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Pubbl. Lun, 23 Mag 2016

Efficacia della cedu nell’ordinamento interno. la cassazione rimette gli atti alla consulta.

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Maria Luisa Landi


Pubblico impiego: non manifestatamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.lgs 30 marzo 2001, n. 165, art 69, comma 7, in relazione all´ art 117, comma 1.


La Suprema Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 6891 dell'08.04.2016, ha ritenuto che debba percorrersi la via della verifica costituzionale del D. lgs 30 marzo 2001, n. 165, art. 69, comma 7, in relazione all'art. 117 Cost., comma 1, per superare il contrasto tra la legislazione nazionale e la Convenzione EDU. 

In particolare, è stata ritenuta di rilevanza e non manifestamente infondata la questione relativa a controversie attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore al 30.06.98 che restano di esclusiva competenza giurisdizionale del giudice amministativo se, e solo se, siano state proposte, a pena di decadenza, entro il 15.09.2000.

La Suprema Corte nel caso di specie esamina la non manifesta infondatezza della questione di legittimità della norma, in relazione alla posizione e al ruolo della CEDU, verificando l'incidenza delle stesse sull'ordinamento giuridico italiano ed in particolare in relazione all'art. 117, comma 1, che condiziona l'esercizio della potestà legislativa dello Stato e delle regioni al rispetto degli obblighi internazionali, tra i quali, indubbiamente, rientrano quelli derivanti dalla CEDU. 

Com'è noto la CEDU, convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell' uomo e delle libertà fondamentali, è una convenzione internazionale, resa esecutiva in Italia con legge ordinaria. Per lungo tempo, si è posto, in Italia, il problema dell' efficacia di tale  norma e dell' eventuale contrasto con la Carta Costituzionale. Il giudice delle leggi è sempre stato fermo nell' affermare che la CEDU, essendo una norma pattizia, non rientri nell' ambito di applicazione dell' art 10 Cost, 1 co., facendo quest' ultimo riferimento alle sole norme consuetudinarie. In seguito, la Consulta, con le sentenze 347 e 348 del 2008, ha riesaminto il suo orientamento sul rango e l' efficacia della CEDU nell' ordinamento interno alla luce della riforma del TITOLO V della Costituzione  ritendo che il novellato articolo 117, 1 co. Cost. condiziona l' esercizio della potestà legislativa dello Stato e delle Regioni al rispetto degli obblighi internazionali. Di conseguenza, è stato ritenuto che la norma nazionale incompatibile con la CEDU, e dunque, con gli obblighi di diritto internazionale si pone in contrasto con la Costituzione.  

È doveroso precisare, altresì,  che, se da una parte l'art. 117, comma 1, della Costituzione  rende inconfutabile la maggiore forza di resistenza delle norme CEDU rispetto a leggi ordinarie successive, dall'altra attrae le stesse nella sfera di competenza della Corte Costituzionale, poiché gli eventuali contrasti non generano problemi di successione delle leggi nel tempo o valutazioni sulla rispettiva collocazione gerarchica delle norme in contrasto, ma questioni di legittimità costituzionale. Il giudice comune, invero, non ha il potere di disapplicare la norma legislativa ordinaria ritenuta in contrasto con una norma CEDU poiché, infatti, la incompatibilità delle norme è questione di costituzionalità di esclusiva competenza del giudice delle leggi.

La decisione della Corte Suprema riprende quanto già esaminato dalla Corte dei diritti dell'uomo nella sentenza del 4.02.14, ruolo n. 29932/07 (Mottola ed altri c. Italia) che ha ritenuto che la legge italiana, nel fissare la decadenza prevista dal Dlgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7, avesse posto un ostacolo procedurale costituente sostanziale negazione del diritto contenuto all'art. 6, comma 1, della Convenzione EDU, secondo cui “ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile...

La Corte di Strasburgo prendeva atto dell'evoluzione giurisprudenziale in punto di interpretazione della norma in questione, che in un primo momento si era orientata nel senso di ritenere che i ricorsi per questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore al 30.06.1998, dopo il 15.09.00, avrebbero dovuto essere proposti non al giudice amministativo, ove operava la decadenza, ma al giudice ordinario, in modo da garantire la fruizione della giurisdizione.

Veniva ad essere rilevato, però, che la giurisprudenza del giudice civile e di quello amministrativo si era evoluta nel senso che la decadenza comminata aveva carattere sostanziale, con il conseguente difetto assoluto di giurisdizione e la definitiva perdita del diritto di coloro che non avessero agito prima del 15.09.00.

Tale orientamento è stato ritenuto legittimo dalla Corte costituzionale, la quale ha ritenuto la norma conforme all'art. 3, in quanto la disparità di trattamento tra i dipendenti privati e quelli pubblici, è ragionevolmente giustificata dall'esigenza di disciplinare   il trasferimento della competenza giurisdizionale dal giudice amministrativo al giudice ordinario, essendo ampia la discrezionalità del legislatore nell'operare le scelte più opportune, purchè non manifestamente irragionevoli e arbitrarie, per disciplinare la successione di leggi processuali nel tempo. Parimenti, fu esclusa la violazione dell art. 24, dal momento che, da un lato, non è certamente ingiustificata la previsione di un termine di decadenza e, dall'altro lato, tale termine, di oltre 26 mesi, non è certamente tale da rendere oltremodo difficoltosa la tutela giurisdizionale. (Corte Costituzionale 7.10.05, n. 382).

L'impostazione sopra descritta si pone in netto contrasto con il principio desumibile dall'art. 6 della CEDU, secondo l'interpretazione della Corte di Strasburgo che evidenzia come la previsione di un termine decadenziale, ex art. 69, comma 7, costituisca una sostanziale negazione del diritto invocato. È, dunque, non manifestatamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 69, comma 7, del D. lgs n. 165 del 2001 in contrasto con l'art. 117, comma 1, per l'evidente contrasto tra norma nazionale e norma convenzionale, ratificata e posta in esecuzione, insuperabile in via interpretativa, in ragione dell'ormai consolidata interpretazione sopra riferita.

 

Art. 69, comma VII, D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165

"Sono attribuite al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie di cui all'articolo 63 del presente decreto, relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998. Le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore a tale data restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo qualora siano state proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000."

Art. 117, comma I, Cost.

"La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonchè dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali."