Pubbl. Sab, 2 Apr 2016
La monetizzazione delle ferie non godute
Modifica paginaRassegna sulla disciplina delle ferie non godute, alla luce della sentenza n. 1138 del 21 marzo 2016 con cui il Consiglio di Stato ne ha confermato la monetizzazione ogniqualvolta il dipendente non ne abbia potuto usufruire in ragione di obiettive esigenze di servizio o comunque per cause da lui non dipendenti o a lui non imputabili. Brevi cenni anche in riferimento al comparto scuola precario e al Personale Ata
L’art. 36 della Carta Costituzionale dispone al suo ultimo comma che “il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi” .
Appare evidente già da una prima lettura del testo normativo che il diritto alla fruizione delle ferie, come diritto costituzionalmente sancito, rientra a pieno regime tra i c.d. diritti di libertà. Ratio della previsione è certamente quella di consentire al lavoratore di recuperare le energie psico-fisiche impiegate nell’espletamento dell’attività lavorativa, di dedicarsi più intensamente a relazioni familiari e sociali e di svolgere altre attività ricreative.
Proprio in virtù della indispensabile funzione svolta dall’istituto de quo, il diritto alle ferie si qualifica come diritto irrinunciabile, essendo nullo ogni accordo che dispone in senso contrario. Non solo. Dall’inalienabilità del diritto alle ferie, ne discende che le stesse spettano al lavoratore anche laddove egli non ne faccia espressa richiesta.
Quanto ai requisiti fattuali del periodo di riposo, in linea con quanto disposto dall’art. 2109 cc. il lavoratore “ha anche diritto ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l'imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi del prestatore di lavoro”.
Il periodo di ferie, dunque, deve non soltanto essere concretamente goduto dal lavoratore, ma deve essere dallo stesso fruito possibilmente in maniera continuativa.
Per quanto attiene alla durata, il codice civile rimanda alla legge, ai contratti collettivi, agli usi o all’equità, fermo restando che si tratta di un diritto spettante alla generalità dei lavoratori subordinati, indipendentemente dalla tipologia contrattuale e dalla qualifica rivestita e a prescindere dall’anzianità di servizio.
Sebbene il momento di godimento delle ferie, per ciascun lavoratore sia stabilito dal datore di lavoro, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del lavoratore, il prestatore di lavoro ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane.
Le ferie maturate, quindi, di regola 26 giorni per ogni anno solare, devono essere consumate entro l’anno di maturazione. Questo principio non si estende a tutto il congedo spettante, ma investe solo un periodo minimo di due settimane.
Le restanti due settimane di ferie possono essere godute dal lavoratore, anche in modo frazionato, nei 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione, salvi i più ampi periodi di differimento stabiliti dalla contrattazione collettiva.
Se, poi, il contratto collettivo o individuale prevede giorni feriali in più rispetto a quelli previsti dalla legge, il prestatore di lavoro può goderne in modo frazionato entro il termine stabilito dall’autonomia privata. In questa ipotesi, l’eventuale periodo aggiuntivo può essere anche monetizzato se non consumato nel tempo stabilito dalla contrattazione collettiva.
Sebbene il decreto legislativo n. 66/2003 abbia introdotto il divieto di monetizzazione delle ferie sull’assunto che il lavoratore non possa rinunciare a fruire del riposo ottenendo in cambio il controvalore della giornata lavorativa a titolo di maggiorazione, vi sono delle ipotesi in cui la monetizzazione è considerata legittima.
Nei contratti a tempo determinato di durata inferiore all’anno, infatti, trattandosi di rapporti in cui il godimento delle ferie annuali può non tradursi in giorni effettivi di riposo, il lavoratore può richiedere che lo stesso sia sostituito dalla relativa indennità.
La monetizzazione delle ferie non godute è consentita anche nell’ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro nel corso dell’anno e nell’ipotesi di decesso del lavoratore. A tal proposito, la Corte europea, con sentenza del 12 giugno 2014 – causa C 118/13 – ha stabilito che il vantaggio di un compenso in denaro, nel caso in cui il rapporto di lavoro sia cessato per effetto del decesso del lavoratore, risulta indispensabile per garantire l’effetto utile del diritto alle ferie accordato al lavoratore.
Secondo i Giudici europei, il diritto al risarcimento per le ferie non godute dal lavoratore deceduto si trasmette anche agli eredi.
Il tema della monetizzazione delle ferie non godute è fortemente dibattuto nella giurisprudenza.
Il Consiglio di Stato, a conferma di quanto statuito dal T.A.R. SARDEGNA – Cagliari, Sez.I^ con la sentenza n.2183 del 18.11.2009, pubblicata il 16.12.2009, ha stabilito che “il diritto alla ‘monetizzazione’ del ‘congedo ordinario (non fruito)’ matura ogniqualvolta il dipendente non ne abbia potuto usufruire (id est: non abbia potuto disporre e godere delle sue ‘ferie’) a cagione ed in ragione di obiettive ‘esigenze di servizio’ o comunque per cause da lui non dipendenti o a lui non imputabili (Cfr. C.S., VI^, 24.2.2009 n.1084; Id., 26.1.2009 n.339; Id., 23.7.2008 n.3636).”
Non solo. A parere dei giudici di Palazzo Spada, tra le cause che consentono la monetizzazione delle ferie non godute, rientra, fuor dubbio l’insorgenza di una malattia, a maggior ragione, se dipesa da causa di servizio, così come era avvenuto nella fattispecie posta al vaglio della magistratura adita.
Dunque, dall’analisi della pronuncia non vi è dubbio che il diritto alle ferie è un diritto indisponibile ed irrinunciabile, essendo posto da norme inderogabili riconducibili ad un valore costituzionale che ne giustificano l’erogazione di un compenso sostitutivo in presenza di ipotesi particolari.
Interessante è anche la sentenza n. 42 dell’11 febbraio 2016, emessa dalla Corte d’appello di L’Aquila che ha ritenuto fondato e, pertanto, accolto, il ricorso di una docente precaria avverso il Miur per l’ottenimento di un compenso sostitutivo delle ferie maturate, ma non godute, risalenti all'anno scolastico 2012/2013.
I Giudici Abbruzzesi hanno stabilito che per i docenti precari sussiste un diritto al pagamento delle ferie. Infatti, sebbene il decreto legge numero 95 del 2012, poi convertito nella legge, altrimenti nota come "spending review", (numero 135 del 7/08/2012), abbia escluso la monetizzazione delle ferie non godute per gli statali con contratto a tempo determinato, stabilendo che le stesse devono essere fruite secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e comunque entro il termine di scadenza del contratto, per il comparto scuola, invece, le clausole contrattuali contrastanti con le disposizioni in vigore devono essere disapplicate dal primo settembre 2013, in linea con quanto previsto dal comma 56 dell'articolo 1 della legge numero 228 del 2012. Di conseguenza, i docenti precari che non chiedano di godere delle ferie in detti periodi dovranno essere indennizzati con la monetizzazione delle ferie al termine del rapporto di lavoro, al pari degli insegnanti con contratto di lavoro a tempo indeterminato, secondo quanto disposto dal comma 15 dell'articolo 13 del Ccnl della scuola.
Quanto, infine, al Personale Ata, se non supplente breve e saltuario, le ferie non possono essere monetizzate, salvi i casi di cui alla nota DFP n° 32937/2012. Se, tuttavia, si tratti di Personale ATA supplente breve e saltuario, le ferie sono monetizzabili qualora la fruizione sia incompatibile con la durata del rapporto di lavoro.
I casi di cui alla nota DPF n° 32937/2012 sono relativi a quei casi in cui il rapporto di lavoro si concluda in maniera anomala e non prevedibile o non imputabile a carenza programmatoria o di controllo dell’Amministrazione (decesso, dispensa per inidoneità, malattia, aspettativa, gravidanza), restando immutati i casi sopradetti di cessazione del rapporto qualora il rinvio della fruizione delle ferie sia avvenuto legittimamente per esigenze di servizio.