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Pubbl. Mer, 3 Feb 2016

Le misure cautelari nel processo penale: presupposti di applicazione e valutazione delle prove emerse nell’istruttoria dibattimentale.

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Gemma Occhipinti


In sede di valutazione della richiesta di revoca o sostituzione della custodia cautelare, il giudizio sulla attualità del pericolo ex art. 274 co. 1 lett. c) c.p.p. richiede di tener presenti anche gli elementi di prova emersi successivamente nel corso dell’istruttoria dibattimentale.


Il codice di procedura penale disciplina ampiamente, agli artt. 272 e ss., l’utilizzo dello strumento delle misure cautelari: mediante la loro applicazione (richiesta dal p.m. e disposta dal giudice procedente con ordinanza motivata) si consente infatti la salvaguardia di varie esigenze sottese al corretto svolgimento del procedimento penale. Poiché si tratta di misure che comportano una evidente compressione della libertà personale tutelata all’art. 13 Cost., è fondamentale che il giudice valuti preventivamente l’esistenza di talune condizioni di applicazione, valevoli sia per le misure custodiali che per quelle non custodiali. E’ necessario, in primis, che ricorrano gravi indizi di colpevolezza a carico del destinatario e, in secundis, che sussista una delle esigenze cautelari indicate dall’art. 274 cpp – pericolo concreto ed attuale di inquinamento delle indagini, pericolo di fuga o pericolo di commissione di delitti diversi o uguali a rispetto a quello per cui si procede. Il giudice dovrà poi effettuare la scelta tenendo presenti due criteri essenziali: adeguatezza della misura alle esigenze cautelari e proporzionalità della stessa rispetto al fatto di reato. Sulla base delle condizioni e delle “linee guida” indicate dal legislatore, viene emessa l’ordinanza che dispone la misura cautelare scelta; tale ordinanza può essere successivamente revocata o modificata, qualora vengano meno o mutino le condizioni che ne stanno alla base. Sulla richiesta di revoca e modifica deve pronunziarsi lo stesso giudice che ha emesso la misura; la sua decisione potrà essere impugnata in sede di appello ai sensi dell’art. 310 cpp e parimenti la decisione del tribunale del Riesame potrà essere impugnata con ricorso in Cassazione ex art. 311 cpp.

Di recente, i giudici di ultima istanza sono stati chiamati a pronunziarsi sulla legittimità di un’ordinanza del Tribunale del Riesame con cui è stato confermato il rigetto della richiesta di revoca o modifica della misura carceraria, in un procedimento penale avente ad oggetto i reati di cui agli artt. 73, 74 e 80 del t.u. Stupefacenti.

La Corte ha ritenuto parzialmente fondato il ricorso proposto dall’imputato; questi aveva rilevato la carenza di motivazione circa la necessità di disporre la misura carceraria in luogo di altre misure coercitive meno invasive. Come è noto, l’art. 275 cpp considera la misura carceraria come extrema ratio, cioè come via percorribile solo qualora nessun’altra misura sia in grado di soddisfare le comprovate esigenze cautelari. La seconda parte della norma è stata modificata con l. 47/2015 che ne ha alterato il “regime delle presunzioni”. In particolare, con riferimento ai procedimenti relativi ai reati di cui agli artt. 270, 270 bis e 416 bis cp è adesso previsto un doppio regime di presunzione, “relativa” quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari ed “assoluta” circa l’adeguatezza della misura carceraria. Invece, per i delitti previsti dall’art. 51 co. 3 bis e 3 quater cpp (tra i quali rientrano i reati in esame) vige un regime di “doppia presunzione relativa” in merito alle esigenze cautelari ed alla adeguatezza della misura carceraria. Nel caso in cui si proceda per tali reati, se sussistono gravi indizi di colpevolezza è applicata la custodia in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti la mancanza di esigenze cautelari o che esse possano essere ugualmente soddisfatte applicando altre misure. Sotto tal profilo, i giudici di appello avevano confermato il rigetto della richiesta di revoca o modifica della custodia in carcere sulla base dell’esistenza di un pericolo di fuga che rendeva - a loro dire - inidonea la misura degli arresti domiciliari. Per la Cassazione però, i giudici di merito avevano ancorato il pericolo soltanto ad alcune condotte disciplinarmente rilevanti tenute all’interno del carcere, senza indicare nello specifico le modalità delle stesse né il perché potessero ritenersi sintomatiche di un pericolo di fuga.

Erroneamente, poi, la misura carceraria era stata agganciata al pericolo di recidiva indicato dall’art. 274 co. 1 lett. c). Il giudice di appello non aveva motivato l’esistenza di tale pericolo né aveva tenuto conto del notevole arco di tempo intercorso tra la verifica del fatto e l’esecuzione della misura cautelare. Al fine di formulare correttamente il giudizio prognostico circa la possibilità di reiterazione del reato, avrebbe dovuto considerarsi l’esito dell’istruttoria dibattimentale in corso, nella quale era emerso come il soggetto non avesse commesso altri reati dello stesso genere e successivi rispetto quello per cui si procede, né avesse mantenuto contatti con altri soggetti pregiudicati.

Rigettando in parte l’ordinanza impugnata, la Cassazione afferma come il giudizio sulla attualità del pericolo ex art. 274 co. 1 lett. c) c.p.p. richiede la valutazione anche degli elementi di prova emersi successivamente nel corso dell’istruttoria dibattimentale.