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Pubbl. Mar, 10 Mag 2016
Sottoposto a PEER REVIEW

Autotutela amministrativa, profili distintivi tra annullamento e revoca.

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Rita Ciurca


Sommario: 1. Nozione ed evoluzione dell’autotutela amministrativa. – 2. Natura giuridica del potere di riesame della P.A. – 3. La revoca – 4. L’annullamento d’ufficio – 5. Profili distintivi tra annullamento e revoca.


1. Nozione ed evoluzione dell’autotutela amministrativa

L’autotutela amministrativa è il potere dell’amministrazione di verificare la validità dei suoi provvedimenti e controllare la propria azione, rimuovendo unilateralmente gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione dell’interesse pubblico, impedendo così il permanere di provvedimenti illegittimi.

Nell’impostazione originaria l’autotutela era espressione del potere autoritativo della Pubblica Amministrazione e traeva origine nello Stato assoluto ove il sistema era improntato nella concentrazione dei poteri – legislativo, giurisdizionale e amministrativo – nelle mani del sovrano che li esercitava tramite i propri organi. Nello Stato moderno, invece, il potere di autotutela costituisce un residuo della funzione giurisdizionale che un tempo era attribuita alla stessa amministrazione.

L’autotutela è un istituto elaborato inizialmente da dottrina e giurisprudenza e solo nel 2005 si è proceduto alla sua codificazione.

La prevalente dottrina ha elaborato, nel corso degli anni, un’ampia nozione di autotutela distinguendo tra autotutela esecutiva e decisioria che a sua volta si divide in necessaria e spontanea.

L’autotutela esecutiva è quell’attività dell’amministrazione diretta all’esecuzione coattiva degli atti provvedimentali, un esempio è dato dagli artt. 21-ter[1] e 21-quater[2] della Legge 241/1990.

L’autotutela decisoria c.d. necessaria è quel potere espletato dall’amministrazione nell’ambito della funzione di controllo e si sostanzia nella verifica del rispetto dei requisiti di legittimità e di merito degli atti amministrativi ad opera di un’autorità diversa da quella che ha adottato l’atto.

Invece, l’autotutela decisoria c.d. spontanea è la vera e propria funzione di riesame attribuita alla P.A. e consistente nella rivalutazione delle situazioni di fatto e di diritto poste alla base di un dato provvedimento amministrativo effettuata della stessa autorità che ha adottato l’atto originario, o da diversa autorità. Quest’ultima forma di autotutela ha natura discrezionale non essendo finalizzata solo ed esclusivamente al ripristino della legalità bensì strumentale alla cura degli interessi pubblici affidati all’azione della P.A.

Nell’espletamento di tale funzione, e prima che intervenisse la riforma del 2005, il potere di riesame si esplicava nell’adozione dei cc. dd. provvedimenti di secondo grado, ovvero tutti quegli atti con cui l’amministrazione “torna su una propria decisione”. Gli atti di secondo grado solevano dividersi in quattro tipologie:

  • annullamento;
  • revoca;
  • decadenza; 
  • mero ritiro.

Il legislatore con la L. n. 15 del 2005 ha provveduto a codificare gli istituti della revoca, dell’annullamento e della convalida. Successivamente la disciplina è stata oggetto di ulteriori modifiche normative avvenute con la L. n. 165/2014 e con la più recente L. n. 124/2015. La ratio dei recenti interventi legislativi è stata quella di limitare l’esercizio dei poteri di autotutela, restringendo i casi in cui la P.A potesse agire, predisponendo un meccanismo che permettesse di limitare gli spazi di applicabilità dell’autotutela e ridefinendo i rapporti tra autorità e libertà, tra P.A. e privato, in termini più garantistici per quest’ultimo.

Nello stesso tempo i recenti interventi legislativi hanno messo in evidenza l’importanza dell’istituto dell’autotutela in generale. L’autotutela, infatti, è un istituto nel quale si scontrano due opposte esigenze: da un lato la necessità della P.A. di continuare a perseguire l’interesse pubblico, intervenendo su un provvedimento già adottato, e quindi annullandolo o revocandolo, e dall’altro l’interesse, più o meno qualificato, del soggetto privato a mantenere il provvedimento che la P.A. vuole invece modificare o revocare.

2. Natura giuridica del potere di riesame della P.A.

Molto si è discusso in merito alla natura giuridica del potere di riesame e al relativo fondamento[3].

In dottrina sono emersi vari indirizzi in merito. Un primo orientamento, il potere di riesame va inquadrato nell’ambito della funzione di controllo della legittimità e, in alcuni casi, della convenienza stessa degli atti. Un secondo orientamento considera il potere di ritiro quale potestà di secondo grado esercitata nell’ambito di un procedimento avente ad oggetto una precedente determinazione amministrativa.

Un terzo filone riconduce il potere di riesame al c.d. potere di auto impugnativa. Pertanto, l’amministrazione, secondo questa impostazione, impugnerebbe dinanzi a sé il provvedimento e deciderebbe sullo stesso così come accade in sede giurisdizionale.

L’orientamento maggioritario riconduce il potere di riesame nella più ampia categoria del potere di autotutela, quindi l’amministrazione può risolvere le controversie, attuali o potenziali, relativi ai propri provvedimenti senza necessità di ricorrere all’autorità giudiziaria. Aderendo a quest’ultima tesi secondo cui il potere di ritiro è una species del potere di autotutela, la conseguenza è che l’amministrazione, nell’adozione dell’atto di secondo grado, potrà tener conto di interessi pubblici diversi da quelli che hanno giustificato l’adozione dell’atto di primo grado, in quanto il potere di riesame è un potere diverso da quello originariamente esercitato.

Infine, per un ulteriore orientamento, il potere di riesame è una forma di esercizio successivo dello stesso potere di amministrazione attiva posto in essere con l’adozione del primo provvedimento, quindi un nuovo esercizio del potere originario. La conseguenza di tale impostazione è che l’amministrazione non potrà tener conto di interessi diversi e ulteriori rispetto a quello perseguito originariamente.

In tale contesto si inserisce l’intervento del legislatore, che con L. n. 15 del 2005 ha, non solo, codificato le varie tipologie di provvedimenti di secondo grado, ma ha anche posto fine ai dubbi sulla riconducibilità del potere di riesame alla nozione di “autotutela”.

3. La revoca

Il comma 1, dell’art. 21-quinquies, della legge 241/1990 nel testo novellato dall’art. 25, co.1, lett. b-ter, del D.L. 11 novembre 2014, n. 133, convertito con modificazioni dalla L. 11 novembre 2014 n. 164, dispone: “Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento o, salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo.”

Il potere di revoca è attribuito all’organo che ha emanato l’atto, ovvero ad altro organo previsto dalla legge.

La revoca si riferisce ad un provvedimento di primo grado del tutto legittimo. Essa, infatti, può essere motivata solo da ragioni di opportunità, escludendone implicitamente l’esercizio del relativo potere nei casi di provvedimenti affetti da vizi di legittimità.

Orbene, il potere di revoca si esercita nel caso di sopravvenuti motivi di interesse pubblico, mutamento della situazione di fatto, o nell’ipotesi di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario ovvero nel caso di una diversa valutazione dei medesimi interessi e della medesima situazione che la P.A. compie in relazione all’interesse originario.

La revoca, a differenza del caso di annullamento, ha efficacia ex nunc ossia elimina gli effetti del provvedimento solo dal momento in cui viene adottato l’atto di revoca.

La L. n. 164/2014 ha previsto, rispetto al passato, che il potere di revoca possa essere esercitato ogniqualvolta il mutamento della situazione di fatto non fosse stato prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento stesso. Emerge chiaramente la volontà del legislatore di ridurre le ipotesi di revoca in autotutela e di rafforzare il principio dell’affidamento del privato.

Prima delle novelle legislative la nuova valutazione dell’interesse pubblico originario era di per sé idonea a giustificare la revoca in autotutela. Il legislatore, nonostante abbia mantenuto questa ipotesi di revoca, l’ha esclusa esplicitamente per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici perché è evidente che, con riferimento a questi provvedimenti con cui si rimuove un ostacolo per l’esercizio di un diritto, vi è un affidamento particolarmente importante del privato rispetto al quale la possibilità di agire in revoca in autotutela viene del tutto sterilizzata.

In tutte le ipotesi di revoca previste dalla norma, la P.A. ha il potere di revocare il provvedimento di primo grado con ampia discrezionalità, ma allo stesso tempo su di essa incombe un obbligo di motivazione, ai sensi dell’art. 3, della L. 241 del 1990. L’amministrazione dovrà, infatti, effettuare una rigorosa comparazione di tutti gli interessi, pubblici e privati, rilevanti nel caso concreto, tenendo contro, altresì, dell’affidamento che il privato ha legittimante riposto sul provvedimento del tutto legittimo.

Ed infatti, se la revoca determina un pregiudizio, la P.A. sarà tenuta a riconoscere al privato un indennizzo. È un’ipotesi di pregiudizio da atto lecito. Successivamente al 2005 il problema che si è posto è se tale indennizzo debba essere necessariamente previsto nel provvedimento che dispone la revoca o possa essere oggetto di un successivo provvedimento della P.A.

Secondo consolidata giurisprudenza,[4] l’indennizzo è una conseguenza della revoca legittima ma non necessariamente deve essere disposto con la stesso atto di revoca; se nell’atto di revoca, infatti, non è contemplato l’indennizzo, questo non è ragione di illegittimità della revoca.

Riguardo ai criteri per la quantificazione dell’indennizzo, sono state introdotte rilevanti novità dal decreto-legge c.d. Bersani bis, d.l. n. 7 del 2007 che ha aggiunto all’art. 21-qunquies il comma 1-bis prevedendo che “Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l’indennizzo liquidato dall’amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico.”

Il legislatore, in riferimento alle revoche dei provvedimento che incidono sui rapporti negoziali, ha definito i criteri di calcolo dell’indennizzo, stabilendo che esso debba essere parametrato al solo danno emergente, ovvero alle spese affrontate dal privato che ha confidato nella perdurante efficacia del provvedimento successivamente revocato.

La norma individua, altresì, i parametri per la valutazione dell’intensità dell’affidamento da parte del privato, ritenendo rilevante la conoscenza o conoscibilità, da parte del destinatario del provvedimento da revocare, della contrarietà dell’atto all’interesse pubblico; e l’eventuale concorso del contraente all’erronea valutazione della P.A. in ordine alla compatibilità del provvedimento revocato all’interesse pubblico.

Le controversie relative alla determinazione e corresponsione dell’indennizzo sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ex art. 133 c.p.a.

4. L’annullamento d’ufficio

L’art. 21-nonies, comma 1, così come novellato dall’art. 25, co.1, lett. b-quater, l. n. 164 del 2014 e poi dall’art. 6, co.1, l. n.124 del 2015 dispone: “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell’articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all’adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo.”

L’annullamento d’ufficio, come emerge, è un provvedimento di secondo grado con il quale la PA rimuove, con effetto retroattivo, un suo precedente atto ab origine illegittimo.

In passato la dottrina ha sostenuto l’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione di annullamento, ma oggi sembra prevalere la tesi secondo cui l’amministrazione esercita il potere di annullamento con discrezionalità. Affinché possa esercitarsi il potere di annullamento, occorre osservare alcune regole, ed in particolare:

  •  l’obbligo di motivazione;
  • la sussistenza di concrete ragioni di pubblico interesse non riconducibili alla mera esigenza di ripristino alla legalità;
  • la valutazione dell’affidamento delle parti private destinatarie del provvedimento oggetto di riesame, tenendo conto del tempo trascorso dalla sua adozione;
  • il rispetto delle regole del contraddittorio procedimentale;
  • un’adeguata istruttoria

La P.A. dovrà valutare se l’esercizio del potere di annullamento risponda ad interesse pubblico, se sia possibile esercitarlo in un termine ragionevole e comparare l’interesse del destinatario del permesso a mantenere il provvedimento su cui ha fatto affidamento e quello dei controinteressati a ottenerne la rimozione. Il potere di annullamento in via generale, deve essere esercitato dallo stesso organo che ha emanato l’atto e ciò a dimostrazione anche che il presupposto dell’annullamento d’ufficio è la cura dello stesso interesse pubblico che aveva giustificato l’adozione del primo provvedimento. La P.A., inoltre, è tenuta a seguire lo stesso procedimento previsto per l’adozione del primo provvedimento, dando comunicazione di avvio del procedimento al privato e consentendogli di partecipare. L’annullamento d’ufficio produce effetti ex tunc, quindi con effetti retroattivi, con la salvezza delle posizioni giuridiche dei terzi di buona fede.

Occorre evidenziare che la nuova formulazione della norma esclude che l’annullamento possa intervenire nei casi di cui al comma 2 dell’art. 21-octies[5]. Prima della L. n. 124/2015 in merito ai rapporti esistenti tra l’art. 21-nonies e l’art. 21-octies erano emersi due differenti tesi.

Secondo un primo orientamento infatti, c.d. autonomistico, l’annullamento d’ufficio poteva essere esercitato ogni qualvolta il provvedimento fosse annullabile ex art. 21-octies, anche se rientrava nelle ipotesi del comma 2 dell’art. 21-octies cioè nelle ipotesi in cui il giudice non avrebbe potuto annullare il provvedimento qualora l’amministrazione avesse dimostrato in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Una seconda posizione, invece, c.d. del collegamento, sosteneva che la P.A., in presenza di un provvedimento illegittimo rientrante nelle ipotesi di cui all’art. 21-octies, comma 2, non potesse agire in autotutela. La L. n. 124 del 2015, facendo prevalere quest’ultimo approccio sostanzialista, ha esplicitamente escluso che l’annullamento d’ufficio possa essere esercitato nei casi del 21-octies, comma 2.

Infine, la norma fa riferimento ai casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell’art. 20 e quindi alle ipotesi in cui si è formato il c.d. silenzio assenso. Si tratta di un aspetto particolarmente delicato, in quanto già da tempo la P.A. nei casi di silenzio assenso poteva intervenire in autotutela secondo un principio di carattere generale. Oggi, invece, la norma prevede espressamente che la P.A. possa intervenire non solo su un provvedimento espresso, ma anche su un atto che si è formato a seguito di silenzio assenso della P.A.

La norma fa anche riferimento alle responsabilità connesse all’adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo. Ciò sta ad indicare che, nonostante l’esercizio del potere di annullamento, non si esclude la responsabilità in capo al funzionario che ha adottato l’atto illegittimo o di quello che, potendo attivarsi per rimuovere un provvedimento illegittimo fonte di pregiudizio è rimasto inerte.

Un’altra importante novità introdotta dalla L. 12472015 è il c. 2-bis dell’art. 21-nonies: “I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall’amministrazione anche dopo la scadenza del termine di diciotto mesi di cui al comma 1, fatta salva l’applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445.”

La ratio di tale disposizione è quella di prevedere l’annullamento in tutti i casi di provvedimenti conseguiti sulla base di false dichiarazioni, pur senza responsabilità della P.A. e dunque può essere annullato d’ufficio, come tutti i provvedimenti illegittimi, ma se viene scoperta la falsità, l’annullamento può avvenire anche oltre i 18 mesi. La P.A. potrà agire anche oltre il termine di 18 mesi, ma avrà la necessità di motivare sulla sussistenza degli altri presupposti per attivare l’annullamento d’ufficio (concrete ragione interesse pubblico, comparazione dell’interesse pubblico e privato, etc.).

5. Profili distintivi tra revoca ed annullamento.

Una volta tracciati i caratteri generali dei provvedimenti di secondo grado disciplinati agli artt. 21-quinquie e 21- nonies della Legge n. 241 del 1990, è opportuno metterne in evidenza gli elementi di diversità[6].

In primo luogo, il diverso motivo che induce l’amministrazione ad adottare l’atto di ritiro. Come già evidenziato l’annullamento d’ufficio non è ammissibile per motivi di opportunità a differenza della revoca che, invece, è motivata solo da ragioni di opportunità e interviene a fronte di provvedimenti del tutto legittimi.

In secondo luogo, le conseguenze patrimoniali che derivano dall’atto di ritiro: mentre l’atto revocato, essendo originariamente legittimo, fa sorgere in capo alla P.A. l’obbligo di indennizzare il privato, viceversa l’annullamento d’ufficio di un atto illegittimo fa sorgere in capo al privato il diritto al risarcimento del danno.

In terzo luogo, il ruolo attribuito all’affidamento vantato dal privato: nella disciplina dettata dall’art. 21-nonies, l’affidamento rappresenta un limite al potere di annullamento; viceversa, nella disciplina contenuta nell’art. 21-quinquies l’affidamento costituisce il parametro di valutazione dell’indennizzo da corrispondere a favore del privato.

Note e riferimenti bibliografici
[1] Art. 21-ter, L. n. 241/1990: Nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge, le pubbliche amministrazioni possono imporre coattivamente l’adempimento degli obblighi nei loro confronti. Il provvedimento costitutivo di obblighi indica il termine e le modalità dell’esecuzione da parte del soggetto obbligato. Qualora l’interessato non ottemperi, le pubbliche amministrazioni, previa diffida, possono provvedere all’esecuzione coattiva nelle ipotesi e secondo le modalità previste dalla legge. Ai fini dell’esecuzione delle obbligazioni aventi ad oggetto somme di denaro si applicano le disposizioni per l’esecuzione coattiva dei crediti dello Stato.
[2] Art. 21-quater, L. n. 241/1990: I provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge o dal provvedimento medesimo.
L’efficacia ovvero l’esecuzione del provvedimento amministrativo può essere sospesa, per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario, dallo stesso organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. Il termine della sospensione è esplicitamente indicato nell’atto che la dispone e può essere prorogato o differito per una sola volta, nonché ridotto per sopravvenute esigenze. La sospensione non può comunque essere disposta o perdurare oltre i termini per l’esercizio del potere di annullamento di cui all’articolo 21-nonies.
[3] Compendio superiore di Diritto Amministrativo, R. Garofoli, Nel Diritto Editore, 2015;
[4] Consiglio di Stato, Ad. Plen. 24 maggio 2007, n. 7
[5] Art. 21-octies, comma 2, l. n. 241/1990: Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
[6] “La revoca dei provvedimenti amministrativi” di Daniele Giannini;