Pubbl. Ven, 12 Feb 2016
Graffiare la propria rivale in amore integra il reato di lesioni
Modifica paginaNon di rado accade che la gelosia possa portare uno dei due partner a compiere azioni inconsulte, impulsive e sconsiderate. E’ appunto il caso dell’aggressione compiuta in danno del rivale d’amore. Proprio così. Non si badi, certamente, ai casi eclatanti in cui le lesioni riportate dalla persona “attaccata” siano gravissime. Quello affrontato dalla Suprema Corte di Cassazione è uno dei casi più semplici e, se vogliamo, banali che possano capitare in un litigio. Nota a Corte di Cassazione, sezione V, Sentenza del 19 dicembre 2013, n. 51393.
Sommario: 1. Il Caso – 2. Cenni sul reato di lesioni - 3. La decisione
1. Il Caso
Durante un alterco intercorso tra due donne (moglie e amante) per motivi di gelosia sentimentale, la prima cagionava alla seconda un graffio al viso procurandole una prognosi di dieci giorni.
Tanto il giudice di pace, quanto il Tribunale in funzione di giudice d’appello, assumendo per fondata la versione fornita dall’imputata e dal marito, hanno ritenuto che quel graffio non fosse idoneo ad integrare il reato di lesioni. La Suprema Corte di Cassazione, investita del ricorso proposto dalla costituita parte civile, ovvero sia l’amante, ha invece privilegiato una decisione ben differente.
2. Cenni sul reato di Lesioni
Il reato che in questo particolare caso ci occupa, è quello di cui all’art. 582 c.p. il quale prescrive che chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni. Al secondo comma, poi, la norma incriminatrice afferma che se la malattia ha una durata non superiore a venti giorni, e non concorre alcuna delle circostanze aggravanti di cui agli artt. 583 e 585 c.p., ad eccezione di quelle indicate nel numero 1 e nell’ultima parte dell’art. 577 c.p., il delitto è punibile a querela della persona offesa.
Proprio all’interno della cornice descritta nel secondo comma si inserisce il caso sottoposto all’attenzione della Corte, essendo la prognosi inferiore a venti giorni e non essendo stata contestata né ritenuta sussistente alcuna delle circostanze aggravanti sopra menzionate.
La norma sanziona penalmente la lesione personale lieve, da cui deriva una malattia di durata tra i ventuno ed i quaranta giorni, e lievissima, da cui deriva una malattia di durata non superiore ai venti giorni.
La norma de qua è posta a tutela dell'integrità fisica dell'individuo. Trattasi di reato comune che richiede, ai fini della sua configurabilità, sotto il profilo oggettivo, una condotta idonea a cagionare, nella persona offesa, una malattia, intendendosi tale una qualsiasi alterazione, anatomica o funzionale dell'organismo, ancorché localizzata, di lieve entità e non influente sulle condizioni organiche generali.
Per malattia[1] si intende qualsiasi processo patologico acuto o cronico, localizzato o diffuso, idoneo a determinare un apprezzabile menomazione funzionale dell’organismo fisico (malattia nel corpo) o psichico (malattia nella mente).
In altri termini, la condotta richiesta dalla norma m esame consiste, trattandosi di un reato a forma libera, in qualsivoglia manomissione fisica dell'altrui persona. Sotto il profilo soggettivo, è necessario che il soggetto agente sia animato dal dolo generico, ovvero dalla consapevolezza e volontà di realizzare la condotta richiesta dalla norma incriminatrice. Se il fatto è stato commesso con il dolo che è proprio del delitto di omicidio, come nel caso frequentissimo della ferita inferta animo necandi, il soggetto risponderà di omicidio tentato. Il reato di lesione personale resterà in tal caso assorbito nel reato maggiore, essendo necessariamente contenuto in esso.
Il verificarsi della malattia che è il vero evento naturalistico della lesione personale, segna il momento consumativo del reato. Nessun dubbio sulla configurabilità del tentativo.
Il reato di lesione personale viene meno ove la condotta lesiva sia scriminata dal fatto di essere stata posta in essere nell’esercizio di attività inclusa in competizioni sportive ovvero di attività medico chirurgica (ove sussistano i presupposti elaborati dalla giurisprudenza.
3. La decisione
A parere della Suprema Corte, incongrua – oltre che giuridicamente erronea – è l’affermazione del Tribunale in funzione di giudice d’appello, secondo la quale il graffio riportato dall’amante non fosse qualificabile lesione, nell’accezione penalistica.
La Corte infatti richiama il pacifico insegnamento giurisprudenziale di legittimità[2] secondo cui, ai fini della configurazione della nozione di “malattia”, rilevante ai fini della sussistenza del reato di lesione personale di cui all’articolo 582 c.p., è sufficiente qualsiasi alterazione anatomica o funzionale dell’organismo, ancorché localizzata, di lieve entità e non influente sulle condizioni organiche generali, onde lo stato di malattia perdura fino a quando sia in atto il suddetto processo di alterazione.
In tale nozione rientrano, certamente, ad esempio, le escoriazioni, in quanto significative – ed apprezzabili - alterazioni anatomiche.
Allo stesso modo, anche la contusione giudicata guaribile in tre giorni, in quanto alterazione anatomica e funzionale all’organismo, è stata ritenuta una malattia idonea ad integrare gli estremi di cui all’art. 582 c.p[3].
Ai fini della configurabilità del delitto di lesioni personali costituisce poi malattia la lesione cutanea consistente in un taglio all’avambraccio guaribile in tre giorni, in quanto anche una modesta soluzione di continuo dell’epidermide, con soffusione ematica, non può comportare una sia pur minima, ma comunque apprezzabile compromissione locale della funzione propria dell’epidermide che non è solo quella di carattere estetico-sensoriale ma anche e soprattutto quella di protezione dell’intero organismo, in ogni sua parte, da contatti potenzialmente nocivi con agenti esterni qualsivoglia natura[4].
Ecco che, seguendo tale logica, la Suprema Corte è giunta ad affermare che anche il mero graffio, in quanto idoneo ad alterare l’organismo anatomicamente e funzionalmente, è idoneo ad essere inserito nel concetto di “malattia” di cui all’art. 582 c.p.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte ha ritenuto di dovere annullare con rinvio la sentenza di assoluzione della moglie gelosa, dando quindi ragione all’amante ferita.
[1] Pare opportuno richiamare la giurisprudenza che ha ricondotto nella nozione di malattia, conseguente a lesione, l’ecchimosi, Cass. Pen., sez. IV, 19 dicembre 2005 (dep. 20 gennaio 2006), n. 2433; l’ematoma, Cass. Pen. , sez. V, 5 dicembre 2008 (dep. 20 gennaio 2009), n. 2081; la contusione, Cass. Pen., sez. V, 3 dicembre 2009 (dep. 24 febbraio 2010) n. 7422.
[2] Cfr., tra le altre, Cass. Pen. Sez. 5, Sentenza n. 43763 del 29/09/2010, Rv. 248778, in www.italgiure.it.
[3] Cass. Pen. Sez. 5, Sentenza n. 22781 del 26/04/2010, Rv. 247518, in www.italgiure.it.
[4] Cfr. Cass. Pen., Sez. 5, Sentenza n. 16271 del 16/03/2010, Rv. 247259, in www.italgiure.it. -