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Pubbl. Dom, 5 Giu 2016

Brexit, un colpo all'Europa?

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Raffaele Giaquinto
Analista InformaticoUniversità degli Studi di Salerno


Il 23 Giugno 2016 il popolo inglese è chiamato a rispondere al quesito: « Il Regno Unito deve restare nell´Unione Europea o deve lasciarla? »



Brevi cenni storici

L'unione Europea nasce nel 1957 con il trattato di Roma che istituisce la CEE (Comunità economica europea) o cd. "mercato comune". Fautori del trattato: Italia, Germania, Francia, Paesi bassi, Lussemburgo e Belgio. Lo scopo prevalente dei padri fondatori è quello di legare le nazioni europee da scambi di mercato e abbassare le tensioni nazionaliste al fine di garantire una pace duratura.
Ancor prima, la Comunità europea del carbone e dell'acciaio, aveva cominciato ad unire i paesi aderenti al trattato.
In seguito, il periodo della cd. "guerra fredda" rallenta il processo iniziato nel '57, vuoi perchè la Germania (non ancora motore dell'Europa) è divisa, vuoi perchè le potenze extra europee non potevano (volevano) competitor su un mercato da ricostruire e "manipolare" grazie anche alle opportunità del dopo guerra.

Nonostante tutto questo, gli anni '60 e '70 vedono in forte crescita l'economia dell'intero continente europeo, i movimenti studenteschi, l'industria, le conquiste sindacali, la produzione e una nuova coscienza sociale sono motori che fanno dell'europa continentale un attore economico e commerciale (prima che politico) di primaria importanza sulla scena mondiale.

In questi anni si assiste all'adesione del trattato da parte della Danimarca, dell'Irlanda e del Regno Unito (1973), in seguito (1974) del Portogallo e della Spagna (1975). Di fatto (in questi ultimi due casi), si decreta la fine delle dittature in Europa.

Nel 1979, con l'elezione del Parlamento europeo, l'europa (della politica istituzionale) inizia a muovere i primi passi aprendo la strada all'UE che nel 1986 con l'Atto Unico Europeo crea il "Mercato Unico", e dopo solo tre anni si compie una nuova rivoluzione politica nel cuore dell'europa, l'abbattimento del muro di Berlino (9 novembre 1989), che sigilla in modo indiscusso l'autonomia politica e commerciale dell'Europa.

Conclusasi l'ultima fase di "liberalizzazione" dai regimi extraeuropei (a partire dal comunismo della Russia) che di fatto determinerà un avvicinamento del popolo europeo nel 1993, l'opera iniziata sette anni prima, si avvia al completamento, dando cosi inizio ad una nuova era con due dei più importanti trattati: Maastricht (1993) e Amsterdam (1999). Da qui in poi sempre più paesi entreranno a far parte dell'Unione ed ancora oggi altri paesi sono in attesa di farne parte.

In tutto questo dov'è il Regno Unito?

Non si può far a meno di sottolineare la natura del popolo britannico. La Gran Bretannia (o Regno Unito) storicamente è stata sempre (in particolare nella storia moderna) una nazione colonizzante ed un popolo conservatore, che a ben pensare, non sono caratteristiche negative se osservate in ottica nazionalista.

Parere che muta, se collochiamo il Regno Unito in un contesto collaborativo e sicuramente vincolante, che nasce dal contesto e dalle politiche che l'UE si propone e propone, come ad esempio "la moneta unica".

La mancata partecipazione (o adesione) alla moneta unica europea da parte del Regno Unito è il primo sintomo della diffidenza e del mancato spirito di partecipazione di questo paese alle politiche "monetarie" dell'UE. Oltre all'ipotesi di un popolo estremamente conservatore, c'è sicuramente un ulteriore argomento, quello economico.

La questione del "cambio" ed il mancato ingresso del Regno Unito nella moneta unica.

La sterlina britannica (GBP) dal 1995 è fortemente apprezzata rispetto all'Euro.

Il rapporto GBP/Euro, al momento dell'ingresso nella moneta unica (2000/2002), avrebbe generato una crisi nel medio e lungo termine a costi molto alti (secondo gli economisti di oltre manica) per la sterlina. Questa "lungimirante" ipotesi di catastrofe, permetterà agli inglesi di non unificarsi agli altri Stati membri e di conservare la loro moneta. Così facendo avrebbe potuto regolare l'inflazione ed essere competitiva nell'import/export a danno dell'euro o da qualsiasi altra moneta potesse minare il loro mercato dei cambi.
A ben vedere, da una sopravalutazione di questa moneta che sicuramente esisteva nel 1995, oggi si è enormemente ridimensionata ed ha di fatto minato i fondamentali economici di quel paese.

La promessa politica e il "distrattismo" Europeo.

Tralasciando dubbi sui rapporti politici che hanno caratterizzato le linee di comportamento dei burocrati europei, che di fatto hanno adottando due pesi e due misure nei confronti di paesi come la Grecia o la Spagna (ma anche dell'Italia)  ed il Regno Unito, la domanda che forse ogni (convinto) europeo oggi si pone è: perchè, un paese come il Regno Unito fa un referendum per uscire dall'Europa? Semplice, per una mera promessa politica dei suoi politicanti!

Durante la campagna elettorale del 2015, Cameron azzardò la promessa che se fosse stato rieletto avrebbe organizzato un referendum sulla permanenza (o meno) del Regno Unito nell'UE. Il popolo gli ha creduto, sulla base di una campagna a favore dell'uscita (battezzata brexit), se l'europa non avesse "rimodulato" alcuni aspetti dei trattati in vigore.

Quindi il popolo Britannico conserva quel suo spirito di indipendenza?
Il fatto di aver votato un candidato che proponeva la Brexit, testimonia la prevalenza dello spirito "secessionista"?

No, non è proprio così, come per la moneta unica, lo spirito è opportunista.

Il concetto percepito è che: se l'Europa "s'inchina" al volere degli inglesi, allora gli si fa il favore di rimanere, altrimenti "au revoir".
Si, perchè Cameron, dopo aver ottenuto concessioni dall'Europa oggi non è "secessionista" (sic!), in Europa vuole rimanerci e, pur non condividendo il salvadanaio, vuole gestire quello degli altri.

L’accordo tra UK e UE

Ma guardiamo cos'ha ottenuto Cameron con la promessa di rimanere "forse" in Europa:

  • Sussidi: Cameron aveva chiesto che fosse interrotta la pratica prevista dalle leggi europee che consente ai migranti con figli di inviare i soldi dei sussidi ricevuti nel loro paese di origine, ma la proposta è stata respinta e si è trovato un compromesso per cui l’entità dei sussidi sarà basata sul costo della vita nel paese natale del migrante e non su quello nel Regno Unito.
  • Euro: Cameron ha riconfermato che il suo paese non si unirà al gruppo di nazioni che usano l’euro e ha ottenuto rassicurazioni e impegni sul fatto che questo non comporti una discriminazione da parte degli altri Stati che fanno parte della moneta unica. Inoltre, il denaro messo dal Regno Unito nei fondi per salvare gli stati in difficoltà economiche dovrà essere rimborsato, se utilizzato.
  • Politica estera: È stato formalizzato che il Regno Unito non fa parte dell’impegno per collaborare a “un’Unione sempre più stretta” come previsto nei trattati europei. Cameron ha anche ottenuto un nuovo meccanismo per consentire agli Stati contrari a un nuovo regolamento di intervenire per bloccarlo, a patto che ci sia il 55 per cento dei parlamenti nazionali contro le nuove norme. Il meccanismo non è molto chiaro e secondo diversi osservatori sarà difficile, se non impossibile, metterlo veramente in pratica.
  • Migranti: è stato concordato che i migranti che si trasferiscono per cercare lavoro nel Regno Unito accederanno più gradualmente ai sussidi, con modulazioni, ancora da definire, per ridurre il loro impatto sui conti pubblici.

Cameron ha detto che l’accordo soddisfa buona parte delle richieste formulate dal suo governo e di conseguenza si è schierato a favore della permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea. In realtà, diversi osservatori ritengono che il governo conservatore abbia ottenuto ben poco dalle autorità europee e che molte delle richieste non siano state soddisfatte.

Tralasciamo i consueti sondaggi, che pongono oggi la Brexit al 50,01% e domani al 49,99%. Il fatto è che nella storia dell'UE non ci sono precedenti, quindi, se tutto ciò dovesse accadere, il Regno Unito sarebbe il primo stato membro della storia a lasciare l'Unione Europea cosa che aprirebbe una pericolosa parentesi nei trattati fino ad ora stipulati, e che si, prevedono l'uscita di uno stato membro (art. 50 del trattato sull'Unione Europea "Ogni Stato membro può decidere di recedere dall'Unione conformemente alle proprie norme costituzionali") ma che per assenza di precedenti (trascurando quello della Groenlandia del 1985, solo perchè appendice della Danimarca) pone non pochi problemi alla "solida" struttura dell'UE, senza parlare di un pericoloso precedente che potrebbe avere un effetto domino (vedi Grecia).

Procedura di recesso

Prima del trattato di Lisbona, che è entrato in vigore il 1º dicembre 2009, non era previsto nei trattati e nel diritto dell'UE la possibilità da parte di uno Stato membro di ritirarsi volontariamente dall'organizzazione. La Costituzione europea aveva proposto tale disposizione e, dopo la mancata ratifica, questa è stata poi inclusa nel trattato di Lisbona. La Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati consente solo due casi in cui è possibile l'uscita:

  • Se tutte le parti riconoscono il diritto informale di farlo;
  • Nel caso in cui la situazione sia cambiata in modo così drastico, che gli obblighi di un firmatario si siano radicalmente trasformati.
    (L'indipendenza dell'Algeria nel 1962 è stato l'unico caso di uno stato divenuto indipendete e a separarsi dall'UE, fino ad allora parte integrante della Francia, era anch'essa facente parte della CEE)

Il trattato di Lisbona ha introdotto una clausola di recesso per gli Stati membri che intendono recedere dall'Unione. Ai sensi dell'articolo 50 del trattato sull'Unione europea, uno Stato membro può notificare al Consiglio europeo la sua intenzione di separarsi dall'Unione e un accordo di ritiro sarà negoziato tra l'Unione europea e lo Stato. I trattati cessano di essere applicabili a tale Stato a partire dalla data del contratto o, in mancanza, entro due anni dalla notifica, a meno che lo Stato e il Consiglio europeo siano d'accordo nel prorogare tale termine.

L'accordo è concluso, a nome dell'Unione, dal Consiglio europeo, e stabilisce le modalità per l'uscita, tra cui un quadro di riferimento per le future relazioni dello Stato interessato con l'Unione. L'accordo deve essere approvato dal Consiglio, che lo delibera a maggioranza qualificata, previa approvazione del Parlamento europeo. Se un ex Stato membro cercasse di ricongiungersi con l'Unione europea sarebbe soggetto alle stesse condizioni di qualsiasi altro paese candidato.

In conclusione

Ricordo che lo stesso referedum ha valore consultivo e non prevede quorum, questo significa che il parlamento potrebbe leggiferare avverso l'uscita dell'EU, ma questo per i britannici è pura fantascienza, un politico inglese non oserebbe mai navigare contro corrente. 

Ritornando all'argomento, l'uscita di uno stato membro dell'UE, comporterebbe condizioni di ridefinizione dei trattati (bilaterali) con conseguenze non prevedibili (o quasi) per le condizioni economiche e di mercato che andrebbero ad essere coinvolte. Basti pensare alla modifica delle tasse doganali, alla libera circolazione, agli accordi di libero scambio, a quelli militari e alla cooperazione delle industrie e dei fondi di finanziamento. 
Tutto questo per una semplice promessa elettorale (o quasi).

 

Per chi volesse cimentarsi nella lettura dei due trattati più importanti, Maastricht e Lisbona, che potrebbero essere "stravolti" nelle fondamenta, li allego in italiano, recuperati dal sito dell'UE.