Pubbl. Mar, 9 Dic 2025
Perequazione automatica delle pensioni e limiti costituzionali alla discrezionalità legislativa: nota a sentenza numero 167 del 2025 Corte Costituzionale
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Giuseppe Anfuso

La sentenza n. 167 del 2025 della Corte costituzionale conferma la legittimità del meccanismo di “raffreddamento” della perequazione automatica previsto dall’art. 1, comma 309, l. 29 dicembre 2022, n. 197. La Corte esclude la natura tributaria della misura, qualificandola come intervento interno al sistema previdenziale, volto al contenimento della spesa. È ribadita l’ampia discrezionalità del legislatore nel bilanciamento tra adeguatezza dei trattamenti ed esigenze di finanza pubblica, entro i limiti di ragionevolezza, proporzionalità e temporaneità.
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Judgment no. 167 of 2025 of the Constitutional Court upholds the constitutionality of the “cooling” mechanism for the automatic pension adjustment introduced by Article 1, paragraph 309, of Law no. 197 of 29 December 2022. The Court rules out the tax nature of the measure and qualifies it as an internal intervention within the pension system, aimed at containing expenditure. It reiterates the wide discretion of Parliament in balancing pension adequacy and public finance needs, subject to the limits of reasonableness, proportionality and temporariness.Sommario: 1. Il nuovo intervento di contenimento della perequazione automatica. 2. La disciplina dell’art. 1, comma 309, l. 197/2022 e il suo fondamento normativo. 3. Le questioni di legittimità costituzionale prospettate dalla Corte dei conti. 4. La qualificazione non tributaria del meccanismo perequativo. 5. Il giudizio di ragionevolezza nel bilanciamento tra previdenza e bilancio pubblico. 6. L’effetto di trascinamento e il requisito della temporaneità. 7. Gli orientamenti della giurisprudenza di merito e di legittimità. 8. Le indicazioni rivolte al legislatore per gli interventi futuri. 9. Considerazioni conclusive.
1. Il nuovo intervento di contenimento della perequazione automatica
Con la sentenza n. 167 del 2025, la Corte costituzionale torna sul tema, ormai ricorrente, della limitazione della perequazione automatica dei trattamenti pensionistici, collocando il nuovo scrutinio di legittimità nel percorso interpretativo inaugurato, per l’ultima stagione di contenzioso, dalla sentenza n. 19 del 2025¹. La Corte è chiamata a verificare la compatibilità con la Costituzione dell’art. 1, comma 309, l. 29 dicembre 2022, n. 197, che per gli anni 2023 e 2024 introduce un regime di rivalutazione differenziata in funzione dell’importo del trattamento.
L’oggetto del giudizio è, dunque, duplice. Da un lato, il giudice delle leggi deve chiarire se il meccanismo di “raffreddamento” della dinamica perequativa integri un prelievo di natura tributaria, con conseguente necessità di sottoporlo al parametro dell’art. 53 Cost. Dall’altro lato, la Corte è chiamata a valutare se la reiterazione di misure limitative dell’indicizzazione sia compatibile con i principi di ragionevolezza, proporzionalità e temporaneità, alla luce degli artt. 3 e 38 Cost., nonché con l’esigenza di garantire un livello adeguato di protezione previdenziale.
La pronuncia conferma l’orientamento secondo cui la perequazione automatica costituisce un istituto tecnico di adeguamento nel tempo del valore reale delle pensioni, rispetto al quale permane un’ampia discrezionalità legislativa, purché le scelte di contenimento siano sorrette da un disegno coerente di distribuzione dei sacrifici e non si traducano in uno svuotamento stabile delle garanzie costituzionali.
2. La disciplina dell’art. 1, comma 309, l. 197/2022 e il suo fondamento normativo
Il comma 309 dell’art. 1 l. n. 197/2022 interviene sul meccanismo di rivalutazione automatica previsto dall’art. 34, comma 1, l. 23 dicembre 1998, n. 448, modulandone in via temporanea gli effetti per il biennio 2023-2024². Il legislatore prevede sei fasce di importo, riconoscendo la perequazione integrale soltanto ai trattamenti pari o inferiori a quattro volte il minimo INPS.
Per le pensioni di importo superiore la rivalutazione è accordata in misura decrescente, secondo un modello di progressione inversa rispetto all’ammontare complessivo del trattamento. Le aliquote di adeguamento oscillano tra l’85% e il 32% dell’indice perequativo, sino a quest’ultima soglia per i trattamenti complessivamente superiori a dieci volte il minimo INPS. La Corte sottolinea che la scelta di elevare da tre a quattro volte il minimo la soglia per la rivalutazione piena indica la volontà del legislatore di concentrare la protezione integrale sulle pensioni medio-basse, ampliando il perimetro dei trattamenti più tutelati.
La disposizione censurata si pone dunque come deroga temporanea al regime ordinario di indicizzazione, ancorato all’art. 34 l. n. 448/1998, e perciò deve essere valutata alla luce dei limiti che la giurisprudenza costituzionale ha elaborato per gli interventi eccezionali e selettivi in materia di rivalutazione³.
3. Le questioni di legittimità costituzionale prospettate dalla Corte dei conti
La rimessione trae origine da un giudizio promosso dinanzi alla sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna della Corte dei conti, nell’ambito del quale alcuni pensionati contestavano l’applicazione del nuovo meccanismo perequativo. Il giudice contabile denuncia, in primo luogo, la violazione dell’art. 53 Cost., ritenendo che la limitazione dell’indicizzazione realizzi una prestazione patrimoniale imposta, avente natura sostanzialmente tributaria, gravante su una platea ristretta di contribuenti e non accompagnata da criteri di proporzionalità e universalità propri del sistema fiscale.
In secondo luogo, il giudice rimettente richiama i principi di ragionevolezza e di parità di trattamento di cui all’art. 3 Cost., prospettando il rischio che la reiterazione di interventi di contenimento della perequazione, di volta in volta giustificati da esigenze congiunturali di bilancio, si traduca in una trasformazione di fatto del carattere “eccezionale” delle misure in un assetto tendenzialmente stabile. Viene così sollecitata una verifica rafforzata sulla coerenza sistematica dell’ennesimo intervento selettivo, dopo le pronunce con cui la Corte costituzionale aveva già scrutinato analoghe discipline⁴.
4. La qualificazione non tributaria del meccanismo perequativo
La Corte costituzionale esclude in maniera netta che il meccanismo di “raffreddamento” integri una fattispecie tributaria, richiamando i criteri che la sua stessa giurisprudenza ha elaborato per la qualificazione delle prestazioni patrimoniali imposte. In particolare, la Corte ribadisce che una misura può dirsi di natura tributaria solo quando la normativa:
a) miri in via prevalente a produrre una decurtazione patrimoniale definitiva a carico del soggetto passivo;
b) non si risolva nella rideterminazione di un rapporto sinallagmatico preesistente;
c) destini le risorse così acquisite al finanziamento indistinto della spesa pubblica⁵.
Nel caso in esame difetta il primo requisito. L’intervento legislativo non riduce l’ammontare nominale delle pensioni già in godimento, le quali continuano ad essere incrementate, sebbene in misura inferiore rispetto a quanto avverrebbe in assenza della deroga. La Corte precisa che anche il c.d. “effetto di trascinamento”, vale a dire la stabilizzazione nel tempo della minore base di calcolo ai fini delle rivalutazioni successive, non muta la natura della misura, che rimane un’operazione di contenimento della crescita della spesa e non un prelievo coattivo a carico del patrimonio dei titolari.
Tale impostazione si colloca in continuità con la sentenza n. 70 del 2015, con cui la Corte aveva già escluso che il blocco totale della perequazione automatica potesse essere ricondotto alle prestazioni patrimoniali di natura tributaria, proprio perché privo di un effetto ablatorio diretto destinato a finanziare il bilancio generale dello Stato⁶. La giurisprudenza di merito ha recepito questa qualificazione: il Tribunale di Lodi, ad esempio, ha affermato che le modulazioni della perequazione rientrano in interventi interni al sistema previdenziale e non si traducono in tributi occulti, con conseguente inapplicabilità del parametro dell’art. 53 Cost.⁷.
5. Il giudizio di ragionevolezza nel bilanciamento tra previdenza e bilancio pubblico
Il nucleo decisivo della pronuncia riguarda la verifica della ragionevolezza del bilanciamento operato dal legislatore tra l’obiettivo di contenere la spesa pensionistica e l’esigenza di preservare l’adeguatezza dei trattamenti. La Corte ribadisce che la Costituzione non impone un obbligo di integrale indicizzazione annuale di tutte le pensioni, ma richiede che la disciplina complessiva, valutata nel suo insieme e nella sua evoluzione, non determini il depauperamento irragionevole del potere d’acquisto delle prestazioni.
L’elemento che consente di superare lo scrutinio di non manifesta irragionevolezza è individuato nella struttura progressiva del meccanismo. Il legislatore garantisce la rivalutazione piena per le pensioni di importo pari o inferiore a quattro volte il minimo INPS e applica aliquote via via più contenute al crescere dell’assegno, senza escludere alcuna fascia dall’adeguamento, seppure parziale. Tale architettura – sottolinea la Corte – consente di concentrare le risorse disponibili sui trattamenti più esposti agli effetti erosivi dell’inflazione, valorizzando al contempo la maggiore “resilienza” delle pensioni più elevate.
In questa prospettiva la sentenza n. 167 del 2025 si pone in continuità con gli arresti che, in passato, avevano ritenuto costituzionalmente legittimi interventi selettivi mirati a modulare la perequazione in funzione dell’importo, purché limitati nel tempo e sorretti da una motivazione congrua sul piano finanziario e sociale⁸.
6. L’effetto di trascinamento e il requisito della temporaneità
Particolare attenzione è dedicata all’effetto di trascinamento che, per definizione, accompagna ogni intervento di compressione della perequazione: la minore rivalutazione applicata in un dato anno si riflette sugli adeguamenti successivi, incidendo in modo permanente sulla dinamica del trattamento. Proprio su questo profilo la Corte dei conti aveva insistito per sostenere la violazione degli artt. 3 e 38 Cost.
La Corte costituzionale distingue, tuttavia, la riduzione dell’intensità dell’indicizzazione dalla vera e propria decurtazione del trattamento. Il fatto che la pensione cresca “meno” rispetto all’andamento dell’inflazione – osserva il giudice delle leggi – non equivale a una sottrazione retroattiva di quanto già maturato; si tratta piuttosto di un contenimento prospettico della spesa, fisiologicamente destinato a produrre effetti nel medio periodo.
Il requisito che assume rilievo decisivo diviene allora la temporaneità. Richiamando precedenti quali la sentenza n. 250 del 2017 e l’ordinanza n. 96 del 2018, la Corte ribadisce che solo una paralisi totale o una sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo potrebbero entrare in rotta di collisione con la garanzia di adeguatezza dei trattamenti sancita dall’art. 38 Cost.⁹ Nel caso in esame, la limitazione è circoscritta al biennio 2023-2024 e non elimina la rivalutazione, che rimane assicurata, seppure in misura ridotta, anche per le pensioni più elevate.
La presenza di un orizzonte temporale definito e la permanenza, in ogni caso, di una dinamica positiva dei trattamenti inducono la Corte a ritenere che l’equilibrio tra le esigenze di finanza pubblica e la salvaguardia del potere d’acquisto non sia stato superato in senso irragionevole.
7. Gli orientamenti della giurisprudenza di merito e di legittimità
La decisione n. 167 del 2025 si inserisce in un contesto nel quale la giurisprudenza di merito aveva già iniziato a consolidare un orientamento sostanzialmente conforme alle linee tracciate dalla Corte costituzionale. Il Tribunale di Milano, sezione lavoro, ha ritenuto che la perequazione differenziata non contrasti con i principi di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza, evidenziando come la diversa tutela in funzione dell’importo risponda a un criterio non arbitrario di graduazione del sacrificio¹⁰.
Analoghe considerazioni sono state svolte dalla Corte d’appello di Milano, sezione lavoro, che ha valorizzato la maggiore capacità delle pensioni più elevate di assorbire la perdita di potere d’acquisto senza pregiudicare il nucleo essenziale della protezione previdenziale, e dai giudici del lavoro di Palermo e Savona, i quali hanno confermato la legittimità del modello di perequazione differenziata, interpretato alla luce degli arresti costituzionali¹¹.
Sul piano tecnico alcune pronunce (Tribunale di Roma e Tribunale di Prato, sezioni lavoro) hanno precisato che, ai fini dell’individuazione della fascia di rivalutazione applicabile, occorre avere riguardo al trattamento effettivamente erogato, prima dell’applicazione di eventuali divieti di cumulo, così da evitare effetti distorsivi nella classificazione degli assegni pensionistici¹².
La Corte d’appello di Roma, sezione lavoro, e la Cassazione civile, sezione lavoro, con la sentenza n. 26753 del 5 ottobre 2025, hanno a loro volta recepito le coordinate tracciate dalla Corte costituzionale, sottolineando il carattere internamente previdenziale delle misure di contenimento della perequazione e ancorando il controllo giudiziale al rispetto dei soli limiti di ragionevolezza e proporzionalità, senza estendere il sindacato al merito delle scelte allocative del legislatore¹³.
8. Le indicazioni rivolte al legislatore per gli interventi futuri
Pur dichiarando non fondate le questioni sollevate, la Corte costituzionale non rinuncia a formulare indicazioni di carattere prospettico. Il giudice delle leggi richiama il legislatore a considerare, nella progettazione di eventuali ulteriori misure incidenti sull’indicizzazione, gli effetti cumulativi prodotti dal meccanismo introdotto dall’art. 1, comma 309, l. n. 197/2022.
In particolare, la Corte invita ad utilizzare con “estrema prudenza” strumenti che, pur formalmente temporanei, possano incidere in senso peggiorativo sulle aspettative di stabilità dei pensionati e, più in generale, sui comportamenti di spesa delle famiglie. Il riferimento è, da un lato, alla necessità di preservare la prevedibilità del quadro normativo; dall’altro, alla consapevolezza che, in un sistema ispirato al metodo contributivo, ogni intervento che riduce l’intensità dell’indicizzazione rischia di alterare il rapporto tra contributi versati e prestazioni erogate.
Il richiamo esplicito alla “tendenziale corrispettività” che caratterizza il sistema contributivo induce a ritenere che future misure limitative della perequazione debbano essere calibrate in modo particolarmente attento per i beneficiari rientranti in tale regime, in quanto maggiormente esposti a effetti di scostamento rispetto al patto previdenziale originario¹⁴.
9. Considerazioni conclusive
La sentenza n. 167 del 2025 si colloca in una linea di continuità con gli arresti precedenti in tema di blocco o contenimento della perequazione automatica, ma raffina ulteriormente i parametri di valutazione della legittimità costituzionale delle misure selettive. La Corte, da un lato, ribadisce che la perequazione non integra un diritto soggettivo all’integrale adeguamento annuale, ma costituisce uno strumento tecnico rispetto al quale il legislatore dispone di ampi margini di intervento; dall’altro lato, insiste sul fatto che tali margini non possono tradursi in una compressione stabile e indifferenziata della tutela assicurata dall’art. 38 Cost.
L’esclusione della natura tributaria del meccanismo di “raffreddamento” e la conferma della sua qualificazione come misura interna al sistema previdenziale contribuiscono a definire con maggiore nitidezza la linea di confine tra previdenza e fiscalità. Ciò non esclude, tuttavia, che le scelte legislative in materia di perequazione siano soggette a un controllo rigoroso sotto il profilo della ragionevolezza, della proporzionalità e della temporaneità, soprattutto quando esse incidano su trattamenti già in godimento.
Le indicazioni rivolte al legislatore, in particolare con riferimento ai pensionati del sistema contributivo, mostrano che la Corte intende mantenere alta la soglia di attenzione rispetto all’uso ripetuto di interventi emergenziali che, se reiterati nel tempo, potrebbero alterare l’equilibrio complessivo del sistema. L’impressione complessiva è quella di un giudice costituzionale che, pur non sostituendosi al legislatore nella definizione del livello di protezione previdenziale, presidia i confini costituzionali della discrezionalità politica, vincolandola al rispetto di un nucleo minimo di adeguatezza e alla coerenza dell’ordinamento nel suo divenire.
1. Art. 34, l. 23 dicembre 1998, n. 448.
2. Corte costituzionale, sentenza 30 aprile 2015, n. 70.
3. Corte costituzionale, sentenza 1 dicembre 2017, n. 250.
4. Corte costituzionale, ordinanza 11 maggio 2018, n. 96.
5. Tribunale di Milano, sezione lavoro, sentenza 3 aprile 2024, n. 645.
6. Tribunale di Palermo, sezione lavoro, sentenza 6 maggio 2024, n. 1950.
7. Corte d’appello di Milano, sezione lavoro, sentenza 8 maggio 2024, n. 1013.
8. Tribunale di Savona, sezione lavoro, sentenza 11 giugno 2024, n. 198.
9. Corte d’appello di Roma, sezione lavoro, sentenza 6 novembre 2024, n. 3223.
10. Tribunale di Roma, sezione lavoro, sentenza 21 novembre 2024, n. 11814.
11. Tribunale di Prato, sezione lavoro, sentenza 13 dicembre 2024, n. 544.
12. Corte costituzionale, sentenza 14 febbraio 2025, n. 19.
13. Corte costituzionale, sentenza 2025, n. 167.
14. Tribunale di Lodi, sezione lavoro, sentenza 27 settembre 2025, n. 341.
15. Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza 5 ottobre 2025, n. 26753.