel seicento, un'osservatore attento come Sofocle[1] (nel 500 a.C.) ipotizzava differenze e contrasti tra norme scritte dall'autorità e le leggi superiori, quelle non scritte (per il vero adebitate agli dei e non propriamente alla coscienza umana) gettando le basi a quella corrente filosofica della Sofistica e che oggi (ma già nel seicento) identifichiamo come diritto naturale o giusnaturalismo, forzandone volutamente il legame.

Una differenza di fondo invero esiste, ed è sottolineata anche dal pensiero presocratico, e cioè tra i primi naturalisti e i Sofisti. I presocratici sostenevano che la norma del sovrano per essere rispettata dal popolo doveva conformasi ed essere considerata giusta da questo, pertanto quanto più possibile corrispondente alle leggi naturali in un rapporto sempre più vicino fra "un giusto per natura" e "un giusto per legge".

Il pensiero dei Sofisti appare però caratterizzato dal relativismo, questo comporta differenti opinioni in una stessa corrente di pensiero, non solo nella teoria della coscienza (cd. gnoseologia) ma anche nel comportamento (dell'etica), lo stesso Callicle (sofista) sostiene la debolezza del diritto positivo, "...che nasce dai deboli per soverchiare i forti". Proprio in questo matura la contrarietà al diritto di natura, che postula sia tra gli animali sia fra gli Stati, ovvero, che il più forte s'impone sui deboli.

A fortificare tali teorie, nella Retorica di Aristotele si afferma la libertà degli uomini, perchè "la natura non creò nessuno schiavo" si condanna la "legge, tiranna dell'essere umano, che lo costrige a molte cose contro natura". Ed in quest'ultima nota che sta la debolezza del diritto positivo, e in alcuni casi (anche secondo Rodotà) alla non osservanza di alcune norme, quindi, carente in quel Principio di Effettività che prevede la concreta esecuzione di quanto stabilito nel diritto sostanziale, ovvero, la mancata efficacia nel caso concreto.

A ben riflettere questo diritto naturale, in quel preciso momento storico, assomiglia più ad un voler giustificare l'applicazione di un istinto naturale che regola o dovrebbe regolare i comportamenti. Ed in molte popolazioni (se non tutte) prevale proprio questa caratteristica, la legge del taglione (lex talionis) che per la prima volta ritroviamo scritta nel codice Hammurabi (Babilonia)[2], promulgata nel 1790 a.C. e si tratta (secondo alcuni) della prima raccolta di leggi orali, scritte su una stele di pietra nera (conservata al museo del Louvre a Parigi), rafforza proprio questo pensiero.

Anche in moltissimi istituti del diritto Romano, uno dei popoli più evoluti nella codificazione del diritto, troviamo leggi (ad esempio nello stesso codice Giustinianeo [Corpus iuris civilis - 529/534 d.C.]) che si rifanno a principi che, fortunatamente in buona parte, oggi sono in disuso, ma che in alcuni casi, rispettano proprio una linea di pensiero che si rifaceva ad un diritto istintivo, applicato in forza da una legge scritta, anche se (a ragion del vero) con Giustiniano si ha un primo "assaggio" dell'evoluzione del diritto così come oggi lo conosciamo.

- Fine Prima Parte -

Bibliografia

[1] Giusnaturalismo - Le origini, la Sofistica e Socrate - R. Tassi Itinerari pedagogici Zanichelli editore
[2] Il codice di Hammurabi - Furlani, Leggi dell'Asia Anteriore Antica