• . - Liv.
ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Ven, 18 Mar 2016
Sottoposto a PEER REVIEW

Wind contro Italia: il rapporto tra rinvio pregiudiziale obbligatorio e diritto a un equo processo.

Modifica pagina

Alessio Scaffidi


Commento alla sentenza della Corte di Strasburgo n. 5159/14, dell’8 settembre 2015, pronunciata all’esito del ricorso Wind Telecomunicazioni S.p.a. c. Italia.


Il sistema europeo di tutela dei diritti fondamentali si è principalmente sviluppato intorno alla complessa interazione creatasi tra l’ordinamento dell’Unione europea ed il sistema della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Difatti, la battuta d’arresto riportata dal progetto di adesione dell’Unione alla CEDU non ha in concreto impedito né che la connessione tra i due sistemi diventasse sempre più pregnante, né che le due Corti, quella di Lussemburgo e quella di Strasburgo, instaurassero e portassero avanti un serrato dialogo.

In particolare, nel cospicuo e variegato catalogo dei diritti fondamentali, un proficuo confronto si è sviluppato intorno all’art. 6 CEDU – garante del diritto a un equo processo - che la Corte di Strasburgo non ha mancato di rileggere ed applicare anche alla luce delle tutele giurisdizionali fornite dall’ordinamento europeo e, nello specifico, dall’art. 267 TFUE.

La Corte EDU è stata più volte chiamata a pronunciarsi sulla presunta violazione dell’art. 6 CEDU per mancato rinvio pregiudiziale, da parte di una giurisdizione nazionale di ultima istanza, alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Una giurisprudenza arricchita, in ultimo, dalla sentenza della Corte di Strasburgo n.5159/14, dell’8 settembre 2015, pronunciata all’esito del ricorso Wind Telecomunicazioni S.p.a. c. Italia. La decisone della Corte, pur se in linea con le precedenti statuizione dei Giudici di Strasburgo, ha fatto emergere spunti di riflessione meritevoli di un attento approfondimento.

 

I fatti.

Al fine di meglio comprendere il percorso argomentativo tracciato dai Giudici di Strasburgo, non appare superfluo ripercorrere le vicende giudiziarie nazionali che hanno spinto la società Wind a proporre ricorso innanzi alla Corte europea dei diritto dell’uomo.

Preliminarmente va ricordato come la Wind Telecomunicazioni S.p.a. sia una società per azioni avente sede legale a Roma ed operante nel settore della telefonia fissa e mobile. Essa rappresenta una delle società più importanti tra quelle operanti sul mercato italiano delle telecomunicazioni, essendo il terzo operatore di rete mobile in Italia.

Nel 2004, a seguito di numerose segnalazioni pervenute da parte di diverse società concorrenti, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato apriva un procedimento istruttorio nei confronti delle società Wind, Tim e Vodafone per abuso di posizione dominante.

A conclusione del procedimento, con la decisione n. 17131 del 3 agosto 2007, l’AGCM accertava la violazione, da parte della Wind, dell’articolo 82 del Trattato CE (attualmente art. 102 del TFUE[1]). Secondo l’AGCM la predetta società aveva proposto offerte, a prezzi molto vantaggiosi, per le chiamate verso i propri clienti; in questo modo era stato generato un «effetto club» che aveva aumentato il potere di mercato della Wind e, contemporaneamente, ridotto quello della concorrenza. In particolare, l’applicazione di condizioni economiche differenti a prestazioni equivalenti aveva causato ai partner commerciali della società romana una diminuzione del giro d’affari contraria all’articolo 82, §2, lettera c) del Trattato CE. Per siffatte ragioni l’AGCM condannava la Wind al pagamento di una multa di due milioni di euro.

La decisione dell’AGCM veniva impugnata dalla società soccombente dinanzi al TAR del Lazio che, con sentenza del 23 gennaio 2008, rigettava il ricorso.

A seguito di tale pronuncia, la Wind proponeva appello dinanzi al Consiglio di Stato sostenendo, tra l’altro, che la condotta contestata rientrasse nel campo di applicazione della lettera a) - e non della lettera c) - del §2 dell’articolo 82 del Trattato CE. Pertanto, la società di telecomunicazioni chiedeva ai Giudici di Palazzo Spada di porre alla Corte di Giustizia una questione pregiudiziale allo scopo di stabilire: a) se l’articolo 82 del Trattato CE si opponesse a che un operatore di telefonia, avente una quota limitata di mercato, formulasse delle offerte «on-net» e «intercom» con prezzi inferiori alla tariffa di terminazione; e b) se il comportamento ascritto alla Wind dovesse essere definito una condotta discriminatoria ai sensi della lettera c) del §2 dell’articolo 82 del Trattato CE, oppure una condotta finalizzata ad una compressione dei margini e, dunque, sub lettera a) dello stesso paragrafo.

Con sentenza del 15 marzo 2011, il Consiglio di Stato rigettava il ricorso della Wind motivando – anche in base alla giurisprudenza europea [2] - che in caso di mercati integrati o collegati, la posizione dominante detenuta su un mercato (nel caso di specie quello dei «servizi di chiamata») potesse essere utilizzata per ottenere benefici in un altro (nel caso di specie quello dei «servizi di comunicazione»). Inoltre, il Consiglio di Stato osservava come l’AGCM avesse contestato alla Wind non soltanto di praticare una politica discriminatoria in relazione ai prezzi, ma anche di avere finanziato le offerte proposte ai propri clienti con i profitti realizzati applicando una «tariffa di chiamata» più alta ai concorrenti.

A seguito di una tale decisione, la società soccombente presentava, infine, ricorso per cassazione ex art. 111, co. 8 Cost.; tale articolo prevede la possibilità di presentare ricorso, contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, solamente per motivi legati alla giurisdizione. Invero la Wind sosteneva che nel dare la propria interpretazione del diritto dell’Unione Europea senza disporre il rinvio pregiudiziale alla CGUE  - la quale, sempre a parere della società ricorrente, non si era ancora chiaramente espressa sulle summenzionate questioni - il Consiglio di Stato avesse oltrepassato i limiti della propria giurisdizione.

Nella memoria del 9 maggio 2013 la società di telecomunicazioni chiedeva altresì alla Corte di cassazione di porre alla CGUE un’ulteriore questione pregiudiziale: «L’articolo 267 del TFUE deve essere interpretato nel senso di attribuire alla CGUE una giurisdizione esclusiva in materia di interpretazione finale delle disposizioni del sistema giuridico dell’UE e, di conseguenza, un giudice nazionale di ultimo grado oltrepassa i limiti della propria giurisdizione quando, al di fuori delle eccezioni precisate dalla CGUE, omette di adire quest’ultima e procede esso stesso a interpretare una disposizione del sistema giuridico dell’UE?» [3].

Con sentenza resa il 14 maggio 2013, la Corte di cassazione dichiarava il ricorso della Wind inammissibile poiché manifestamente infondato. La Suprema Corte, invero, non mancava di osservare come gli organi competenti a pronunciarsi sulla legittimità delle decisioni dell’AGCM fossero il TAR e il Consiglio di Stato, non la CGUE. Quest’ultima, infatti, non poteva essere il «giudice del caso concreto» [4], avendo come unica funzione quella di interpretare «una disposizione (l’articolo 102 del TFUE) che il giudice nazionale aveva ritenuto rilevante al fine della decisione».[5]

In aggiunta i Giudici di legittimità sottolineavano come, ai sensi dell’articolo 111, co. 8 della Costituzione, i ricorsi contro le decisioni del Consiglio di Stato potessero riguardare esclusivamente i limiti esterni della giurisdizione di tale giudice. Pertanto, qualsiasi contestazione riguardante le modalità di esercizio della funzione giurisdizionale (ad esempio in virtù di presunti errori di diritto o di assenza di motivazione) risultava inammissibile.

La Corte di cassazione, infine, ricordava che - come da consolidata giurisprudenza[6] – l’interpretazione della CGUE e, di conseguenza, il rinvio pregiudiziale, era necessaria unicamente in caso di disposizioni ritenute di incerta lettura da parte del giudice nazionale; il rigetto, dunque, di una domanda di rinvio pregiudiziale alla CGUE rientrava perfettamente nel potere decisionale del giudice nazionale il quale, con una tale decisione, non oltrepassava i limiti della propria giurisdizione bensì esprimeva una lecita valutazione. Nel caso di specie, difatti, il Consiglio di Stato aveva ritenuto che il diritto dell’UE fosse sufficientemente chiaro e che, pertanto, non fosse necessario porre una questione pregiudiziale alla CGUE.        Inoltre, la Corte di cassazione non mancava di aggiungere che anche se il Consiglio di Stato avesse violato le norme in materia di rinvio pregiudiziale, non ci sarebbe stato un difetto di giurisdizione bensì si sarebbero unicamente concretizzati i presupposti per una domanda di risarcimento dei danni.

Sulla base di un siffatto esito processuale, la Wind Telecomunicazioni decideva di adire la Corte europea dei diritti dell’uomo per lamentare la violazione dell’art. 6, §1 della Convenzione; nello specifico la società si doleva del mancato rinvio pregiudiziale operato in primis, dal Consiglio di Stato e, in secundis, dalla Corte di Cassazione.

Per le motivazioni che di qui a poco si esporranno, la Corte EDU rigettava il ricorso della Wind ritenendolo, ex art. 35 §§ 3 a) e 4 della CEDU, manifestamente infondato.

 

Violazione dell’art. 6 CEDU in caso di mancato rinvio pregiudiziale obbligatorio.

Come in precedenza accennato la Wind ha invocato, innanzi alla Corte EDU, una doppia lesione del diritto all’equo processo in quanto sia il Consiglio di Stato, che la Corte di Cassazione - rispettivamente in relazione all’interpretazione degli artt. 102 e 267 TFUE -, hanno omesso di porre alla CGUE le richieste di rinvio pregiudiziale avanzate dalla stessa società di telecomunicazioni.

I Giudici di Strasburgo, con la sentenza n. 5159/14, pur seguendo due percorsi motivazionali differenti, giungono ugualmente a dichiarare l’infondatezza del ricorso della società romana.

In particolare la Corte EDU, richiamando il principio del «previo esaurimento delle vie di ricorso interne», valuta come tardivo il ricorso della Wind, in relazione al rigetto operato dal Consiglio di Stato, poiché proposto oltre i sei mesi stabiliti dall’art. 35, §1 CEDU.

Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte [7], infatti, l’obbligo derivante dall’art. 35, §1 si limita a prescrivere «l’uso normale dei ricorsi verosimilmente effettivi, sufficienti ed accessibili» [8]. Una elaborazione giurisprudenziale, volta soprattutto a tutelare i ricorrenti, non obbligandoli ad intraprendere  procedure che comunque non potrebbero offrir loro una effettiva riparazione della violazione subita. La ratio della previsione, dunque, si rinviene nella volontà di non svilire il diritto dei ricorrenti ad adire la Corte EDU, pur salvaguardando il principio di sussidiarietà delle giurisdizioni sovrannazionali.  

Nel caso di specie, invero, il ricorso per cassazione ex art. 111, co. 8 Cost. non può essere considerato un ricorso effettivo, capace cioè di censurare la presunta inosservanza, da parte del Consiglio di Stato, dell’obbligo di porre la questione pregiudiziale sull’interpretazione dell’art. 102 TFUE. Ciò perché il dettato normativo del suddetto articolo della Costituzione prevede, in modo esplicito, la possibilità di ricorre in Cassazione, contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, unicamente per motivi inerenti alla giurisdizione [9].

In aggiunta, come evidenziato in sentenza dalla stessa Corte EDU, la giurisprudenza della Cassazione ha sempre univocamente sostenuto che il rigetto di una domanda di rinvio pregiudiziale rientri nel potere decisionale del giudice nazionale il quale, con una tale decisione, non oltrepassa dunque i limiti della propria giurisdizione.

Per tali motivi i Giudici di Strasburgo valutano il ricorso per cassazione ex art. 111, co.8 Cost., come un ricorso non effettivo - in quanto non idoneo a rimuovere gli effetti della presunta violazione denunciata -, e di conseguenza da non tenere in considerazione per il decorso del termine dei sei mesi.

La Corte, al riguardo, non manca di chiarire che, quando il ricorrente non ha a disposizione alcun ricorso effettivo, il termine di sei mesi inizia a decorrere dalla data in cui si sono verificati gli atti o le misure denunciati o dalla data in cui il ricorrente ne viene a conoscenza o ne risente gli effetti o ne subisce i danni[10].    

Per tali motivi, a parere della Corte, il termine perentorio per proporre ricorso è decorso non già dal giorno del deposito della sentenza della Corte di Cassazione (5 luglio 2013), bensì dalla data del deposito della sentenza del Consiglio di Stato (20 aprile 2011): pertanto, essendo stato inoltrato il 30 dicembre 2013 e dunque tardivamente, il ricorso deve essere rigettato.

Più complesse ed innovative appaiono, invece, le motivazioni che hanno condotto i Giudici di Strasburgo a dichiarare infondato il ricorso della Wind in relazione al rigetto operato dalla Corte di Cassazione.

Invero, le basi giuridiche di tale decisione sono da ricercare, come ricordato in sentenza dalla stessa Corte EDU, nella specifica missione istituzionale della Corte e nella sua ben limitata giurisdizione. Difatti, la Corte non ha il compito di esaminare gli errori di fatto o di diritto presumibilmente commessi da una giurisdizione nazionale, salvo se e nella misura in cui tali errori possano aver pregiudicato i diritti e le libertà sanciti dalla Convenzione[11]«la missione della Corte è limitata all’applicazione della Convenzione[12]».

Passando, invece, ad una valutazione sul merito del ricorso, la Corte - com’è suo uso – si  sofferma preliminarmente sulla propria giurisprudenza in materia e, nello specifico, sulla decisione Vergauwen e altri c. Belgio, nonché sulla sentenza Dhahbi c. Italia[13]Un precedente, quest’ultimo, di particolare rilievo visto che, in quell’occasione, i Giudici di Strasburgo avevano ritenuto leso il diritto del ricorrente all’equo processo in seguito al rigetto, da parte della Corte di cassazione, della richiesta di rinvio pregiudiziale avanzata dal ricorrente.

In realtà, però, il suddetto ricorso era stato deciso dalla Corte sulla base dei principi già enucleati nella sentenza Vergauwen e altri c. Belgio, i quali avevano chiarito i rapporti intercorrenti tra articolo 6 CEDU ed articolo 267, co. 3 TFUE. In particolare la Corte, in tale frangente, aveva spiegato che:

  • l’articolo 6, §1 della Convenzione pone a carico degli organi giudiziari interni un obbligo di motivare, rispetto al diritto applicabile, le decisioni con le quali essi rifiutano di sottoporre una questione pregiudiziale;
  • quando la Corte EDU viene adita per una violazione dell’articolo 6, §1 il suo compito consiste nell’assicurarsi che la decisione di rifiuto contestata sia debitamente accompagnata dai motivi richiesti;
  • non spetta alla Corte esaminare gli eventuali errori che avrebbero commesso i giudici interni nell’interpretare ed applicare il diritto pertinente;
  • nel quadro specifico del terzo comma dell’articolo 267 del TFUE, ciò significa che i giudici nazionali le cui decisioni non possono essere oggetto di un ricorso giurisdizionale di diritto interno sono tenuti, quando si rifiutano di sottoporre alla CGUE a titolo pregiudiziale una questione relativa all’interpretazione del diritto dell’UE sollevata dinanzi ad essi, a motivare il loro rifiuto in relazione alle eccezioni previste dalla giurisprudenza della CGUE. Essi devono dunque indicare le ragioni per le quali ritengono che la questione non sia pertinente, o che la norma di diritto della UE in causa sia già stata oggetto di un’interpretazione da parte della CGUE, o ancora che l’applicazione corretta del diritto della UE si imponga con una evidenza tale da non lasciare spazio ad alcun ragionevole dubbio.[14]

Orbene, da un’attenta lettura dei suddetti principi emerge con chiarezza la portata dell’articolo 6 CEDU in relazione alle previsioni dell’articolo 267 TFUE. In particolare, in caso di rinvio pregiudiziale obbligatorio, il diritto ad un processo equo si concretizza nell’obbligo per il giudice nazionale di motivare debitamente la scelta del rigetto, dove per «debitamente» – come chiarisce la Corte – si intende il ricondurre il rigetto ad una delle tre eccezioni elaborate dalla giurisprudenza della Corte di Lussemburgo e cioè: la non pertinenza della questione oggetto di richiesta di rinvio pregiudiziale, l’esistenza di una giurisprudenza concorde e costante della CGUE in materia, l’univoca interpretazione possibile del diritto dell’UE (e qui appare inequivocabile il riferimento alla teoria dell’atto chiaro[15]).

I giudici interni dovranno dunque specificare sulla base di quale eccezione rigettino la richiesta di rinvio, fugando ogni possibile dubbio o incertezza in merito. Il compito dei Giudici di Strasburgo, invece, sarà allora limitato alla verifica della sussistenza di una decisione di rigetto del giudice nazionale sufficientemente motivata, senza scendere nel merito della decisione.

La Corte EDU di fatti, secondo espressa previsione, «non ha il compito di valutare i possibili errori commessi dai giudici nazionali nell’interpretazione o nell’applicazione del diritto pertinente» [16]; tali errori, invero, in casi specifici[17], potranno essere esaminati – ed eventualmente sanzionati – unicamente a livello nazionale ed europeo[18].      

Sulla base di tali principi di matrice giurisprudenziale la Corte, nel caso di specie, in maniera anche un po’ inattesa, riscontra la non violazione dell’art. 6 CEDU da parte dei Giudici di legittimità italiani.

La Cassazione, in realtà, pur avendo l’obbligo di motivare il rigetto del rinvio pregiudiziale richiesto dalla Wind, nella sentenza del 14 maggio 2013 non ha fatto alcun riferimento esplicito alla richiesta della società di telecomunicazioni. Tuttavia, dalla lettura della sentenza della Corte di cassazione, parimenti i Giudici di Strasburgo reputano deducibile una motivazione implicita del rigetto, consistente nella non pertinenza della richiesta. 

E ciò perché la Corte di cassazione, nella propria statuizione, ha chiarito come - nell’ambito di un ricorso presentato ai sensi dell’articolo 111, co. 8 della Costituzione -, il suo compito sia limitato al controllo del rispetto dei «limiti esterni» della «funzione giurisdizionale» del Consiglio di Stato non potendo, di conseguenza, spingere il proprio esame fino al merito del rigetto operato dai Giudici di Palazzo Spada.

In ragione di siffatte circostanze, dunque, appare evidente come non risultasse necessario chiedere alla CGUE l’interpretazione dell’articolo 267 TFUE, anche perché l’eventuale violazione di tale disposizione da parte del Consiglio di Stato non avrebbe avuto alcuna incidenza sull’esito della causa dinanzi alla Corte di cassazione.

Sebbene, dunque, «sarebbe stato preferibile se la Corte di cassazione avesse chiarito le linee del suo ragionamento rispetto al rigetto della domanda di rinvio pregiudiziale della ricorrente» [19], la Corte non riscontra la violazione dell’articolo 6 CEDU, avendo la Cassazione implicitamente motivato il rigetto sulla base di una delle eccezioni previste dalla giurisprudenza della CGUE, ovvero la non pertinenza della richiesta.

Orbene, alla luce di quanto sopra esposto, la Corte EDU non rileva, né in relazione al comportamento del Consiglio di Stato, né in relazione a quello della Cassazione, alcuna violazione dell’articolo 6, §1 della Convenzione; di conseguenza rigetta il ricorso della Wind ex art. 35 §§ 3 a) e 4 CEDU in quanto manifestamente infondato.

Al riguardo, però, non può non sottolinearsi quanto la decisione dei Giudici di Strasburgo appaia innovativa, soprattutto se confrontata con le precedenti statuizioni in materia. In particolare, nei ricorsi Dhahbi c. Italia e Schipani e altri c. Italia, dove ugualmente era stata invocata la lesione dell’art. 6 CEDU per il rigetto della richiesta di rinvio pregiudiziale obbligatorio, la Corte EDU aveva accertato la violazione del predetto articolo semplicemente «non ritrovando - nelle rispettive sentenze della Cassazione - alcun riferimento alle richieste di rinvio pregiudiziale ed alle ragioni per le quali era stato considerato che le questioni sollevate non meritassero di essere trasmesse alla CGUE» [20]. Ciò in quanto le statuizioni della Suprema Corte non permettevano di stabilire se la questione pregiudiziale fosse stata considerata come non pertinente o come relativa ad una disposizione chiara o come già interpretata dalla CGUE, oppure se fosse stata semplicemente ignorata.

           

Conclusioni.

Da un’attenta analisi delle motivazioni della sentenza Wind Telecomunicazioni S.p.a c. Italia emerge chiaramente come, al giorno d’oggi, il sistema di protezione dei diritti fondamentali, a livello europeo, sia sempre più un sistema integrato, legato a doppio filo alla CEDU e al diritto dell’Unione.

Invero, Corte di Strasburgo e Corte di Lussemburgo hanno intrapreso un intenso dialogo il quale, sulla base anche delle rispettive evoluzioni giurisprudenziali, ha condotto ad un ampliamento delle posizioni giuridiche tutelabili a livello internazionale.  

In particolar modo l’integrazione si è sviluppata proficuamente intorno all’art. 6 CEDU il quale, a seguito di numerose statuizioni dei Giudici di Strasburgo, ha esteso il proprio vaglio anche sui rinvii pregiudiziali obbligatori e, specificamente, sulle eventuali decisioni di rigetto da parte delle giurisdizioni nazionali di ultima istanza.

Difatti la Corte, in primis nella sentenza Vergauwen e altri c. Belgio - facendo attenzione anche alla consolidata giurisprudenza della CGUE -, ha stabilito i casi in cui, a seguito di rigetto di rinvio pregiudiziale obbligatorio, possa delinearsi una violazione dell’art. 6 CEDU; un vero e proprio vademecum, quindi, per le giurisdizioni di ultima istanza che intendano respingere una richiesta di rinvio.

Nella stessa decisione Wind Telecomunicazioni S.p.a, la Corte ha sostanzialmente consolidato la propria giurisprudenza in materia ricordando, nuovamente, quanto inscindibili e rilevanti siano i momenti della decisione e della motivazione del giudice al fine di garantire un processo veramente equo.

Pertanto, anche il giudice di ultima istanza che voglia rigettare una richiesta di rinvio pregiudiziale dovrà fugare ogni dubbio motivando la propria scelta e specificando quale delle tre eccezioni, elaborate dalla CGUE, lo abbia spinto ad una siffatta conclusione.

Esaminando però meticolosamente la decisione della Corte oggi in esame, non si può negare come alcune perplessità non siano state del tutto fugate. Mentre, infatti, la scelta di dichiarare il ricorso tardivo in relazione al rigetto operato dal Consiglio di Stato, può forse apparire severa, ma in linea di principio corretta, lo stesso non può pienamente dirsi in merito alla decisione presa sulla statuizione della Corte di Cassazione.

Sicuramente il rifiuto operato dalla Suprema Corte è legato a ragioni più di carattere processuale che sostanziale, dato il richiamo operato dalla Cassazione al dettato normativo dell’art. 111, co. 8 Cost., ma tale circostanza non può fornire un valido alibi al giudice che ometta di motivare il rigetto. E, ancor meno convincente appare la possibilità di rinvenire una motivazione implicita di rigetto in una sentenza che non faccia riferimento alcuno alla richiesta di rinvio pregiudiziale sollevata.

Orbene, una tale scelta appare sinceramente in contrasto con l’obbligo di chiarezza e con il principio di certezza del diritto; contraria, dunque, alle fondamenta stesse dell’equo processo.

Inoltre, una siffatta operazione non solo risulta in contrasto con le precedenti decisioni dei Giudici di Strasburgo, ma in aggiunta – cosa ancor più discutibile - sembra estendere il controllo della Corte EDU fino ad una valutazione nel merito delle decisioni del giudice di ultima istanza; una possibilità questa che, come illustrato in precedenza, è sempre stata esclusa dagli stessi Giudici di Strasburgo.

 

_________________________

Note e riferimenti bibliografici

[1] Tale disposizione recita: «È incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo.

Tali pratiche abusive possono consistere in particolare:

a)nell’imporre direttamente od indirettamente prezzi d’acquisto, di vendita od altre condizioni di transazione non eque;

b)nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori;

c)nell’applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza;

d)nel subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi.»

[2] Al riguardo, il Consiglio di Stato fece riferimento alla giurisprudenza della CGCE e, in particolar modo, alle sentenze Istituto Chemioterapico Italiano S.p.A. e Commercial Solvents Corporation c. Commissione delle Comunità europee, cause unite 6 e 7/73, 6 marzo 1974; SA Centre belge d’études de marché – télémarketing (CBEM) c. SA Compagnie luxembourgeoise de télédiffusion (CLT) e SA Information publicité Benelux (IPB), causa 311/84, 3 ottobre 1985; AKZO Chemie BV c. Commissione delle Comunità europee, causa C-62/86, 3 luglio 1991.

[3] Cfr. Cass. Civ., SS.UU., sentenza n. 16886 del 14 maggio 2013.

[4] Ibidem.

[5] Ibidem.

[6] Cfr. sentenze Corte di cassazione nn. 8882/05, 26228/05, 12067/07  e 3236/12 .

[7] Cfr. Sofri e altri c. Italia (dec.), n. 37235/97, CEDU 2003-VIII; Sejdovic c. Italia [GC], n. 56581/00, § 45, CEDU 2006-II.

[8] Cfr. Wind Telecomunicazioni S.p.a. (dec.), n. 5159/14,  §27.

[9] Cfr. art. 111, co. 8, Cost.

[10] Cfr. Younger c. Regno Unito (dec.), n. 57420/00, CEDU 2003-I.

[11] Cfr. García Ruiz c. Spagna [GC], n. 30544/96, § 28, Corte EDU 1999-I; Khan c. Regno Unito, n. 35394/97, § 34, Corte EDU 2000-V; Rizos et Daskas c. Grecia, n. 65545/01, § 26.

[12] Cfr. Wind Telecomunicazioni S.p.a. c. Italia (dec.), 5159/14, §§ 32 – 33; Schipani e altri c. Italia, n. 38369/09, §59.  Mutatis mutandisDi Giovine c. Portogallo (dec.), n. 39912/98; Hermida Paz c. Spagna (dec.), n. 4160/02; Occhetto c. Italia (dec.), n. 14507/07, § 54.

[13] Cfr. Vergauwen e altri c. Belgio (dec.), n. 4832/04, §§89 – 90; Dhahbi c. Italia, n. 17120/09, §31.

[14] Cfr. Schipani e altri c. Italia, n. 38369/09, §69; Wind Telecomunicazioni S.p.a. c. Italia (dec.), 5159/14, §34.

[15] Cfr. Srl Cilfit e Lanificio di Gavardo Spa contro Ministero della Sanità, C. 283/81, CGUE: “4. Benché l'art. 177, 3° co. del Trattato obblighi senza alcuna restrizione i giudici nazionali di ultima istanza a sottoporre alla Corte qualsiasi questione interpretativa dinanzi ad essi sollevata, l'autorità dell'interpretazione data dalla Corte può tuttavia far venir meno la causa di tale obbligo e privarlo quindi del suo contenuto; ciò avviene in ispecie qualora la questione sollevata sia sostanzialmente identica ad altra questione, sollevata in relazione ad analoga fattispecie, che sia già stata decisa in via pregiudiziale ovvero qualora il punto di diritto di cui trattasi sia stato risolto dalla costante giurisprudenza della Corte, indipendentemente dalla natura dei procedimenti da cui essa ha tratto origine, anche in mancanza di stretta identità delle questioni controverse. Resta comunque inteso che, in tutte queste ipotesi, i giudici nazionali, compresi quelli di cui all'art. 177, 3° co. restano del tutto liberi di adire la Corte qualora lo ritengano opportuno.

5. L' art . 177 , 3° co. del Trattato va interpretato nel senso che il giudice le cui decisioni non siano impugnabili secondo l'ordinamento interno è tenuto, qualora una questione di diritto comunitario si ponga dinanzi ad esso, ad adempiere il suo obbligo di rinvio, a meno che non abbia accertato che la corretta applicazione del diritto comunitario s' impone con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi; tale eventualità deve essere valutata in funzione delle caratteristiche proprie del diritto comunitario, delle particolari difficoltà della sua interpretazione e del rischio di divergenze giurisprudenziali nell'ambito della Comunità.”

[16] Cfr. Vergauwen e altri c. Belgio (dec.), n. 4832/04, §89; Schipani e altri c. Italia, n. 38369/09, §69; Wind Telecomunicazioni S.p.a. c. Italia (dec.), 5159/14, §34.

[17] Si ritiene, ad esempio, che un ricorso per infrazione nei confronti di uno Stato membro possa sorgere dalla decisione nel merito di un organo giurisdizionale di ultimo grado che abbia disconosciuto in modo manifesto il diritto dell’Unione applicabile o che non abbia osservato l’obbligo di rinvio pregiudiziale derivante dall’art. 267, §3, TFUE. In merito cfr. G. Strozzi, R. Mastroianni, Diritto dell’Unione Europea – Parte Istituzionale, Giappichelli, Torino, 2013, nonché 30 settembre 2003, Köbler, causa C-224/01, in Raccolta, I – 10239.

[18] Una tutela a seguito di mancato rinvio pregiudiziale obbligatorio appare sempre più apprestabile, a livello nazionale, attraverso il dettato normativo della l. n. 117/1988, così come recentemente modificata dalla l. n. 18/2015.  Secondo alcuni, l’attuale portata della norma - che si è adeguata ai principi sviluppati in materia dalla CGUE – potrebbe perfino rappresentare un ricorso interno, effettivo ed accessibile, pregiudiziale ad un eventuale ricorso alla Corte EDU per violazione dell’art. 6 della Convenzione.

[19] Cfr. Wind Telecomunicazioni S.p.a. c. Italia (dec.), 5159/14, §37.

[20] Cfr. Schipani e altri c. Italia, n. 38369/09, §§ 71 -72; Dhahbi c. Italia, n. 17120/09, §§ 33 – 34.