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Pubbl. Ven, 20 Mag 2016

Felicità: una questione di diritto

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Carlo Giaquinta


La ricerca della felicità nel pensiero giuridico moderno tra Jefferson, Filangieri e la Costituzione repubblicana


Della felicità oggi si sente un gran parlare. 

In un’epoca che fa registrare probabilmente la più grave crisi economica, sociale e culturale che la storia abbia mai conosciuto, si sente sempre più l’esigenza di porre l’attenzione su quello che, forse, può essere considerato il bisogno primario di qualsiasi essere umano, vale a dire quello di essere felice.

In questa breve riflessione si cercherà di illustrare un aspetto peculiare dell’idea di felicità, ovvero il suo lato per così dire politico, orientando lo sguardo verso la possibilità che questa possa assurgere ad un vero e proprio diritto positivo garantito da un qualsiasi ordinamento legislativo, per dirla breve: il cittadino ha diritto a essere felice?

Il pensiero della felicità è sempre stato presente nelle riflessioni politiche sin dall’antichità, quasi a rappresentare il filo conduttore che lega insieme le varie teorizzazioni che si sono storicamente avvicendate nel campo della filosofia del diritto, le quali conducono ad interessanti spunti sulla capacità di costruire una società più felice attraverso lo strumento della legge.

Era stata già la tradizione giusnaturalistica moderna, tra il Seicento e Settecento, che aveva raccolto la sfida di portare il concetto della felicità, da dimensione puramente personale qual era sino a quel momento, nel campo nel diritto positivo.

Uno dei più grandi esponenti della scuola italiana del diritto naturale fu il salernitano Antonio Genovesi, il quale, a metà del XVIII° secolo,  scriveva nella sua  “ Diceosina o sia della filosofia del giusto e dell’onesto, che “un diritto è sempre una facoltà dataci per essere felici”, aprendo la strada ad una vera e propria politica della felicità il cui apice sarà raggiunto dalla lotta dei coloni americani per l’indipendenza, con la famosa Dichiarazione di Philadelphia del 4 Luglio 1776.

In quella sede, i padri costituenti statunitensi, con a capo Thomas Jefferson, nel preambolo, uno dei testi più conosciuti al mondo, affermano : “ Noi riteniamo che queste verità siano di per sé evidenti, che tutti gli uomini sono creati uguali e che sono dotati dal loro creatore di certi inalienabili diritti fra i quali quelli alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità”.

Quella Dichiarazione, di cui ogni anno viene celebrato il ricordo nell’ Indipendence Day, segna il punto di arrivo di un pensiero, quello della felicità, che nell’esperienza americana riceve una vera e propria garanzia di rango costituzionale, assumendo i caratterii di un vero e proprio diritto inalienabile, di cui deve farsi scudo il potere politico nell’ambito dell’azione di governo.

L’esperienza americana tuttavia non rimane isolata, anzi si pone in continuità con un’altra, altrettanto meritevole di essere ricordata, ed è quella della scuola politica napoletana di cui illustre esponente fu Gaetano Filangieri, la cui monumentale Scienza della Legislazione, costituita da sette volumi dati alla luce tra il 1780 e il 1788,  ha scalfito in maniera indelebile tutta la cultura giuridica italiana ed europea del tardo Settecento, giungendo ad influenzare il pensiero dei padri costituenti americani.

Ed infatti in quell’epoca si registravano fitti contatti, di carattere epistolare, tra Filangieri ed i più importanti protagonisti della rivoluzione d’oltreoceano, soprattutto con quel Benjamin Franklin, che insieme a Jefferson firmerà la Declaration, e che vedrà appunto nei volumi della Scienza le fondamenta giuridiche su cui costruire il nuovo stato che da lì a poco tempo sarebbe destinato a dominare il mondo.

Nulla esclude, anzi, è altamente probabile, che il diritto alla ricerca della felicità scolpito a Philadelphia e che ancora oggi rappresenta il c.d. “ American Dream” abbia avuto un padre italiano.

Il pensiero filangieriano, riguardo la filosofia della felicità, si pone addirittura più avanti rispetto all’esperienza americana.

Quello che infatti nelle righe della Dichiarazione rimane un riconoscimento di un diritto, al pursuit of happiness, dunque demandato ad una libera interpretazione soggettiva, in Filangieri riceve concretezza sul piano dell’azione politica e del fine delle leggi, le quali devono orientare verso la “ felicità nazionale”.

Questa, spiega il giurista napoletano , può essere assicurata dallo Stato garantendo a tutti i cittadini un'occupazione con la quale impiegare quell’intervallo di tempo che intercorre tra un bisogno soddisfatto, personale e intimo di ciascuno, ed un altro nascente, si afferma, cioè, che la vera felicità di una comunità va ricercata nel principio sul quale oggi si basa la nostra Repubblica, vale a dire il lavoro:

Quando ogni cittadino in uno Stato può con un lavoro discreto di sette o otto ore per giorno supplire à i bisogni suoi e della sua famiglia, questo Stato sarà il più felice della Terra. [..] Un’occupazione, una fatica moderata, quando basti per soddisfare i propri bisogni, e per riempire l’intervallo che passa tra un bisogno soddisfatto e uno da soddisfare, è la sola che può rendere un uomo felice”.

Il diritto alla felicità dunque, a differenza di quanto si possa credere, non è nulla di più vicino al principio sul quale si fonda il primo articolo della nostra Carta Costituzionale, l’ Italia è una repubblica fondata sul lavoro.

Tralasciando le considerazioni che possono avanzarsi sull’effettiva portata di tale affermazione, sempre più inattuata alla luce dei tragici dati sulla disoccupazione, in gran parte giovanile, che si registrano negli ultimi anni nel nostro paese, quel che è importante sottolineare è che la lezione sulla felicità non è andata persa, anzi, all’opposto, i costituenti repubblicani l’hanno impressa, in maniera indelebile, sull’architrave su cui muove il nostro ordinamento giuridico.

In conclusione, una disposizione che troppo spesso viene dimenticata e che quasi mai riceve attenzione è quella dell’art. 36 Cost. ove la nostra Carta recita “ Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa”.

La nostra esistenza deve essere libera e dignitosa, e ciò, attenzione, “ in ogni caso”, dunque, i costituenti vogliono che la nostra vita sia felice.

La felicità,pertanto, ancora oggi è presente nel nostro sistema politico-legislativo, e sarà cura dei nostri legislatori far sì che tutta l'azione politica legislativa, governativa sia orientata verso il fine indicato da grandi uomini come Jefferson e Filangieri prima e dai padri costituenti poi, e vale a dire quello di fare della felicità una vera e propria questione di diritto. 

 

Bibliografia

- A. Trampus, il diritto alla felicità, storia di un’idea, Laterza, Roma-Bari 2008;
- G. Ruggiero, Gaetano Filangieri: un uomo, una famiglia, un amore nella Napoli del Settecento, Alfredo Guida Editore, Napoli 1999;
- Ambasciata d’Italia a Washington, Gaetano Filangieri e Benjamin Franklin: tra l’illuminismo giuridico italiano e la costituzione americana, pubbl., a cura di M. D’Agostini, 17 Marzo 2011